15 ottobre 2023
Mi chiamo Natalina Rossi e da un mese vivo nel mio nuovo appartamento a Trastevere. Le scatole sono ancora accatastate negli angoli, perché il lavoro al tribunale mi inghiotte tutto il tempo: quando mi siedo al computer, la notte cade senza che me ne accorga. Lunica cosa che sono riuscita a sistemare è la cucina, il mio piccolo rifugio dove, dopo una lunga giornata, mi rilasso preparando qualcosa da mangiare.
Non conoscevo molto i vicini, solo qualche cenno al piano di sotto sullandrone. Perciò, quando alla porta bussò una donna dal volto teso, non capii subito chi fosse.
Scusi, mi chiamo Sofia, la sua vicina. Ho un piccolo problema
La voce era spezzata e, ogni tanto, voltava lo sguardo verso i due bambini che stavano dietro di lei, immobili come due passeri. Il maschietto, sottile, con gli occhi vivaci, e la bambina più piccola, con i capelli intrecciati strettamente, quasi pronti a strapparsi.
Devo partire subito, solo per due ore. Potrebbe… sbottò, cercando le parole.
Badare ai bambini? completai io la frase, anche se lidea mi metteva a disagio. Sono abituata alla mia solitudine e rifiutare a volte è più difficile di accettare.
Sì! In un lampo, andrò e tornerò.
I due piccoli si infiltrarono silenziosamente nellappartamento, quasi non si sentissero. Sofia sussurrò qualcosa allorecchio dei figli e sparì.
Allora, ragazzi, come vi chiamate? cercai di sorridere più cordiale possibile.
Alessandro, rispose timidamente il bambino.
Ginevra, ecò la bambina.
Volete qualcosa da bere? dissi, dirigendomi verso la cucina.
Alessandro si scambiò uno sguardo con la sorella e sussurrò:
Posso ?
Quel tono mi fece fermare. Come se chiedere un bicchiere dacqua fosse una domanda proibita.
Certo! Ho succo, acqua, tè
Mentre prendevo i bicchieri, notai Ginevra che scrutava di sbieco un vassoio di biscotti. Quando mi girai, la bambina distolse lo sguardo.
Prendete i biscotti, li ho appena sfornati, spostai il vassoio più vicino al tavolo.
È davvero possibile? ribadì con voce appena un sussurro.
Per rompere il gelo, cominciai a parlare della mia collezione di libri di cucina, tirando fuori il più bello, illustrato da torte sontuose. I bambini si avvicinarono piano, ma sobbalzavano ad ogni rumore: uno sbattimento di una finestrina o il clacson di una macchina fuori.
Dopo circa quattro ore, Sofia tornò, irrompendo come un uragano.
Alessandro! Ginevra! Tornate subito a casa!
I due si alzarono al suo segnale. Ginevra, sfiorando con il braccio il vaso di biscotti, lo fece cadere. La bambina rimase impietosa.
Sta tutto bene, non è nulla, la rassicurai, ma notai che si strofinava il polso, tirando su la manica. Sotto la pelle pallida spuntava un livido, segno di una presa forte.
Grazie, sbottò Sofia mentre usciva, spingendo i bambini nel pianerottolo.
Rimasi lì, a guardare la porta chiudersi. Qualcosa non quadrava. Non affatto.
***
Mi torna spesso in mente il pensiero ossessivo che non mi lascia: gli occhi di quei bambini, spaventati, vigili, come animali appena messi a ferro. Dopo una settimana, notai che le finestre di Sofia sono quasi sempre tappezzate da tende pesanti, anche quando il sole di Roma splende. Mai li sentii giocare o ridere; solo occasionali urla della madre e il clangore di porte che sbattono.
È severa, allena bene i suoi figli, commentò la signora Martina del terzo piano quando le chiesi qualche informazione, non come i giovani di oggi, che non hanno regole.
Giovedì successivo incontrai Alessandro al supermercato, davanti al banco dei cereali, a contare nervosamente le monete tra le dita.
Ciao, Alessandro!
Il ragazzo sussultò, facendo cadere le monete sul pavimento. Le raccolsi con lui, osservando le sue mani tremare.
