Ti ho dato un figlio, ma da te non vogliamo nulla – la telefonata dell’amante sconvolge la famiglia di Lera

Ti ho dato un figlio, ma non voglio nulla da te, mi ha telefonato lamante.

Mio marito guardò Clara con gli occhi di un cane bastonato.
Non hai capito male. Clara, sei mesi fa ho avuto unaltra donna.
Ci siamo visti un paio di volte, solo così, per svago.
E ora lei mi ha dato un figlio. È nato da poco…

Clara si sentì girare la testa. Che notizia!
Il suo fedele, amorevole marito aveva avuto un figlio da unaltra!
Impiegò unenormità a realizzare il senso di quelle parole.

Per diversi minuti provò a metabolizzare ciò che intendeva suo marito.

Lui sedeva davanti, le spalle ricurve, le mani strette tra le ginocchia.
Sembrava più piccolo del solito, come se tutto laria fosse uscita dal suo corpo.

Un figlio, dunque, ripeté Clara. Un figlio, a te, uomo sposato.

E non te lha dato tua moglie. Cioè, non io…

Clara, giuro che non lo sapevo. Te lo giuro.

Non sapevi come nascono i figli? Hai quarantanni, Marco.

Non sapevo che lei… che avrebbe deciso di tenerlo.
Ci siamo lasciati tanto tempo fa, è tornata dal marito.
Credevo fosse tutto a posto.

Poi, ieri, la chiamata: «Hai un figlio. Tre chili e duecento grammi. Sta bene».
E ha messo giù.

Clara si alzò. Le gambe le cedevano, le ginocchia molli, come se avesse appena corso la maratona.

Fuori la pioggia autunnale batteva sulle vetrate milanesi.

Clara si perse un attimo nel paesaggio umido oltre la finestra Milano era splendida, comunque…

E adesso? chiese Clara, ancora di spalle.

Non lo so.

Ecco la risposta di un vero uomo di casa. Non lo sai.

Si girò in un lampo.

Vuoi andare? Vederlo?

Marco, spaventato, alzò gli occhi su di lei, pieno di vergogna.

Clara, mi ha scritto il nome dellospedale, ha detto che luscita è dopodomani.
Parole sue:
«Se vuoi vieni, se no fa nulla. Non voglio niente da te».
Fiera…

Non vuole niente…

Nulla, ripeté Clara tra sé. Santa ingenuità.

In corridoio si sentì lo schiocco della porta dingresso erano tornati i ragazzi.

Clara indossò subito il sorriso migliore.

Sapeva fare buon viso a cattivo gioco gli anni passati a gestire la propria agenzia la avevano temprata a recitare anche quando gli affari andavano a rotoli.

In cucina si affacciò il maggiore un ragazzo alto, di ventanni, dallaria sicura.
Ehi, ciao mamma, ciao papà. Che aria, che avete?
Mamma, cè qualcosa da mangiare? Siamo affamati dopo calcio come lupi.

In frigo ci sono le lasagne, scaldatele, disse Clara.

Papà, avevi promesso di guardare la Vespa che non parte, il secondo figlio, più giovane, batté la mano sulla spalla del padre.

Clara osservava la scena e il cuore le si chiudeva in una morsa dolorosa.

Lo chiamavano papà. Il vero padre era scomparso anni prima, limitandosi a inviare pochi euro di mantenimento e un biglietto di auguri ogni tanto.

Marco li aveva cresciuti. Gli aveva insegnato a guidare, curato le ginocchia sbucciate, partecipato ai colloqui con i professori, risolto mille problemi.

Era lui il loro vero padre.

Marco si fece forza e sorrise:
Sì, Simo. Dopo ci guardo. Ora lasciatemi parlare con la mamma.

I ragazzi uscirono, facendo tintinnare i piatti.

Ti amano, sussurrò Clara. E tu…

Clara, basta. Li amo anche io. Sono miei figli. Non vado da nessuna parte.
Te lho detto subito: è stato uno sbaglio, un momento di confusione!
Con lei… non cera niente di serio.
Solo… attrazione…

Solo attrazione, che ora implica cambiare pannolini…

Nella stanza entrò correndo la piccola Martina, sei anni. Lì la corazza di Clara si incrinò. La figlia corse ad accoccolarsi sulle ginocchia del padre.

Papà! Perché sei triste? La mamma ti sgrida?

Marco la strinse forte, affondando il volto tra i suoi capelli biondi.
Per lei avrebbe spostato le montagne.
Clara sapeva che per Martina avrebbe lottato contro il mondo intero. Era amore paterno totale, istintivo.

No, principessa. Stiamo solo parlando di cose da grandi. Vai a vedere i cartoni, arrivo tra poco.

Quando Martina corse via, il silenzio calò di nuovo.

Capisci che sarà diverso, da adesso? domandò Clara.

Si risiedette al tavolo.

