Nessuno può portarlo via.

«Nessuno lo prenderà».

Non cerano stanze separate, tutto era in un unico spazio ampio e rumoroso. A sinistra, lungo il muro di mattoni, si allineavano le gabbie per i gatti, a destra, al contrario, le gabbie per i cani. Tra le gabbie sfrecciavano gli operai del rifugio: qualcuno portava un sacchetto di crocchette, altri stracci puliti, altri ancora un secchio dacqua per rifornire i beverini.

Anche i visitatori erano numerosi. Una famiglia timida e riservata, composta da una mamma snella, un papà esile e un figliottino altrettanto magro, passeggiava lentamente da una gabbia allaltra osservando con attenzione gli abitanti. Una giovane coppia bisbigliava tra sé accanto alle gabbie dei gatti. Un anziano silenzioso, con il bastone, si aggirava con passo lento lungo le gabbie dei cani. E io, appena varcata la soglia del rifugio, rimasi stupefatto dagli odori, dal frastuono e dal numero incommensurabile di animali.

Nella prima gabbia sedeva Bonta, una cagnolina randagia minuscola con una coda impazzita. Mordeva disperatamente unanatra di gomma, indifferente ai visitatori. Un po più in là, nella gabbia accanto, era Dante, un cane nero come unala di corvo, dagli occhi che avevano visto troppe stagioni. Vicino a quella gabbia, inginocchiata, cera una ragazza in giubbotto colorato, Benedetta, che parlava sottovoce al cane come se volesse stringgli unamicizia. A sinistra si apriva una vera esposizione felina: razze, colori e dimensioni di tutti i tipi.

Sul cuscino rosa dormiva Sonia, una gatta bianca e slanciata. Di tanto in tanto apriva locchio giallo e scrutava chi si avvicinava al suo recinto. Accanto a lei, appeso alle sbarre, cera Mino, un gattino nero-ramato con una testa sproporzionatamente grande, simile a un personaggio dei cartoni. Fiondava verso il basso un miagolio flebile, si accoccolava sulla schiena, poi si alzava e camminava con dignità verso langolo dove attendevano ciotole dacqua e cibo. Quando vide che mi avvicinavo, Mino cambiò immediatamente rotta e corse verso di me.

Che buffo, borbottai, infilando un dito tra le sbarre e accarezzando Mino dietro lorecchio. Il cucciolo dalla testa enorme chiuse gli occhi, ronronò di piacere e, quasi a scherzare, mordicchiò delicatamente il mio dito.

Mamma, guarda, che divertente, sussurrò il ragazzino snello correndo verso la gabbia di Mino. I genitori, avvicinandosi, si scambiarono uno sguardo e scossero la testa in sintonia.

È davvero piccolo, Gabriele, mormorò la madre. Gabriele, facendo una smorfia incomprensibile, annuì, lanciò a Mino uno sguardo di rimprovero e proseguì il suo cammino. Capii che i genitori preferivano un cane, quindi cercavano di allontanare il figlio dalle gabbie dei gatti. A Mino non importava chi lo accarezzasse: ruzzolava il naso sul mio dito, alternando il lato sinistro e destro, e si leccava i denti, suscitando un nuovo sorriso.

E se fosse questo? mi voltai, notando il ragazzino fermo davanti allultima gabbia, in un angolo buio del rifugio. È grande e bello.

Oh no! scosse la testa la madre snella. Andiamo a vedere i cani. E questo è davvero vecchio.

Vecchio, piccolo brontolò Gabriele, poi, sospirando, si avviò verso le gabbie dei cani. Il suo brontolio si trasformò presto in una risata quando raggiunse il preferito di tutti: un cucciolo paffuto, simile a un piccolo orsetto, chiamato Massimo. Massimo barcollava nella sua gabbia, leccava le dita di chi provava a coccolarlo. Anche lanziano con il bastone osservava con un sorriso il cucciolo peloso, che agitava un peluche morbido in un angolino.

Ma qualcosa mi attirava verso lultimo angolo più oscuro, quello che aveva spaventato la madre di Gabriele. Decisi di lasciare Mino e mi avvicinai alla gabbia più distante, sospirando pesantemente.

Allinterno, su una coperta grigia, giaceva un gatto anziano. Un gatto comune, come quelli che popolano ogni cortile, ma nobile, come un cavaliere la cui età volge al tramonto. Non saltellava, non miagolava, non cercava attenzioni. Stava semplicemente sdraiato, fissando il vuoto con occhi velati da una pellicola grigia, ronronando a malapena. Quando mi avvicinai, silenzioso, soffiò il naso e sospirò quasi come un uomo. Poi pose la testa sulle zampe esili e chiuse gli occhi.

È Aramis, il nostro vecchietto, sussurrai, sentendo una voce maschile gioiosa alle mie spalle. Mi girai e vidi il suo proprietario: un giovane dal viso lentigginoso, con il badge che recava il nome Boris.

Che fine ha fatto? chiesi, cercando di non disturbare il sonno del gatto.

Niente, è solo il vecchietto, rispose il ragazzo, aprendo la gabbia e riempiendo la ciotola di cibo. Aramis, dopo un altro soffio di naso, si alzò lentamente dalla coperta, barcollando verso la ciotola e sbattendo la faccia contro le sbarre un paio di volte. Il ragazzo, imbarazzato, aggiunse: È cieco. Non vede più nulla. È il nostro nonno a quattro zampe.

Come ha fatto a sopravvivere per strada? chiesi, rivolgendomi al giovane.

