Non riconosce il figlio

E allora, cosa pensavi? sbuffò il marito. Ti ho mentito? Ho detto che non mi piacciono i bambini!
Benedetta singhiozzò:
Michele, come si può non amare il proprio figlio? È la tua discendenza, vero? Non lo chiami nemmeno per nome questo è come lo chiami?
Il piccolo Tommasino, un anno di vita, con la bocca tutta di pappa, lanciò via il suo sonaglio.

Il bambino si fermò un attimo, prese un grande respiro e fece una strilla così forte che le orecchie di Benedetta ronzarono.

Corse verso la sedia, lo prese in braccio e guardò il marito.

Michele continuava a fare colazione, impassibile.

Tranquilla, piccolo, è caduto, è caduto, cullò Benedetta. Papà lo rialzerà. Michele, per favore, è vicino al tuo piede.

Michele abbassò lo sguardo. Il suo pantofolino giallo era a pochi centimetri da lui. Lo spostò delicatamente con il naso e spalmò il pane col burro.

Michele! perse la pazienza Benedetta. Perché lo calci? Ti è difficile piegarti?

Il marito si alzò in silenzio, andò al macchinetta del caffè, premé il pulsante, attese che il nero getto riempisse la tazza, e poi si girò verso di lei.

Sto in ritardo, Benedetta. Ho una riunione tra quaranta minuti e non ho ancora fatto colazione.

È mattina, è il traffico ovunque. Prendi tu il sonaglio! E non voglio avvicinarmi al bambino la camicia è candida, non voglio che mi sporchino.

Che c’entra la camicia? Il figlio piange e a te sembra che non ti importi

Tu piangi ventiquattro ore al giorno, replicò Michele con calma. È il suo divertimento: farmi innervosire. Va bene, vado.

La baciò sulla guancia e si eluse dalle manine appiccicose del piccolo.

Papa! aprì il suo sorriso senza denti, sbavando.

Michele non gli dedicò alcuna attenzione.

Ciao, gli lanciò e uscì dalla cucina.

Pochi minuti dopo la porta sbatté. Benedetta si sprofondò sulla sedia e scoppió in lacrime.

Perché lui le fa così? Che cosa ha fatto di male? E che colpa ha il bambino con il padre?

Tommasino, percependo lumore della madre, si calmò e cominciò a spargere la pappa rimasta sul tavolino.

Benedetta, con il naso tappato, cercò di riacquistare la calma. Non era più il caso che il figlio si agitasse.

Allimprovviso le tornò in mente una conversazione subito dopo il matrimonio:

Benedetta, a dirla tutta, non mi piacciono i bambini. Nessuno in generale. Mi spaventano. Rumore, sporco, caos, lamentele infinite
Perché dovremmo voler questo? Non facciamo figli, daccordo?

Allora lei rise e scrollò le spalle:

Dai, Michele. Tutti gli uomini dicono così finché non hanno un figlio in braccio. Linstinto si accende da solo.

Ma non è nato alcun istinto; anzi, odia il suo unico figlio.

***

A pranzo arrivarono i genitori di Benedetta. Giulia, la madre, entrò per prima, seguita dal padre, Sergio, che portava una scatola di mattoncini LEGO.

Dove sta il nostro re? Dove sta il nostro capo? tuonò Sergio dallingresso. Dai, vai a salutare il nonno!

Tommasino cantò felice, e per le due ore successive la casa fu unoasi di pace.

Benedetta finalmente poté sedersi sul divano con una tazza di tè, osservando il padre costruire torri e la madre nutrire il nipote con purea di frutta, cantando filastrocche allegre.

Benedetta, sei pallida, osservò la madre. Michele è tornato tardi ieri?

No, è arrivato puntuale, rispose Benedetta, distogliendo lo sguardo. Solo sono stanca.

Giulia strinse le labbra. Aveva visto tutto: nessuna foto di famiglia con il bambino, tranne quelle scattate al momento della dimissione, dove Michele sembrava un ostaggio. Sapeva che il genero non chiedeva mai di denti o vaccini, non si interessava al figlio. La figlia laveva già più volte lamentata.

Si avvicina a lui? chiese sommessamente il padre.

Papà, non cominciare. Ha il lavoro, è stanco.

