Ristrutturare la Fiducia

Sergio Niccolò camminava verso il centro comunale di educazione permanente come se cercasse ancora il locale per la sua vecchia officina. Lo stesso viale di cortili, gli stessi cartelli Affitto, solo che ora non contava le vetrine né immaginava quanti clienti al volo avrebbero varcato la soglia. Contava i gradini del portico per non pensare a come lanno scorso i suoi risparmi si fossero sfilacciati e la fiducia fosse svanita.

Aveva quarantotto anni. Sul documento sembrava unetà solida, nella testa era come se qualcuno avesse premuto il tasto pausa e lavesse dimenticato. Da quasi dieci anni riparava elettrodomestici: allinizio da solo, poi con un socio, poi di nuovo solo e con pochi attrezzi, perché laffitto era salito e i clienti chiedevano: Fallo per dieci euro, meglio gratis. Non era caduto in modo spettacolare; era semplicemente stanco di dover spiegare perché il lavoro aveva un prezzo, e una mattina non riuscì più a svegliarsi con la voglia di sorridere a chi contrattava ogni singola vite.

Allingresso lo accolse una guardia dal volto severo e dagli occhi pieni di righe.

Posso aiutarla?

Vengo… al laboratorio. Voglio condurre un laboratorio, balbettò Sergio, quasi a sentirsi dire ma sei fuori strada.

Lei lo scrutò come chi ha sbagliato porta.

Studio tredici. Dritto lungo il corridoio, poi a sinistra. Lì troviamo la Tecnologia. Fate silenzio, accanto cè la sala canto.

Il corridoio era freddo, il linoleum ricordava riforme passate. Sergio portava sotto il braccio una scatola con quello che era riuscito a recuperare a casa: un multimetro, un set di cacciaviti, due vecchi saldatrici, una bobina di stagno e un contenitore di viti. Sembrava un carico comico per chi un tempo sognava una vera officina con aspirazione e luce a goccia.

Lo studio tredici era lex aula di tecnologia: banchi, armadio con serratura, una lunga scrivania alla finestra con due tappetini per la saldatura e un prolunga attorcigliata. Sul muro pendeva un cartellone di sicurezza, sbiadito, ma la frase non toccare con mani bagnate era ancora leggibile.

I primi ragazzi non entrarono subito. Il programma recitava: Riparazione e assemblaggio di elettrodomestici, 1416 anni, ma alla soglia comparvero ragazzini di dodici anni e ragazze con sguardi come se fossero state spinte lì contro la loro volontà.

Qui si ripara davvero? chiese un ragazzo alto in giacca nera, con il cappuccio tirato giù.

Davvero, rispose Sergio. Se cè qualcosa da aggiustare.

E se non cè?

Allora smonteremo e rimonteremo, disse, senza aspettarsi di dirlo. Il ragazzo annuì e rimase.

Arrivò poi un ragazzo magro, silenzioso, con lo zaino più pesante di lui. Si sedette vicino alla finestra e tirò fuori un quaderno a righe, senza salutare, senza guardare Sergio, aggiustandosi la penna con le dita.

Come ti chiami? chiese Sergio.

Arturo, rispose dopo un attimo, come se valutasse se fosse il caso di rispondere.

Altri due si unirono per compagnia e cominciarono a sussurrare alla porta. Uno, rotondo e sempre sorridente, laltro con le cuffie incollate alle orecchie.

Io sono Daniele, disse il rotondo. E questo è Silvano. Lui sente tutto, anche senza cuffie.

Silvano alzò il pollice, mantenendo le cuffie.

Sergio capì subito che il suo solito ritmo veloce, la sicurezza da venditore, non funzionava lì. Nessuno era lì per un servizio, ma per vedere se ladulto avrebbe fatto finta di essere sulla stessa lunghezza donda.

Posò la scatola sul banco e aprì il coperchio.

Ascoltate. Chi ha a casa un elettrodomestico rotto, che non fa pena portarlo, lo porti qui. Bollitori, asciugacapelli, magnetofoni, casse qualsiasi cosa non sia collegata direttamente a una presa da duecentotrenta volt si fermò, si aggiustò, e proseguì . Lo smonteremo, vedremo perché non funziona e lo rimonteremo. Se qualcosa brucia, capiremo perché è bruciato.

E se prende una scossa? chiese Daniele, sperando in un colpo di scena.

Allora la colpa è mia, rispose Sergio. Perciò prima impariamo a non farci prendere dalla corrente. Lavoreremo con le spine scollegate. È noioso, ma le dita vive non lo sono affatto.

