Nonno, ehi! strappò il giovane dalla mano del vecchio, avvolto in un cappotto troppo lungo per lui, mentre si aggirava nervosamente, le dita sfioravano il proprio mento.
Giovanni Trofì gettò unocchiata sorniona al nipote, tirò più stretto il plaid a quadri rosso e nero che gli avvolgeva il collo, lungo e ruvido, con una frangiata di pompon.
Quella frangia gli finiva sempre in faccia quando il nonno si chinava a parlare. Proprio ora un ciuffo di lana lo pizzicò delicatamente le guance rosse per il freddo.
Alessandro si strinse il naso, si accarezzò le guance e lanciò unocchiata supplichevole verso gli occhi di Giovanni.
Ehi! bozzecò il nonno, con voce profonda. Che dici? Ecco!? Dillo come si deve, capito? e fissò il nipote con quegli occhi a linee rosse, quasi una copia dellaltro.
Gli occhi di Giovanni vedevano molto, ma non volevano più, erano sempre fermi, induriti da una severa indipendenza. Quelli di Alessandro vedevano poco: casa, scuola dellinfanzia, e a volte il nonno lo trascinava al bar Ai compagni, così chiamava gli amici. Quegli occhi piangevano silenziosi, senza fare rumore.
Ehi ripeté il bambino sottovoce.
Mangia! ruggì il nonno.
Ehi, ehi
Continuarono a fissarsi, mentre la neve cadeva incessante, coprendo di bianco due anime legate ma totalmente incomprensibili luna per laltra, se non fosse stato per lintervento di una donna, Daria Nicolò, cuoca della mensa Tutti a tavola, illuminata da una fila di lucine a destra dei due sfortunati interlocutori.
Vanni, sei tu? sbottò Daria, tossendo rumorosamente. E guarda che scialle, signore! Rosso, mi sembra il cappotto di Babbo Natale!
Sono io. E questo scialle è da tempo, cosa vuoi mettere in dubbio? sbuffò Giovanni, raddrizzandosi, il naso quasi a contatto con il petto generoso di Daria.
Oh, lasciamo perdere, sei così brontolone! Che succede, hanno di nuovo mandato il ragazzino? Non ti prende più il signor Luigi? fece cenno a Alessandro Daria.
Lidia è via per una commissione spiegò Giovanni, sputando fuori le parole.
Per tutto il mese? Cavolo, Vanni, ha messo un cappio su di te, che sgarro! E il papà? Non ti ha dichiarato nulla? Daria scrollò la mano ingombrante, con il guanto di lana, via dalla cuffia di Alessandro.
Mi è tornato in mente il ricordo della prima notte replicò il nonno infastidito. Non lo vedeva da tempo. È costoso occuparsi di un invalido. Ha avuto un figlio normale ora. Capito, Sandro? fece locchiolino. Alessandro alzò le spalle. Non ho capito. Magari è meglio così.
Non è compito nostro decidere. Ma perché litigate? disse Daria, soffiando sul viso di Alessandro, il profumo di minestra, polpette e qualche dolcetto le avvolgeva laria. Alessandro sentì il suo stomaco brontolare di nuovo.
Vedi, qui al giardino non si mangia, è tutto un teatro: Galina, la giovane signora, dice che si stanca, e lui rimane lì a piagnucolare ehi, ehi. Se impara a dire mangia, gli compro una pagnotta. È la mia ultima parola! incrociò le braccia, stringendo il naso, Giovanni.
Daria osservò il vecchio per un attimo, mordendosi il labbro inferiore, poi gli diede una scossone sul dorso, così forte da farlo vacillare.
Ecco la mia ultima parola: non lascerò un bambino affamato. E non è nemmeno invalido, lo dice lui stesso. Se è indietro, lo raggiungerà. Ci arriverai, Sandro? incrociò le braccia.
Alessandro le lanciò occhietti e sentì lo stomaco stringersi.
Vieni con me alla mensa. Oggi è il mio giorno libero, la signora Lidia sta al mio posto. Troveremo posto per tutti! disse Daria, agitandosi le braccia come se guidasse unarmata.
Non abbiamo tempo. È ora di tornare a casa! replicò Giovanni, rifiutando di girare per angoli sconosciuti.