Per favore, non dite nulla a mamma, mormorò, stringendo una confezione di miglio economico, perché?
Ma prima che potessi rispondere, scappò, quasi urtando gli altri clienti.
Quella sera Sofia tornò di nuovo.
Natalina, mi serve un favore. Devo stare via per tutto il giorno. Pagherò quello che volete.
Rifiutai i soldi. Sentivo che dovevo osservare quei bambini più a lungo.
Il giorno trascorse diverso. Alessandro e Ginevra cominciarono a sciogliersi. Accesi un vecchio cartone di Masha e Orso, e Ginevra rise piano quando lorsetto litigava con il coniglio. Poi iniziammo a preparare dei biscotti.
Da casa mia non si sente così, osservò Alessandro, tagliando le forme di pasta, che profumo ha tua casa?
Non lo so, rispose Ginevra, tirandolo per la manica.
Un rumore improvviso di una pentola che cadeva li fece alzare le mani al viso, come se volessero proteggersi. Dentro di me qualcosa si spezzò.
Mamma ci sgridava se facevamo rumore, sussurrò Ginevra, abbassando le braccia, e anche se mangiavamo fuori orario. E
Ginevra! la interruppe il fratello.
Osservando il collo della bambina, scorsi una striscia rossa di livido sotto il colletto. Ginevra mi guardò e affrettò a sistemare il vestito.
Dobbiamo comportarci bene, così mamma non si arrabbia più, disse Alessandro, decorando il biscotto con la glassa, e tutto sarà a posto.
La parola a posto riecheggiò nella mia mente mentre guardavo quei due: intelligenti, innocenti, ma intrappolati. Loro vita non aveva nulla di normale. Nientaltro.
Quella sera, mentre restituivo i biscotti a Sofia, avvertii lodore di alcol. Non mi chiese come fosse andata la giornata, ma prese i bambini per mano e li trascinò via.
Rimasi a guardare le loro finestre scure. Dovevo fare qualcosa, ma cosa? Dovrei parlare con le autorità.
***
E non farà nulla? chiesi al commissario dopo un lungo colloquio.
Cosa volevate? Non ci sono prove. La madre ha tutti i documenti in regola. Forse è solo una sua impressione, rispose, scrollando le spalle.
Le notti successive sono state insonni. Dopo la segnalazione, Sofia mi guardava con uno sguardo minaccioso, quasi sfidante. Ma gli sguardi dei bambini erano più inquietanti: non alzavano più gli occhi verso di me, come se avessero capito che li avevo traditi. Chissà come lo sapesse? Forse le avevano detto.
Iniziai a bussare alle porte dei vicini, ma incontrai solo indifferenza.
Che legami hai con loro? sbuffò la signora di sopra al terzo piano, una madre che allatta e non beve quasi niente.
Al supermercato, la commessa Marina, una donna robusta dagli occhi gentili, iniziò a parlare con me:
Li vedo spesso. Alessandro conta le monete, prende il più economico. E la madre compra whisky caro, non quello da tavola.
I bambini sono da poco con lei? chiesi.
Da due anni. Ma non la ricordano, né il suo aspetto, abbassò la voce. È diversa.
Quella notte, mentre lavoravo al computer, sentii dei rumori: grida soffocate, vetri che si infrangevano, pianti di bambini. Chiamai subito la polizia.
Quando gli agenti entrarono:
I bambini sono a letto? chiesero.
Dormono, rispose Sofia, forzando un sorriso, è tardi.
Gli uomini entrarono nella stanza: i due erano sdraiati, immobile, quasi come se fossero morti. Ginevra girò la testa e vidi una fresca abrasione sulla guancia.
È caduta, affrettò a dire Sofia, è proprio una goffa.
Gli agenti se ne andarono; io rimasi con la sensazione di impotenza più grande.
Due giorni dopo, bussò alla porta Alessandro, pallido, le labbra incrinati.
Ecco, mi porse un foglio stropicciato, è una nota di Ginevra.
Era breve: Aiutateci, per favore. Poi Alessandro, spaventato, si mise a correre per le scale, urlando:
Non è nostra mamma! Non ricordiamo come siamo arrivati qui! Solo unaltra casa! e sparì.