Nel primo incontro quasi nulla fu riparato. Sergio mostrava come impugnare il cacciavite, come non strappare le scanalature, come etichettare le viti per non averne in più. I ragazzi ascoltavano a tratti, poi si distrarrebbero. Arturo disegnava rettangoli sul quaderno, quasi schemi. Silvano fissava il telefono, poi alzava lo sguardo verso le mani di Sergio, come a memorizzare.

La saldatrice che il centro aveva fornito in carico era morta. Sergio la collegò, toccò il corpo freddo.

Non si scalda, disse Daniele soddisfatto, come avesse beccato una bugia.

Allora cominciamo a riparare la saldatrice, rispose Sergio con calma.

Al secondo incontro qualcuno portò un bollitore elettrico senza supporto. Il corpo era intatto, il pulsante scattava, ma non si accendeva.

È della mamma, disse Daniele, poi aggiunse: Quasi. Lei ha detto che se lo riparo, non compra un nuovo.

Sergio aprì il pannello inferiore, mostrò il gruppo di contatti.

Qui cè un contatto bruciato. Il contatto è stato cattivo, si è surriscaldato. Lo dobbiamo pulire e verificare se è rimasto allineato.

Possiamo semplicemente cortocircuitare? chiese Silvano, togliendo una cuffia.

Si può, rispose Sergio, ma poi il bollitore accenderà da solo, quando vuole. È come

Si fermò, non trovò la parola.

Come una porta senza serratura. Sembra chiusa, ma può entrare chiunque.

Lavorarono in due, Daniele accendeva una torcia sul cellulare, Arturo osservava. Arturo, quasi a voce bassa, disse:

Potrebbe esserci un fusibile termico. Se è bruciato, pulire il contatto non serve.

Sergio lo guardò.

Dove esattamente?

Arturo prese la penna, tracciò sul margine una piccola mappa e indicò.

Di solito è vicino al riscaldatore, nella guaina termica.

Parlò con calma, senza voler impressionare, solo per dire i fatti. Sergio provò una strana leggerezza: non era lunico a sapere cosa fare.

Trovarono il fusibile, lo misurarono col multimetro, era integro. Pulirono i contatti, rimisero tutto insieme, collegammo il tutto a una prolunga. Il bollitore fece clic e ruggì.

Oh! esultò Daniele, con un sorriso largo. Funziona davvero.

Per ora sì, osservò Sergio. Ma non lasciarlo incustodito a casa. E di alla mamma che abbiamo pulito i contatti, non con la magia.

Lei dirà lo stesso, mormorò Daniele, ma senza rabbia. Ripose il bollitore in una busta come fosse un trofeo.

Al terzo incontro arrivò una ragazza, Ginevra, con un asciugacapelli che trattava come se potesse mordere.

Puzza e si spegne, disse. La mamma vuole buttarlo, ma io non voglio.

Sergio smontò lasciugacapelli; dentro cerano polvere e capelli.

Ecco perché puzza, commentò. Non è lasciugacapelli a essere cattivo, è la vita che lo ha inquinato.

Ginevra rise, una risata breve e cauta.

Si spegne?

Probabilmente per il termostato. Dobbiamo pulire le spazzole e controllare il contatto.

Silvano improvvisamente si animò:

A casa ho lo stesso. Papà lo ha incollato con la colla, ora fa rumore.

Colla? rise Sergio, ironico. La colla può aggiustare tutto, a volte anche le relazioni.

Silvano lo osservò, come a verificare se ladulto stesse scherzando troppo sul serio.

Pulirono lasciugacapelli, ungero il cuscinetto con una goccia dolio, verificarono il cavo. Ginevra, più calma, osservò:

A casa succede lo stesso. Se non lo pulisci, poi brucia.

Sergio annuì, fingendo di non coglier il sottinteso.

Nei giorni successivi Arturo arrivava prima. Si sedeva alla finestra, spalmandosi schemi sul tavolo. Sergio notò le piccole graffiature sulle sue mani, segno di un altro laboratorio domestico.

Dove hai imparato? chiese, quando Arturo aggiustò da solo il connettore di una vecchia cassa.

A casa. Il nonno aveva una radio. Dopo la sua morte è rimasta lì. Non volevo che finisse nel dimenticatoio.

Sergio sorrise, capendo quel desiderio di far funzionare qualcosa, altrimenti tutto intorno cadeva a pezzi senza motivo.

Non parlò mai del suo passato da imprenditore, solo prima riparavo. I ragazzini non chiedevano dettagli, ma lui percepiva lattesa di una domanda, temeva di sentirla: Hai fallito?.

