Ricordo di aver detto al mio promesso sposo che abitavamo in un appartamento in affitto, quando in realtà labitazione era tutta mia.
Sono cresciuta in una famiglia composta solo da madre e nonna; il padre ci aveva abbandonate e non si era più interessato a noi. Senza una figura maschile, le donne mi hanno insegnato a essere forte e indipendente. Ho studiato con impegno, ho lavorato sodo e, a ventisette anni, sono riuscita a comprare da sola un bilocale a Roma con i miei risparmi. A quel punto è sorta una nuova domanda: come gestire una relazione quando si possiede già una casa?.
Uscivo con diversi ragazzi, ma finché sentivano che avevo già un appartamento, mi vedevano non come una donna ma come un tesoro da cui risolvere i loro problemi di denaro. Non mi piaceva questo approccio; desideravo essere amata per la mia personalità, non per ciò che possedevo.
Quando ho incontrato Luca Bianchi e abbiamo iniziato a frequentarci, lui è venuto a trovarmi e le ho detto che stavo affittando un appartamento. Volevo capire come mi avrebbe trattata, se avremmo potuto costruire qualcosa anche se io non avevo nulla e lui non aveva nulla. Luca, però, ha risposto che la mancanza di una casa non era un ostacolo: avrebbe lavorato, risparmiato e comprato una casa per noi, dove avremmo potuto vivere insieme. Il suo gesto mi ha colpito. Così, per due anni, abbiamo convissuto e Luca ha davvero messo da parte i soldi.
Ora si avvicina il giorno del matrimonio. Dopo la cerimonia, Luca ha già in mente di comprare una casa per noi, e io sono tormentata dal rimorso. Per tutto questo tempo ho sottratto i soldi del canone, ingannandolo. Devo ora confessarglielo?
Mia nonna e mia madre dicono che non è necessario confessare: è meglio avere comunque il mio appartamento, mentre luomo dovrebbe provvedere al nido familiare. Ma come si può iniziare una vita matrimoniale su una bugia?
Penso ancora a quei giorni, a quelle parole non dette, e mi chiedo se lonestà non sia lunico vero fondamento di una casa, sia essa fatta di mattoni o di promesse.