Il foglio, scritto con una mano tremante, aggiungeva: Ci punirà se raccontiamo a qualcuno.
Quella notte non chiusi gli occhi. Al mattino, decisi di agire.
Sai che ti stai immischiando in qualcosa che non è affar tuo? ringhiò Sofia, spingendomi contro il corridoio, lalito puzzolente di alcol, Pensi di essere una santa? Io so chi ha chiamato la polizia, ho fatto intervenire i servizi sociali.
Io la fissai con calma:
Sai cosa penso? Che quei bambini non sono tuoi.
Sofia indietreggiò come colpita, e nei suoi occhi comparve il terrore.
Bugie! Ho tutti i documenti!
Sospetti, direi.
La sera stessa telefonai a unassociazione per la tutela dei minori, a un investigatore privato, anche ai Carabinieri. Ogni chiamata finiva con una denuncia.
Cavolo, sbottò Sofia, ti pentirai.
Il giorno dopo, il servizio sociale mi contattò.
Signora Rossi, cinque anni fa a Napoli sono scomparsi due bambini, un fratello e una sorella. Letà corrisponde, anche laspetto… la voce tremava.
Le mie mani tremarono.
Cosa succederà? chiesi.
Coinvolgeremo la Polizia, preparatevi a testimoniare, rispose.
Quella notte sentii Sofia frugare armadietti e chiudere porte a chiave. Chiamai subito lagente di zona.
Unora dopo, lintero condominio era invaso da agenti, assistenti sociali, investigatori. Sofia correva su e giù, sbattendo finestre e porte.
Non avete diritto! Sono i miei figli! urlava.
Allora spiegate perché i volti corrispondono a quelli dei bambini scomparsi, Kostas e Vera Samoiloff, rapiti cinque anni fa? chiese lispettore, con voce ferma.
Alessandro, ora chiamato Kostas, teneva stretta la sorella. Il piccolo tentò di parlare, ma Sofia lo interruppe:
Sta zitto! strillò, afferrando i due.
Gli agenti lo immobilizzarono, le manette tintinnarono.
Sofia Bianchi, è in arresto per sequestro di minori, annunciò lispettore.
Guardai la donna essere portata via, sentendo un vuoto straziante. Dopo settimane di tensione, il caso sembrava chiuso.
Vera, che prima era Ginevra, corse verso di me, mi abbracciò forte:
Ci hai salvati! Grazie!
Le lacrime mi scivolarono sul viso.
Due giorni dopo, i bambini furono sistemati in una casa di accoglienza della provincia. Li visitavo ogni giorno; lentamente ricominciarono a sorridere, a parlare a voce alta. Quando finalmente arrivarono i loro genitori biologici, una donna dal capello argentato, Anna, li accolse con gli occhi pieni di lacrime, e il marito, un uomo alto e gentile, li stringé al petto:
Non abbiamo mai smesso di sperare, disse.
Scoprii che Kostas amava gli scacchi, vincendo tornei giovanili, e Vera dipingeva con passione.
Guarda, sei come un angelo custode, mi disse Vera, mostrandomi un suo disegno.
Ricordo ancora quella prima sera in cui vidi qualcosa di strano. Quanto sarebbe stato facile ignorare, far finta di nulla. Quante persone lo fanno.
Sei mesi dopo ricevetti una lettera. I ragazzi scrivevano che ora vanno a scuola, il papà li porta a giocare a scacchi e Vera frequenta un laboratorio di pittura. Non temono più i suoni forti né il buio. Hanno ricominciato a fidarsi delle persone.
Nella busta cera ancora un disegno, luminoso, di una famiglia al picnic, tutti sorridenti. In basso, la scritta: Grazie per averci insegnato a non aver paura di essere felici.
Lho appeso al muro. Ogni volta che lo guardo penso a quanto un piccolo gesto di indifferenza può trasformarsi in una grande luce. Basta non passare oltre, basta notare, basta aiutare.
Ora, quando vedo Kostas raccontare entusiasta al papà, o Vera ridere sullaltalena, sento che il mondo può davvero cambiare, un passo alla volta.






