E la suocera sapeva tutto!

Alessia, tesoro, sabato sei libera? la voce della suocera al telefono suonava dolce, con quellaccento particolare che Alessia, in tre anni di matrimonio, aveva imparato a riconoscere al volo. Bisogna scendere le marmellate in cantina, altrimenti sulla terrazza non trovi più spazio. E in soffitto cè un caos, ma non ho tempo di sistemarlo.

Certo, signora Teresa, arriverò al mattino! Alessia sorrise, avvicinando il telefono allorecchio mentre mescolava la minestra sul fuoco. Devo portare Marco con me?

No, cara, il suo progetto è in fase avanzata, lo sai bene. Lasciagli il suo banco, così potrà lavorare in tranquillità.

Dissero che Alessia avrebbe preso il pullman delle nove. Premette il tasto di fine chiamata e tornò a mescolare, cantando una melodia orecchiabile di una pubblicità. Fuori, il sole pallido filtrava, mentre sul davanzale appisolava un ficus triste che non riusciva a convincersi a buttare.

Sabato mattina si infilò nel pullman affollato, pieno di odore di benzina e di focaccine appena sfornate dal venditore ambulante. Si sistemò al finestrino, appoggiando la testa al vetro freddo. Fuori la campagna romana si stendeva a perdita docchio, alternata da filari di alberi, e Alessia si addormentò al ronzo monotono del motore.

Una brusca sferzata la svegliò insieme a un grido di protesta. Il pullman era fermo sul ciglio della strada, inclinato sul lato destro. Lautista annunciò che una ruota era scoppiata, il cerchione di scorta era marcio e bisognava attendere il soccorso da Roma.

Almeno due ore, aggiunse, alzando le braccia. O tre, se è lenta la squadra.

I passeggeri cominciarono a brontolare, scendendo sul ciglio. Alessia rimase lì, accanto al pullman, per una decina di minuti, poi, decisa, uscì sulla strada e alzò la mano.

Unauto usurata, una «Fiat 500» con un nonno bonario al volante, si fermò.

Verso la città? Salta, cara, ti porto.

Salì sul sedile anteriore, scrivendo a sua suocera: «Il pullman si è fermato a metà strada, torno a casa, rimandiamo al prossimo weekend». Inviò. Il telefono emise un bip: messaggio consegnato.

Quaranta minuti dopo Alessia era davanti al portone del suo palazzetto di cinque piani a Trastevere. Salì tranquillamente al terzo piano.

Prese le chiavi, girò il mazzo, trovò quella giusta e la inserì nella serratura. Il cellulare squillò improvvisamente. Sullo schermo appariva «Teresa Bianchi».

Pronto?

Alessia! la voce della suocera si incrinò in un grido. Dove sei? Sei arrivata? Già alla casa di campagna?

No, ho scritto il pullman è fermo, sono tornata. Sono alla porta, entro fra un attimo

Non entrare!

Alessia rimase immobile, chiave in mano.

Cosa?!

Non entrare! Ascolti! Non apra la porta! Giri subito e venga da me, adesso, per favore!

Signora Teresa, sta bene? Alessia rise nervosamente. Che succede? Sono già davanti

Alessia, ti prego! Ho davvero bisogno di te!

Ma la serratura già scattò. Alessia spinse la porta.

Il tempo si fermò.

Nel vestibolo giaceva una confusione di scarpe: le sue ballerine, le sneaker di Marco e dei tacchi lucidi di qualche ospite. Un ombrello di altri colori appoggiato al portasciugamani. Un profumo dolcissimo, quello di una fragranza che non era la sua.

Nel salotto, sul divano, cera Marco, in pantaloni da casa e maglietta, scalzo. E nelle sue braccia una donna dai capelli scuri, spalle sottili, unghie rosse come ciliegie, che gli stringeva la vita.

Si baciavano come se il mondo intero non esistesse.

Marco aprì gli occhi per primo, vide la donna nella porta e impallidì. Il sangue gli svanì dal viso così in fretta che Alessia pensò che perirebbe di shock.

La donna si girò. Era giovane, venticinque anni, gli occhi spalancati come delfini spaventati. In un attimo afferrò la borsa, i tacchi, lombrello e, sfuggendo tra le gambe di Alessia, lanciò una nuvola di quel profumo dolciastro, batté i tacchi sul corridoio e sparì.

Alessia teneva ancora il telefono allorecchio.

Alessia! urlava la suocera. Alessia, rispondimi! Sei entrata? Alessia!

Quante volte? chiese, rauca.

Cosa?

Quante volte mi ha distratta, signora Teresa? Quei barattoli, i orti, le soffitte Quante volte ha coperto il figlio? Quante volte ha riso alle mie spalle, senza dirmi la verità?