Lavoro! sbuffò Sergio. Io ho lavorato due turni quando voi eravate giovani. Ma pensi che io non possa avvicinarmi al lettino? Ho fatto turni notturni per far dormire la madre! E questo padrone.

Sergio, più piano, rimproverò la madre. Benedetta, forse dovresti parlarci? Un ragazzo cresce, ha bisogno di un padre, di un modello maschile.

Te lho detto mille volte, mamma.

Benedetta si avvolse nelle braccia, imbarazzata davanti ai genitori per il marito. E ancora più colpevole per aver scelto un padre così sbagliato per il figlio.

E allora? incalzò la madre. Dice lascia crescere, quando sarà uomo, potremo parlare. Ma è tutta la tua responsabilità!

Solo tua? la madre quasi lasciò cadere il tovagliolo. E voi lo avete creato con la vostra?

La sera, quando i genitori se ne andarono, lumore di Benedetta tornò a essere cupo. Il marito sarebbe tornato, e doveva ancora preparare la cena, sistemare i giochi, evitare che calpestasse qualcosa e non iniziassero i pianti.

Michele rientrò alle otto.

Ciao, lanciò le chiavi nella penna. Cè qualcosa da mangiare? Ho fame come un lupo.

Polpette al forno, insalata in tavola, rispose Benedetta uscendo dal corridoio, asciugandosi le mani. Tommasino ha detto due parole nuove oggi: baba e dai.

Fantastico, replicò indifferente Michele, togliendosi la giacca. Speriamo che dai non fosse riferito al mio stipendio. I soldi già non bastano.

Sorrise della sua battuta, si diresse verso la camera da letto per cambiarsi. Benedetta rimase immobile. Non era solo una nota sul basso; era un indifferenza totale verso lunico erede. Se il figlio dicesse una parola o abbaiasse, la reazione sarebbe stata la stessa.

***

Tommasino aveva i denti che gli facevano male. Piangeva da mattina, per tutta la notte la famiglia non dormiva.

Benedetta lo teneva in braccio, gli spalmava del gel sulle gengive, accendeva i cartoni animati nulla funzionava.

Michele era a riposo. Era seduto in salotto davanti al laptop, cercando di guardare una serie con le cuffie, ma il pianto del bambino trapelava anche con l’isolamento acustico.

Intorno alle due del pomeriggio Benedetta lo mise a dormire per il pisolino. Era lunica occasione per respirare, fare una doccia e stare qualche minuto in silenzio.

Ma Tommasino resisteva. Si contorceva, lanciava il ciuccio, urlava così forte che il lampadario quasi tremava.

La porta della camera si spalancò: il marito apparve sulla soglia.

Benedetta, quanto ancora?! ribatté. Ascolto questo concerto da quattro ore! Mi scoppia la testa!

Tommasino, spaventato dal grido, cadde in unisteria, e Benedetta scoppiò:

Pensi che a me piaccia?! Ha i denti! Gli fa male!

Fai qualcosa! Zittiscilo, non so Dagli una medicina!

Lho data! Deve dormire!

Michele entrò nella stanza e si posizionò sopra la moglie.

Ascolta, basta tormentarlo. Se non vuole dormire, non forzarlo. Lascialo strillare in unaltra stanza. Portalo in cucina e chiudi la porta!

Sei fuori di testa? Benedetta non sapeva cosa rispondere. Ha solo un anno! Non può fare a meno del pisolino.

Se non dorme ora, alla sera avremo linferno. Il suo sistema nervoso, il nostro, non lo sopporterà.

A me non importa del suo sistema! Se non dorme di giorno, la sera sarrabbierà più in fretta. Logico, no?

Mi stufo di sentire queste lamentele. Voglio riposare a casa, capito? Basta con questo casino!

Riposare? rispose Michele, alzando gli occhi al cielo. Ero una madre eroica. Tutti partoriscono, tutti educano, e tu sei la più sfortunata.

Lascialo sul pavimento, che gioca. E va a preparare quello che vuole Si intrattiene da solo.

Capisci cosa stai dicendo? la voce di Benedetta tremò. È tuo figlio. Gli fanno male i denti. Vuoi privarlo del sonno per guardare la tua serie?

