Mia zia mi lasciò la piccola casa di Vicenza, ma i miei genitori non ne furono felici. Vorrevano che la vendessi, che i soldi li dessi loro e che io tenessi solo una parte. Con voce univoca affermarono che non avevo alcun diritto su quel tetto.
A volte, le persone più vicine possono trasformarsi in nemici.
È difficile da credere, ma i miei genitori mi odiano davvero. Spesso mi sembra che non siano la mia famiglia. Con la sorella minore, invece, non si può dire lo stesso. Lei si chiama Ginevra; noi non somigliamo per nulla e non desidero mai assomigliarle, il suo carattere non mi piace. Eppure i genitori lhanno sempre dipinta come modello.
Vittoria, la cugina più giovane, è solo allottava classe, è sempre scortese con gli anziani e non si cura affatto di sé. Non so a chi guardare per ispirazione Anche se io ero la primogenita, Vittoria comprava abiti nuovi mentre io indossavo vestiti di seconda mano che lei non voleva più.
Nessuno credeva fossero due sorelle. Io ero educata e ordinata, lei volgare e sregolata. Lunico affetto mi veniva dalla zia Barbara, la sorella del mio padre. Senza figli suoi, si prendeva cura di me, ed è stato più vero che il legame con i miei genitori o con Ginevra. Trascorrevamo ore nella sua cucina, dove il profumo di seta e di pane appena sfornato mi avvolgeva. Mi sentivo a casa, così tanto da non volere più tornare al proprio nido.
Oggi posso dire che è stata la zia Barbara a darmi forma. Era sarta e mi trasmise lamore per il cucito. La zia era gravemente malata, quindi non aveva fretta di formare una famiglia. Quando finii la scuola, ella se ne andò, lasciandomi il suo modesto casale.
Il dolore per la perdita non si placò, ma quelleredità fu per me come un dono del destino. Finalmente potevo uscire dal groviglio di serpenti e cercare una vita tranquilla. Lunica preoccupazione era che mio padre si considerava lerede unico di quella casa. Mi aspettavo già uno scandalo enorme.
Le mie paure si avverarono quando i genitori e Vittoria vennero a sapere della notizia. Insistettero perché vendessi la casa, che i soldi li consegnassi a loro e che io ne tenessi solo una piccola parte. Con voce unanime dichiararono che non avevo alcun diritto sul bene.
Quando i loro argomenti non riuscirono a colpirmi, cominciarono a fare appello alla pietà, ricordando che eravamo una famiglia. Poi, come in un sogno, richiamarono i legami di sangue.
Io ho la mia opinione: venderò la casa, ma solo per comprare unabitazione il più lontano possibile da loro. Anche armata di una pistola immaginaria, non rivelerò loro il nuovo indirizzo. Merito una vita felice senza il loro peso.
Desidero chiudere tutto il più presto possibile e iniziare una nuova esistenza, lontano dal rumore dei loro lamenti, sotto un cielo di stelle che non appartiene a nessuna città terrestre.