Meglio arrivare a casa, salire otto piani con Alessandro, premere i pulsanti dellascensore puntando il dito sul suo nipote, contare i piani. Sandro tirerebbe fuori il braccio, il nonno sbraiterebbe che il piccolo non debba restare un ignorante.
Alessandro smetterà di piangere, poi tornerà a far ehi, lignorante senza parole
Così se ne andarono. Daria li osservò con un velo di tristezza.
Le era venuta voglia di prendersi cura di qualcuno. Di chi? Non importava. Dar loro calore, cibo, affetto ma non a Giovanni, certo, non era il suo gusto! E a Sandro, quel ragazzino pauroso
Linverno non finiva mai: Lidia rimbalzava da una commissione allaltra, il nonno continuava a portare il nipote al giardino, lagnandosi, sistemando il cappotto, sistemando la giacca con mani un po tremolanti. E ancora camminavano, il rosso scialle di Giovanni come un faro nella nebbia di una città stanca. Daria li osservava, spostandosi avanti e indietro.
Un giorno, in un periodo particolarmente difficile, Daria non poté più trattenerla e li trascinò nella sua mensa.
Dico che non andiamo! Torna a casa, Alessandro! sbuffò Giovanni, allungando la mano verso Daria.
Ma capì che loro e il nonno avevano raggiunto un limite: oltre cera solo oscurità e disperazione. Alessandro a volte cercava la madre, odorando il suo cappotto nel corridoio, ma il nonno lo spaventava.
Che amore sciocco! brontolò Giovanni. Non ti serve la mamma! È al ristorante, con un bicchiere in mano, e tu ti aggiri qui
Ritornò alla mensa di Daria, Tutti a tavola, piena fino allorlo, economica ma sostanziosa, come a casa. Zuppe, spezzatino, riso da mercante, insalata, macedonia. A volte anche pilaf, che Daria aveva imparato da un suo corteggiatore, non in una pentola di rame, ma comunque wowwow.
Come vi trovate? diceva Daria quando la gente la ringraziava.
Così era. Cucinava come se fosse per la sua famiglia, con i bambini grassocci e il marito laborioso. Anche se il marito beveva un bicchierino di vino, accompagnato da una salsiccia salata, e discuteva di politica, poi cantava. Volevo tre figli, diceva Daria. Il sesso non contava, contava il caldo abbraccio di un seno che allattava. E preparava zuppe, composte, minestre, nutriva tutti! Ma non era andata così
Perché Daria era sola, non raccontava a nessuno la sua storia. Viveva, e basta. Poche donne come lei sul pianeta.
Il pubblico, uomini, bambini e la cuoca, furono salutati da un applauso.
Portatelo qui, Sandro, affamato! aprì Daria la porta di una stanza di servizio con due tavoli, un letto e un armadio. Che ve la state facendo? Vi siete congelati? Ecco una zuppa! mise una sedia a misura di orsetto per il piccolo e una per il nonno.
Giovanni, a malincuore, si spogliò, tremando. Aveva la febbre da giorni, le ossa gli facevano male, desiderava stare a casa a bere un tè con marmellata, mangiare una pagnotta e dormire. Ecco che Sandro
Il nonno, pur non sapendo bene se amava il nipote, lo curava comunque.
Durante una pausa in una mensa, Daria prese un vassoio di piatti e lo depositò sul tavolo. Alessandro si girò e cominciò a piangere.
Nel giardino, la signora Galina cercò di fargli entrare una minestra con la bocca stretta, ma il bambino si rigirava, urlando.
Daria, però, rimase lì, portò una sedia, si sedette, e iniziò a mangiare. Il freddo della sua vecchia officina, dove lavorava Giovanni, si sciolse in un caldo profumato di alloro e cetrioli sottaceto.
Siamo amici da trentanni, no? disse Daria a Sandro. Hai ormai trentanni, vero? E noi ci siamo litigati, ci siamo riconciliati, mi ha persino chiesto di sposarlo! disse, facendo entrare una cucchiaiata di zuppa nella bocca del bambino. Buona? Vedi, bisogna mangiare bene, Alessandro. Se non è buono, non lo si mangia. E la vita va vissuta con gioia.
E da dove nasce la gioia se questo piccolo è solo, senza mamma, e io non capisco come aiutarlo? ribatté Giovanni, aggrottandosi. Forse serve una medicina, ma Lidia non vuole diagnosi.
La gioia è dappertutto. Senza di essa è difficile, lo so. rispose Daria, stringendo i denti.