Propongo una soluzione! urlò Michele. Se non dorme, non costringerlo! È tutto semplice!

Tommasino piangeva di nuovo, nascondendo il viso sul petto della madre. Benedetta lo guardò con disprezzo.

Esci, sussurrò.

Cosa? non capì Michele.

Esci da qui e chiudi la porta.

Michele rimase un attimo, sbuffò e uscì, sbattendo la porta.

Ventiquattro minuti dopo Tommasino, esausto, si addormentò, respirando a fatica.

Benedetta uscì in cucina. Michele era al tavolo, mangiava un panino e scorreva il telefono.

Ho chiamato tua madre ieri, disse Benedetta, appoggiandosi al piano di lavoro.

Michele si irrigidì, depose il cellulare.

Perché?

Volevo capire cosa succede tra noi. Le ho chiesto comera la tua infanzia, come ti trattavano i genitori.

Mi ha detto che tuo padre non ti lasciava mai andare. Ti portava a pescare a tre anni, leggeva libri. Sei cresciuto in amore, Michele. Da dove nasce questo?

Michele si girò lentamente.

Unaltra volta, intonò, ti lamenti con mia madre, ci mettiamo male.

Non mi sono lamentata. Ho chiesto un consiglio.

Consiglio? rise. Sai cosa mi ha detto? Che sono un freddo bastone, che rovino la famiglia.

Mi hai trasformato in un mostro, Benedetta. Hai vinto?

E tu non sei un mostro? sussurrò lei. Guardati. Vivi con noi come un coinquilino di condominio.

Non hai mai chiamato tuo figlio per nome in una settimana. Lui, piccino, questo. Lo odi?

Michele rimase in silenzio.

Non lo odio, alla fine ammise. È solo non capisco cosa fare.

Urla, puzza, esige, chiede!

Torno a casa, trovo il caos e voglio solo silenzio, una chiacchierata, un film.

Invece trovi pannolini, giocattoli sotto i piedi e il tuo viso sempre accigliato.

È temporaneo, Michele. I bambini crescono

Crescono troppo, Benedetta. Troppo a lungo. Ti avevo avvertita: non mi piacciono. Credevi stessimo scherzando? Che il tuo grande amore mi cambierà?

Pensavo fossi un adulto. Che non amo i bambini e non amo mio figlio fossero due cose diverse.

Sono la stessa cosa, disse, gettando il panino non finito nel cestino. Vado a fare una passeggiata. Ho bisogno daria.

Vai, rispose Benedetta, voltandosi al lavandino. Vai pure. Tommasino e io non ci abitueremo.

Michele se ne andò, e Benedetta chiamò i suoceri. Doveva risolvere in fretta qualcosa.

***

La sera Tommasino si sveglió di buonumore. Il mal di denti era passato, correva sul tappeto cercando di acchiappare il gatto che si nascondeva sotto il divano.

Michele tornò due ore dopo. Benedetta non reagì. Il marito si tuffò nella poltrona, prese il telecomando.

Tommasino vide il padre. Il bimbo sorrise, agitò le ginocchia e si avvicinò alla poltrona, aggrappandosi al pantalone di Michele e guardandolo negli occhi.

Pa! disse squillante, porgendo una macchinina giocattolo.

Benedetta rimase immobile, temendo di respirare. Osservava la reazione del marito. Michele, lanciando uno sguardo veloce al figlio, si contorse e rivolse a sua moglie:

Toglilo via. Lasciami guardare la TV! Che si è incollato a me?! Vai dalla mamma, infastidiscila!

Benedetta prese Tommasino e lo portò in camera da letto. Unora dopo ne trasse due grandi valigie. Michele non ebbe nemmeno il tempo di stupirsi bussò alla porta. I genitori erano arrivati per prendere Benedetta e il nipote.

La suocera aveva tentato per un mese di convincere Benedetta a tornare, ma lei non cedette.

Dopo il trasloco, Benedetta volse al divorzio; non voleva più vivere con lui.

Michele, improvvisamente, si è svegliato, cercò di riconciliarsi, ma Benedetta decise di portare tutto in tribunale.

Il nipote sarà cresciuto dal nonno un vero uomo, in tutti i sensi.

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