Non è un randagio, rise lui, facendo una smorfia di scusa. I proprietari lo hanno portato qui stanchi di prendersi cura di lui. Non avevano più tempo, e Aramis ha bisogno di attenzioni. Labbiamo curato, ma chi vuole un gatto così vecchio? Anche la direttrice, Natasha, appena visto il felino, ha detto: «Nessuno lo prenderà».

Già, concordai. Prendono i cuccioli e i pacati.

A parte Dasha, indicò il ragazzo verso la gabbia con il cane nero e la ragazza accanto, Dante è capriccioso, perciò lei cerca di farsi suo amico.

E come va?

Piano piano. I cani che si fidano poco degli uomini impiegano tempo per aprirsi, e Dante è proprio così. Come Aramis, sospirò. Quando lo portarono qui, non mangiò per una settimana. Aspettava che lo prendessero. Ogni volta che qualcuno entra, annusa laria, agita la coda, poi, capito che non è il momento, si accoccola e piange.

Lo tenete nascosto nellangolo per non farlo agitare? chiesi. Il ragazzo annuì, serrando le labbra.

Sì. È triste vederlo sperare, alzarsi con energia e poi crollare, dormendo quasi fino al tramonto. Probabilmente qui finirà la sua vita; chi vuole un gatto cieco e anziano? E voi? Qualcosa vi ha colpito? si offrì. Ho notato che vi fermavate davanti a Mino.

Sì, è davvero curioso, sorrisi ricordando il cucciolo dalla testa enorme.

È arrivato da poco. I bambini lo hanno trovato in strada e lhanno portato qui. Forse una gatta ha partorito e lui si è smarrito. Per fortuna i cani non lhanno trovato per primo. Lo abbiamo vaccinato, disinfestato e Natasha lo ha insegnato alla lettiera. Non farà danni, rise il giovane, avvicinandosi. Allora lo prendete?

Sapete sì, lo prendo, dissi, guardando Aramis addormentato, e aggiunsi quasi sottovoce: Posso prenderlo anche con Mino?

Davvero? sbatté le ciglia il ragazzo. Dopo un attimo rifletté, poi scosse la testa. Qui accettiamo un solo animale per volta. Aspettate un attimo, chiedo alla direttrice.

Va bene, dissi, salutando il sorridente operatore, e mi voltai verso Aramis, che sembrava comprendere le mie parole. Ciao, amico. Vieni con me? Non sarò il tuo padrone, ma ti prometto cibo, acqua e il giovane egozio che ti farà una carezza dietro la coda

Non riuscii a finire la frase, perché Aramis si alzò, soffiò laria e si avvicinò alla porta della gabbia che Boris aveva dimenticato di chiudere, correndo a chiedere il permesso alla direttrice. Stensioni la mano, il gatto annusò delicatamente, si strofinò contro le dita e ruggì sommessamente.

Quindi la risposta è sì? dissi, accarezzandolo allorecchio.

Natasha ha detto di sì, annunciò il ragazzo, arrivato di corsa, vedendo il mio gesto. Vedo che avete trovato unintesa.

E perché non lo trovano gli altri? alzai le spalle. Due vecchi scapoli, un appartamento grande e un giovane egiziano in più.

Se non è un segreto, perché lo volete? Sapete che Aramis non vivrà a lungo, chiese il ragazzo. Inspirai profondamente, guardando il felino che pareva attendere la mia risposta.

Perché chi parte verso larcobaleno lo fa dove è amato, non in un rifugio freddo dove ogni visita infrange il cuore di un animale, risposi. Il piccolo ronzio nel petto di Aramis sembrò confermare che la risposta fosse giusta.

Compilo i moduli, promise il ragazzo, scomparendo nella stanza di servizio, lasciandomi solo con il vecchio gatto. Il resto del tempo rimase silenzioso: accarezzavo la sua orecchia, e Aramis mormorava, fissando la mia anima con quegli occhi grigi, velati da una pellicola di nebbia.

Quella sera, sdraiato sul divano, guardavo la televisione mentre un piccolo masso di pelo, chiamato Mino, si accoccolava sul mio petto. Il suo vello conservava ancora la polvere delle zone dove la mia mano singola non osava arrivare. Sognava, talvolta, le unghie e strillava contro di me.

Accanto a me, su una coperta grigia, riposava Aramis. Il vecchio gatto, avvolto in una palla, dormiva con una zampa sulla mia coscia, come se temesse di scomparire come i suoi padroni. Ogni mio movimento lo svegliava, e lui alzava subito la testa, annusando laria, calmandosi solo quando gli accarezzavo la testa e gli dicevo di stare vicino.

Quando mi alzavo per andare in cucina a fare il tè, Aramis, colpendo occasionalmente gli angoli, mi seguiva, e dietro di lui si trascinava Mino, come una piccola coda di fumo. Dopo un po imparò a muoversi senza sbattere contro le pareti, raggiungendo il luogo dove stavano le ciotole dacqua e cibo.

Quando partivo per il lavoro, entrambi mi accompagnavano alla porta, ma subito dopo mi accorgevo che solo Aramis restava fermo, osservando il mio allontanamento. Attendeva il mio ritorno, annusava laria, leccava la mano che gli tendevo e poi si dirigeva verso il suo angolino grigio. Di notte, entrambi dormivano con me: Mino sul cuscino, la sua coda soffice poggiata sulla mia testa, e Aramis accanto alla gamba sinistra, una zampa magra sul mio ginocchio. So bene che un giorno Aramis partirà; che lo faccia dove lo amano, non in un freddo rifugio dove ogni sbattimento di porta infrange il cuore di un gatto.

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