Sì, alla fine sono tutti uguali

Caro diario,

Dario, sul serio? Ancora queste rose fastidiose? ho detto, scrutando il mazzo che mi aveva portato. Ti ho già detto cento volte che preferisco le peonie. Peonie, capisci? O non mi ascolti mai? Allora, che cosa ascolti davvero?

Dario è rimasto immobile sulla soglia, il viso arrossato, gli occhi pieni di quel misto di colpa, confusione e decisione di fare di tutto per strapparmi un sorriso.

Scusa, cara, mi ricorderò. La prossima volta saranno sicuramente peonie.

Ho posato il bouquet sul tavolo senza nemmeno odorarlo. Le rose erano belle, rigogliose, di un rosso borgogna con una leggera rugiada sui petali

Mia madre, Olga Moretti, ricordava ancora il giorno in cui la figlia mi aveva presentato a casa sua. Alto, spalle larghe, volto aperto e mani callose un ingegnere. Dario mi guardava come se fossi il più grande miracolo del mondo. Suo padre, Vincenzo Moretti, aveva annuito dietro di me, commentando a bassa voce: Un ragazzo serio, affidabile.

I primi diciannove mesi sono stati un sogno. Dario mi portava al mare della Costiera Amalfitana, mi regalava gioielli per ogni occasione, ascoltava pazientemente i miei interminabili racconti su amiche e colleghi. Ma poi ho notato un cambiamento: cominciai a parlare di lui con tono condiscendente, a volte con una noiosa irritazione, persino con disprezzo Dario mi ha portato una torta, lo sai? Sto a dieta. Chiama ancora, è come una foglia di ortica. Sembra che i suoi regali fossero più un tributo che un gesto d’affetto.

Nel secondo anno le liti sono scoppiate, ma era sempre io a innescarle. Mi annoiavo a tal punto da chiedermi:

Mi ami davvero? Ah, davvero? lo interrogavo spesso la sera. Non ti sembra diverso.

Alessandra, sono stato tutto il giorno

Proprio così! Tutto il giorno è da qualche parte e io qui sola! Forse è comparsa qualcunaltra?

Dario cercava scuse, giurava, io gli concedevo un giorno o due, poi lo perdonavo con dolcezza. Tornava con fiori, un libro che desideravo, biglietti per il teatro. Il nostro mondo tornava a posto finché non arrivava la prossima scintilla.

Ogni piccola cosa era un pretesto: Non hai detto così, Hai guardato così, Non ho messo like alla foto. Il lavoro, il telefono, la velocità di risposta tutto diventava motivo di discussione.

Basta! Ci lasciamo! era una frase che si ripeteva troppo spesso.

E ogni volta Dario bussava alla porta per chiedere scusa per primo. Io aspettavo, a volte un giorno, a volte una settimana, poi il ghiaccio si scioglieva.

Un giorno mia madre mi chiese con cautela:

Alessandra, lo ami davvero o è solo comodo?

Io, infastidita, risposi:

Mamma, non ti mettere domande così! Certo che lo amo. A volte è solo un po fastidioso, ma non cè altro.

Cinque anni di questo bizzarro tango: passione, litigi, rotture, riconciliazioni. Dario ha iniziato a vedere i primi capelli bianchi, nonostante non fosse ancora trenta, ha perso peso, sorrideva meno. Ma continuava a lottare. Perché? Non lo capivo. Forse per la speranza, per la fede che un giorno le cose si sistemassero, diventassero più semplici, più tranquille.

Al sesto anno ha fatto la proposta.

Lanello era elegante: una sottile fascia doro con un piccolo, ma lucente, diamante. Dario aveva prenotato un tavolo in un ristorante di lusso a Milano, aveva ingaggiato dei musicisti, aveva persino scritto un discorso su un foglietto che ha letto timidamente ad alta voce.

Io ho detto sì, quasi a caso, come se mi avessero offerto un dolce al caffè: non particolarmente gustoso, ma ho accettato, lho indossato, ho scattato foto per i social e ho chiamato le amiche.

Mia madre mi ha abbracciata come una madre premurosa:

Dario, sono felice. Veramente felice.

Mio padre ha stretto la mia mano:

Benvenuto nella famiglia. Finalmente ufficiale.

I preparativi sono partiti subito. Io ho preso in mano tutto: abito da sposa, fotografo di celebrità, orchidee vive per i tavoli. Dario acconsentiva a ogni capriccio, doveva essere il giorno perfetto per la futura sposa.

Un mese prima della data fissata, tutto è crollato.

Cosè questo? ho puntato il dito sul menù stampato. Arcobaleno? Davvero hai scelto Arcobaleno?

Ha una cucina ottima, Alessandra. Labbiamo provato, ti era piaciuto.

Ti ho detto Giardino Bianco, con terrazza e vista sul fiume! E tu mi proponi una rosticceria!

Non cè più posto per noi quel giorno, è già prenotato per un altro matrimonio.

E allora dovevi organizzare! Offrire soldi! Ma tu basta! Il matrimonio è annullato! Sono stanca!

Ho scaraventato il menù a terra e sono corsa fuori dalla stanza. Il solito copione: lui verrà a chiedere scusa, io lo rinfrescherò per qualche giorno e poi ricorderò. Ma questa volta non si è scusato. Sembrava solo stanco.