Una sera, smontando un vecchio magnetofono portato da Silvano, la frustrazione esplose. Il magnetofono era un antiquario con un pulsante play rigido; una molla volò sotto larmadio.

Perfetto, sbottò Sergio, irritato. Senza quella non si ricostruirà.

Daniele sbottò:

È come nei videogchi: il loot è volato.

Arturo si inginocchiò, Silvano tolse laltra cuffia, e insieme cercarono la molla, quasi senza respirare. Sergio provava vergogna per il suo sbuffo; ricordava le volte in cui aveva alzato la voce a un cliente che chiedesse solo una cosa. Si scusò:

Scusate, è stata colpa mia. Avrei dovuto mettere un telo sopra il tavolo per non far volare le piccole parti.

Va bene, intervenne Daniele, serio. Anche noi facciamo errori.

Arturo estrasse la molla con il bordo di un righello.

Ce lho, annunciò, per la prima volta con fiero orgoglio.

Sergio la mise in una piccola scatola e disse:

È una parte importante, non perché il dispositivo non funzioni senza, ma perché labbiamo trovata.

Silvano rise:

Filosofo.

No, rispose Sergio. Solo esperienza.

Qualche settimana dopo, il centro annunciò una piccola fiera dei laboratori per genitori e vicini. Niente di grande: tavoli nellatrio, i ragazzi mostreranno cosa fanno. La direttrice del centro, una donna con taglio corto e una valigetta sempre pronta, si fermò nello studio tredici.

Sergio Niccolò, parteciperete anche voi? Dovete mostrare qualcosa. Niente esperimenti pericolosi, daccordo?

Siamo già senza pericoli, rispose lui.

Ho notato la vostra prolunga, disse asciuttamente, e se ne andò.

Sergio osservò la prolunga, un groviglio di vecchi cavi, e capì che la fiera avrebbe rivelato tutto: la povertà dellattrezzatura, il fatto che imparavano con ciò che avevano, e il suo stesso dubbio di essere più maestro o artigiano.

Mostreremo qualcosa di riparato? chiese Daniele.

Sì, rispose Sergio. Ma deve funzionare non solo su questo tavolo, ma anche davanti a tutti.

E se non funziona? intervenne Ginevra.

Allora diremo onestamente che non è riuscito, rispose lui. Fa parte del processo.

Arturo alzò gli occhi dallo schema.

Possiamo fare uno stand, mostrare linterno, non solo il si è acceso.

Sergio sentì una spinta dentro: era abituato a vendere il risultato, ora poteva mostrare il percorso.

Buona idea, accettò. Facciamolo.

Il giorno della preparazione rimasero dopo le lezioni. Il corridoio era già semibuio, la custode spazzava il pavimento, lodore del detergente si mescolava alla polvere del loro laboratorio. Sergio stese cartoncini, pennarelli, nastro adesivo. Daniele portò una vecchia cornice per rendere il tutto più bello. Silvano trascinò una piccola cassa che avevano rianimato e accese una musica leggera.

Silenzio, ordinò Sergio automaticamente.

Sto, rispose Silvano, abbassando il volume.

Ginevra posò lasciugacapelli accanto a un cartello Dopo la pulizia. Daniele sistemò il bollitore e scrisse: Contatti. Niente magia. Arturo incollò sul cartoncino lo schema del magnetofono, disegnando frecce e note.

Sei un ingegnere, osservò Sergio.

Preferisco essere chiaro, replicò Arturo.

Scattò una piccola lite. Daniele voleva mettere il bollitore al bordo del tavolo per farlo vedere meglio; Ginevra temeva che lo facessero cadere. Silvano intervenne, dicendo che a tutti non importa. Daniele esplose:

Sempre ti importa poco! Sei venuto qui solo per dimostrare di non essere uno stupido!

Silvano tolse le cuffie in un gesto brusco.

E tu sei qui per provare alla mamma che non sei un idiota, sbottò.

Il silenzio calò nella stanza. Sergio avvertì il desiderio di intervenire, di distribuire parole sagge. Ma ricordò quante volte aveva chiuso tutto in fretta e poi se ne era pentito.

Ragazzi, disse con voce calma. Nessuno deve sentirsi colpito. Siamo qui per imparare, non per fare a pugni.

Daniele si voltò, le orecchie arrossate.

Devo davvero dimostrare qualcosa, mormorò. Altrimenti

Silvano guardò il pavimentoCon il pubblico che osservava in silenzio, Sergio alzò la mano, sorrise e dichiarò che, anche se il futuro fosse ancora incerto, la loro piccola officina era ormai il cuore pulsante di una comunità che ricostruiva insieme, pezzo dopo pezzo.

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