Silenzio. Poi un ronzio. La suocera riagganciò.

Alessia posò lentamente il telefono, guardò Marco. Lui era fermo al centro del salotto, immobile.

Allora? chiese indifferente Alessia. Vuoi dire qualcosa?

Alessia, posso spiegare

Rise di gusto. Una risata isterica, quasi selvaggia.

Spiegare? Sul serio? Stai davvero dicendo quella frase?

Non voleva dire nulla! È solo

Solo cosa? Solo atterrata sul mio viso per caso?

Marco fece un passo verso di lei. Alessia indietreggiò.

Non avvicinarti. Non osare.

Ascolta

No, ascolta tu. si rese conto di quanto fosse chiara la sua voce. Questa casa è mia. Lho comprata prima del matrimonio, con i soldi della nonna. Tu non hai diritto alcuno. Hai quindici minuti per impacchettare le tue cose e uscire.

Alessia, parliamo

Quattordici minuti.

Non puoi proprio andartene così

Tredici.

Marco capì. Dalla sua espressione, dal tono, capì che Alessia non bluffava. Corse verso la camera da letto, chiuse le ante dellarmadio. Alessia rimaneva in corridoio, appoggiata al muro, a contare i respiri. Inspirare, espirare, senza crollare.

Dopo dodici minuti Marco tornò con una borsa malfatta e una giacca sotto il braccio. Si fermò alla porta.

Le chiavi, disse Alessia, senza colore.

Lui frugò nelle tasche, lanciò il mazzo sul tavolino e uscì.

La porta si chiuse dolcemente, quasi in silenzio. Alessia rimase lì un minuto, poi girò la serratura due volte, appese una catena.

Scivolò giù dal muro sul pavimento e scoppiò in singhiozzi.

Il lunedì successivo depositò la domanda di divorzio. I documenti furono accettati in fretta: senza figli, patrimonio separato, nessuna contestazione. Una semplice formalità.

Marco non chiamò più. Né Teresa. Come se non fossero mai esistiti. Tre anni di convivenza, poi silenzio.

Una settimana dopo Alessia sedeva in una caffetteria con Lucia, la sua migliore amica dagli anni delluniversità. Lucia ascoltava a bocca aperta, dimenticando il suo cappuccino ormai freddo.

Aspetta, scosse la testa, la suocera lo sapeva? Ti ha mandato in campagna proprio per?

Sembra proprio di sì.

Che assurdo!

Alessia sorrise stortamente.

Sai qual è la cosa più divertente? La consideravo come una seconda madre. Pensavo di aver trovato una vera famiglia. Era solo una recita. Loro due recitavano fin dal primo giorno.

Dal principio?

Riflettici. Quando ci siamo conosciuti, già vivevo nel mio appartamento, avevo un lavoro stabile, uno stipendio certo. Lui, invece, condivideva una stanza, faceva lavoretti qua e là Alessia sorseggiò il caffè amaro. Forse non fin dal primo giorno, ma presto ha capito che poteva sistemarsi comodamente.

Pensi che lui

Non lo so. Guardavo la tazza, la schiuma nera galleggiava in superficie. Forse provava qualcosa, a modo suo. Ma non era abbastanza per non tradire, non era abbastanza per non mentire ogni giorno. E sua madre voleva una nuora e un dipendente. Barattoli da riempire, orti da zappare, vestiti da sistemare. E il figlio doveva restare a disposizione.

Lucia strinse la mano di Alessia sul tavolo.

Mi dispiace, Alessia.

Non mi dispiace. Ho perso tre anni, ma va bene, succede. Non ho intenzione di sprecare un altro giorno con quelle persone.

E ora?

Alessia finì il caffè, pose la tazza sul piattino.

Ora? sorrise Vivere. Ricominciare da zero. Senza mariti fasulli né suocere finte. Ho lappartamento, il lavoro, la vita. È tutto quello che serve.

Si alzò, indossò la giacca. Fuori pioveva, una pioggia fine e fastidiosa. Ma Alessia sorrideva. Le cose brutte erano ormai dietro di lei.

Sì, è stato doloroso. Sì, è stato amaro fino a far scricchiolare i denti. Ma sopravviverà. E questa storia è solo un altro insegnamento: le maschere cadono, la verità libera.

Lucia la raggiunse alla porta.

Alessia, sei sicura di stare bene?

Lo sarò, rispose Alessia, voltandosi. Dammi tempo. E tornerò a sorridere.

Uscì sotto la pioggia e tornò a casa. Lì laspettava un nuovo progetto: la ricetta di una torta che aveva rimandato da tempo. E i pensieri sul futuro, che ora iniziava a costruire da sola.

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