Il giorno dopo è tornato a prendere le sue cose. Ho visto mentre metteva via il rasoio, il caricatore, la maglietta.

Davvero te ne vai così? Mi lasci?

Ha chiuso la cerniera, mi ha guardato a lungo, con unespressione indecifrabile.

Sii felice, Alessandra. Veramente

E se ne è andato.

Ho aspettato una settimana, poi due. Il telefono taceva, nessun messaggio, nessuna chiamata, nessuna visita a sorpresa. Ho aperto più volte la conversazione con lui, il cursore lampeggiava nel vuoto, ma non ho scritto nulla. Lorgoglio non mi lasciava. Dario doveva tornare per primo, come sempre.

È passato un mese.

Forse è malato? mi sono chiesta nella cucina dei miei genitori. O in missione? O devo chiamarlo?

Mia madre, senza parole, mescolava il minestrone.

Mamma, dì qualcosa!

Che posso dire, Alessandra? Lhai lasciato andare via.

Io non lho lasciato! Io

Che?

Rimasi senza risposta.

Due mesi dopo, la collega del reparto contabilità, Sofia, mi ha detto casualmente a pranzo:

Ho visto Dario ieri, con una ragazza carina, bionda, un po timida.

Ho lasciato cadere la forchetta.

Con chi?!

Non lo so, una nuova, sembravano divertirsi

Quella sera ho cominciato a rovistare nei suoi profili social. Il suo account era pubblico lavevo già chiesto di togliere la privacy. Non cerano nuove foto, ma tra gli amici cera un nome che non riconoscevo: Caterina Soleri. Un profilo ordinato, paesaggi e gattini. Lavatar mostrava una ragazza di venticinque anni con un sorriso dolce.

Ho scorruto il suo profilo fino alle tre del mattino.

Mia madre mi osservava trasformarsi. La sicurezza svanita, lo sguardo ora beffardo. Ho perso peso, non come volevo, ma in modo malsano, gli occhi gonfi di occhiaie, irritabilità al limite della crisi.

È tutta colpa sua! ho urlato ai miei genitori. Sei anni! Sei anni di vita e così mi abbandona per una topina insignificante!

Sei stata tu a lasciarlo, mi ha ricordato sottovoce mia madre.

Non è la stessa cosa!

Allora in che cosa differisce?

Non riuscivo a spiegare.

Un anno è volato, doloroso e veloce insieme. Guardavo la vita di Dario attraverso lo schermo: barbecue con Caterina, concerti, foto con la didascalia Ci siamo trasferiti!. Un appartamento condiviso, una vita insieme. Poi una foto dellanello su un dito femminile con la scritta Ho detto sì! e tre cuori.

Mia madre ha incrociato quel post per caso, scorrendo il feed. Caterina splendeva nella foto, Dario accanto a lei, sorridenti, gli occhi vivi come una volta, prima che ogni gioia gli fosse strappata a gocce.

Bravissimo, Dario, ha pensato, finalmente.

Nel frattempo provavo a ricominciare. Igor è durato quattro mesi, è sparito dopo una lite per il ritardo al compleanno di unamica. Sergio è durato due, è scappato quando ho combinato una scenata in un ristorante davanti ai suoi colleghi.

Tutti gli uomini sono uguali! mi sono sfogata, seduta in cucina dei miei genitori. Inaffidabili, egoisti!

Vincenzo, mio padre, masticava una polpetta in silenzio. Mamma versava tè, pensando a quanto sia strana la vita. Io scorrevo il telefono, guardando foto altrui di felicità.

Mia madre ha sorriso, felice che Dario sia uscito dalla mia vita. Sì, era la sua figlia. Ma conosceva bene il carattere di Alessandra.

A una cena di famiglia ho fatto scorrere una vecchia vinile.

Almeno Dario era paziente. Questi non si può dire nulla, si offendono subito!

Magari non è colpa loro? ha suggerito timidamente mio padre.

Papà, cosa intendi?

Lui ha alzato le spalle:

È così. Il terzo uomo dellanno se ne va. Che coincidenza strana.

Io ho arrossito:

Vuoi dire che è colpa mia?

I genitori sono rimasti in silenzio. A volte il silenzio parla più delle parole.

Più tardi, mentre lavavo i piatti, mia madre rifletteva su come spiegare a sua figlia lovvio: lamore non è un gioco dove si preme allinfinito il pulsante salva e si torna al punto comodo. La pazienza non è infinita. Le manipolazioni corrodono la fiducia come il ruggine mangia il ferro.

Io, invece, incolpavo il mondo di ingiustizia, aspettando un principe a cavallo bianco che sopportasse le mie stravaganze per sempre.

Mia madre ha asciugato lultima tovaglia, lha riposta nellarmadio. Dalla porta aperta ha visto me nel salotto, incollata al telefono, a scorrere le vite altrui. Sapeva che avevo visto le foto di Dario con Caterina, le loro espressioni felici. Anche lei seguiva la sua vita da lontano.

Trentanni fa, quando ho tenuto per la prima volta mia piccola tra le braccia, avevo promesso di proteggerla da ogni male. Ma la solitudine è una scelta che ho fatto da sola. Per essere felice, dovrò cambiare, altrimenti non saprò mai cosa significa essere moglie e madre.

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