I miei parenti attendono con impazienza la mia dipartita. Credono di poter prendere possesso del mio appartamento, ma ho già preso le giuste precauzioni.

Ricordo come le mie parenti aspettassero il giorno in cui avrei lasciato questo mondo, sognando di appropriarsi del mio appartamento a Milano. Io, però, avevo già messo in ordine le cose.

Ho sessantanni, vivo da sola, senza figli né marito. Un tempo, però, mi ero sposata a venticinque anni per amore, con Giovanni Rossi. Il matrimonio si spezzò a causa dellinfedeltà di Giovanni; portò la sua amante nella nostra casa e io, non potevo sopportare tale intrusione, presi le mie cose e mi rifugiai da mio padre, Antonio Bianchi. Solo due mesi dopo il divorzio scoprii di essere incinta.

Decisi di non dire nulla al mio ex e di crescere il bambino da sola. Quando diedi alla luce Marco, i medici mi comunicarono la notizia più dura: Il bambino è nato molto debole e porta una malattia incurabile. Avrà molta fortuna se arriverà a vivere fino a undici o dodici anni. Non sapevo cosa fare né dove andare, ma allattai Marco ogni giorno, con un solo pensiero fisso: il suo tempo su questa terra era breve.

Quando Marco compì quindici anni, accadde limpensabile: morì, e una settimana dopo morì anche mio padre Antonio. Persi due persone amate. Il padre mi lasciò il suo ampio appartamento, situato nel cuore di Milano. Dopo anni di solitudine, con pochi uomini nella mia vita, desiderai ancora un figlio, ma il ricordo di quellesperienza mi fece temere di ripetere lo stesso dramma, così evitai ogni rischio.

A quarantacinque anni acquistai un portatile per tenere contatti con i parenti e leggere le notizie. Scoprirono che vivevo sola e cominciarono a venire a trovarmi a turno, portando regali e piccole cose. Domandavano sempre se avessi scritto un testamento; quando constatarono che non ne avevo uno, incominciarono a lamentarsi della mia situazione finanziaria. Alcuni persino si sforzavano di apparire più dignitosi agli occhi degli altri. Io, però, sapevo già a chi lascerò lappartamento: al mio amico Carlo, la cui figlia Chiara mi è sempre daiuto senza chiedere nulla in cambio.

La famiglia, invece, desiderava solo lappartamento. Dopo un po tagliai i rapporti con loro, ma ciò non li fermò. Un giorno il cugino Paolo mi chiamò con tono sgarbato, chiedendo se fossi ancora viva e a chi avrei dato limmobile. Rimasi talmente offesa che impedii a tutti i parenti di scrivermi o di chiamarmi.

Così, ormai, rimango sola con i ricordi di quelle visite, delle liti per leredità e della decisione di affidare la casa a chi ha davvero a cuore il mio benessere.

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I miei parenti attendono con impazienza la mia dipartita. Credono di poter prendere possesso del mio appartamento, ma ho già preso le giuste precauzioni.