Alessandro, come un pulcino, allungò il becco verso la zuppa, poi accarezzò la spalla di Daria.
Scusa, mi sono distratta disse, servendogli ancora più zuppa.
Finì la zuppa, poi la polpetta, il purè decorato da faccine buffe disegnate da Daria, poi il tè con una fetta di torta di mele, la famosa crostata di mele che Daria portava sempre in visita, baciando la moglie di Vanni, poi si sistemò su una sedia grande come un masso di felicità.
Giovanni amava i dolci di Daria. Sua moglie non sapeva cucinare, ma accettava i dolci e non era gelosa. Giovanni adorava ascoltare le canzoni di Daria, il suo canto profondo, che riempiva la stanza e faceva vibrare il cuore di tutti.
Giovanni muggiva, Sandro imitava il muggito. Alla fine, i grandi taciavano, solo il bambino ripeteva lultima riga di una canzone su un cavallo che correva libero nei campi di papavero.
Il giovane era come quel cavallo: inesperto, correva nella vita, inciampava, ma non si arrendeva.
Rimasero ancora un po a chiacchierare, poi Giovanni si alzò di colpo, scrollò la testa per scacciare il sonno, e ordinò ad Alessandro di prepararsi a tornare a casa.
Daria lo aiutò a vestire il bambino, poi, raddrizzandosi, disse:
Vanni, chiamami se ti serve qualcosa. Ti aiuto.
Giovanni annuì.
Cinque giorni dopo, Giovanni si sentì male, non riusciva a alzarsi dal letto. Doveva svegliare Alessandro, nutrirlo, accompagnarlo allasilo, ma non ce lfaceva. La tosse lo piegava sotto la coperta, poi una nausea improvvisa lo avvolse, e la notte lo colpì.
Alessandro, in pigiama, indossò calzini e una felpa.
Guardati, vestito sussurrò Giovanni. Ti voglio bene, sai? Ti voglio tanto bene!
Era la prima volta che lo diceva. Prima era timido, ora capiva che doveva dirlo.
Alessandro si gettò sul petto del nonno, lo strinse con forza, baciandogli il mento.
Giovanni era tutto per lui: madre, padre, tutti. Alessandro capiva.
Daria bussò più volte alla porta, implorando Alessandro di aprire. Alla fine la porta si aprì e Giovanni, ormai pallido, era sullo scalino.
Cosa volete? sbottò Daria, quasi urlando. Non è che vi arrabbiate? Sì, sì, ipocondriaco!
Daria gli somministrò uniniezione, dolorosa, nella quinta zona.
Alessandro gli accarezzò la testa, il suo piccolo pelo.
Non sporcare, per favore? sussurrò il bambino.
Tutto il mondo rimase immobile, Daria quasi lasciò cadere la siringa.
Vedi? Non piangere, passerà! mormorò, picchiettando liniezione.
Giovanni gemette, poi ruggì, rise, si voltò, afferrò il nipote e lo strinse a sé, scossa a tutta forza.
Mentì! Non lamenti! Non piango! Che cè da lamentarsi se ci sei tu! sussurrò.
Alessandro, allimprovviso, trovò le parole, le frasi, e destate, seduti sul ponte del fiume, colpì una zanzara con la mano del nonno e disse chiaro:
Ti voglio bene, capito?
Capito, scrollò le spalle Giovanni e, voltandosi, versò una lacrima di gioia.
Daria lo esortò a essere felice. Era giusto.
Il duo diventò abituale a Tutti a tavola. Daria li aspettava sempre, sbirciando dalla finestra, anche se non era il suo turno.
Facciamo un patto, Daria? propose Giovanni. Solo amicizia e rispetto, niente scherzi.
Certo! rise Daria. Ti devo ancora nutrire per farcela.
Giovanni si offese un attimo, poi cambiò idea. Era bello essere accuditi.
La volta successiva portò dei fiori a Daria: crisantemi.
Sono già fioriti da tempo! commentò Alessandro, mentre Daria cantava il loro vecchio valzer.
Il nonno, con il suo cuore malato, disse:
Lamore vive sempre nel mio cuore dolorante.
Alessandro lo inseguì, saltellando felice. Era una bella giornata. Giovanni era un buon nonno, ma i crisantemi forse erano un po unidea folle. Solo il tempo lo dirà.





