«Una casa per due? Neanche a pensarci!»
«Trascriverò lappartamento a Livia e mi trasferirò da te. Tu vivi già da sola», disse Alessandra, senza chiedere nulla.
«Che voce da uomo è quella che senti, Ginevra?» Il tono era severo, come se la ragazza avesse tredici anni anziché trentatré.
«Sto guardando la televisione, mamma. Che vuoi?» Ginevra tentava di chiudere la conversazione in fretta.
«Dobbiamo parlare. Sul serio», affermò la madre, poi chiuse la linea. Tipico di lei: osserva e non interroga.
«Marco!», strillò Ginevra, gettando il cellulare sul divano.
«Che è successo?» Marco apparve dalla cucina, due tazzine di caffè in mano.
«Mia madre arriva stasera».
«Devo restare?», domandò.
«Non serve. Voglio sistemare le cose da sola»
**Spettri del passato**
I ricordi sono come fotografie in un album: alcuni sbiadiscono, ma lessenza resta. Ginevra aveva undici anni quando i genitori si separarono. Sua sorella Livia giocava ancora con le bambole, mentre Ginevra già imparava a leggere tra le righe degli adulti.
«Non ce la faccio più, Marta», le diceva il padre. «Questo non è più un matrimonio, è solo lombra di uno».
«E i bambini?» la voce della madre tintinnava come vetri rotti.
Dopo il divorzio, il papà imballò silenzioso le sue cose: la poltrona preferita, la tazza incrinata, anche i libri tutto sparì pian piano.
Ginevra divenne il ponte tra due mondi: la severità della madre e la calma del padre. Livia, invece, decise che il papà era un traditore e che la mamma una martire.
**Vita da adulti**
Ginevra si trasferì a studiare a Roma. Lavorò con impegno, determinata a possedere un giorno un appartamento suo. Livia fece qualche corso, divenne nail artist e si sposò quasi subito.
Il padre morì, lasciando solo ricordi belli e un vuoto.
La madre si faceva sentire solo per chiedere soldi o lamentarsi:
«Livia è incinta, aiutatela. Luca guadagna poco e al salone non la assumono nemmeno correttamente»
Ginevra sospirò, esausta.
«Sapeva a cosa andava incontro. È stata una sua scelta».
**Il nido proprio**
Qualche anno dopo, Ginevra acquistò la casa dei suoi sogni, tutta sua, con sudore e lacrime.
«Bella casa», commentò la madre, osservando ogni stanza. «Qualcosa di simile servirebbe a Livia, invece di vivere in un dormitorio con il bambino E tu sei qui, sola, in questo palazzo. Non è giusto».
«Livia ha sempre pensato che le spettasse tutto. Io ho lavorato».
Poi, anni dopo, arrivò una visita inattesa:
«Ho deciso la casa andrà a Livia e io verrò a vivere da te», disse la madre con un sorriso, scrutando ogni angolo.
«No», rispose Ginevra, concisa. «Questa è la mia casa».
«Che significa no qui? Lho già deciso!».
«Allora vivi con Livia. Questo non è un albergo».
«Sei fredda come tuo padre!».
«Grazie. Lui mi amava e non ha mai posto condizioni».
La porta sbatté. Restò solo silenzio e un senso di sollievo.
Sul cellulare lampeggiò un messaggio:
«Comè andata?»
Ginevra sorrise:
«Passa da me. Ti insegnerò a fare il tiramisù».