Io non me ne vado, Clara. Ti amo, amo i ragazzi… Senza di voi non posso vivere

Parole, Marco. Ma i fatti sono questi: là fuori cè tuo figlio. Per lui il padre serve.
Quella donna… ora dice che non vuole nulla.
Sono gli ormoni, leuforia o forse un piano calcolato.
Passerà un mese, mezzo anno, il bimbo si ammala, cresce, avrà bisogno di soldi.
Ti chiamerà. Dirà: «Marco, manca il giubbotto per linverno».
Oppure: «Marco, bisogna andare dal pediatra».
E tu correrai. Sei buono, non sai dire no.

Marco taceva.

E i soldi, Marco? abbassò la voce Clara. Dove pensi di trovarli?

Lui fece un sussulto, come scottato Clara aveva toccato il punto dolente.

La sua azienda era fallita due anni prima, avevano saldato i debiti solo grazie ai risparmi di Clara.
Ora Marco si arrangiava, qualche lavoretto, ma erano spiccioli rispetto a ciò che lei assicurava.

Casa, auto, viaggi, università dei figli tutto sulle sue spalle.

Lui non aveva neppure il bancomat, visto che i conti erano bloccati dagli ufficiali giudiziari. Usava contanti o la carta di Clara.

Ce la farò, mormorò.

Come? Ti metti a fare il tassista di notte? O vieni a scavare nei miei cassetti per aiutare quella famiglia?
Ti rendi conto dellassurdo? Mantengo io tutti e tu usi i miei soldi per pagare lamante e il figlio?

Non è unamante! gridò Marco. Era già finita da un pezzo!

Un figlio, credimi, tiene legati più di una fede sul dito.
Andrai allospedale per la nascita?

La domanda rimase per aria. Marco si coprì il volto con le mani.

Non lo so, Clara. Umana… sarebbe giusto. Il bambino non centra.

Umano… Clara sogghignò amara. E umano verso me? Verso Martina? Verso i ragazzi?
Se ci vai, vedrai il piccolo, lo prenderai in braccio. Sarà la fine.
Comincerai ad andare da loro. Prima una volta la settimana, poi due, poi nei weekend.
Dirai che lavori tanto. E noi qui, ad aspettarti.

Clara si alzò, andò al lavandino. Accese, guardò lacqua e poi chiuse il rubinetto.

È più giovane di te, Marco. Otto anni meno. Trenta due. Ti ha dato un figlio. Di sangue.
I miei figli non sono tuoi, anche se li hai cresciuti. Lì invece… è sangue tuo.
Pensi che non abbia importanza?

Dici sciocchezze. I ragazzi sono miei, li ho cresciuti io.

Lascia stare, Marco! Gli uomini vogliono un erede, sempre.

Abbiamo Martina!

Martina è una femmina

Marco scattò in piedi.

Basta! Non cacciarmi prima del tempo, ok? Ho detto che resto. Ma non sono nemmeno di ghiaccio.
Là è nato un essere umano. Meno colpevole di tutti.

Sono in torto con te, con tutti.
Se vuoi sbattermi fuori, fallo ora. Raccolgo la roba e vado da mia madre, in una stanza. Ovunque. Ma non mingannare!

Clara si congelò dalla paura.

Se avesse detto “vai”, lui sarebbe andato.

Orgoglioso. Sciocco, ma orgoglioso.
Magari senza soldi, senza casa, si sarebbe ritrovato dallaltra parte. E là lavrebbero accolto, salvato. Come padre, anche povero ma vero.
E così lo avrebbe perso per sempre.

Ma non voleva perderlo. Nonostante il dolore, nonostante sentisse le ferite ancora aperte, lo amava ancora. E i figli lo amavano.

Distruggere è facile. Mandarlo via sarebbe questione di un attimo. Ma poi vivere sola in una casa vuota, con ogni angolo che parla di lui?

Siediti, disse sottovoce. Nessuno ti caccia di casa.

Marco rimase in piedi pochi istanti, poi si sedette ancora.

Clara, perdonami. Sono proprio uno stupido…

Stupido, confermò lei. Ma il nostro stupido.

La sera scivolò confusa.
Clara aiutò Martina con i compiti, controllò le mail dal lavoro, ma la testa era altrove.

Si figurava quellaltra donna. Comera? Bella? Giovane, sicuro.
Avrà appena guardato suo figlio negli occhi e si sarà sentita vincente.
Non vuole nulla! Certo, la mossa perfetta.

Non chiedere, simulare orgoglio, dire ce la facciamo da sole. Nessuna supplica.

Questo fa scattare il senso di eroismo delluomo.

Marco si girava e rigirava di notte, ma Clara non dormì: fissava il soffitto.

Lei era arrivata a quarantacinque anni, bella, curata, di successo… ma la vecchiaia è dietro langolo.

E là fuori la giovinezza…

***
Il mattino fu ancora più duro. Clara aveva perso la bussola.

I ragazzi mangiarono di corsa e uscirono, mentre Martina improvvisamente fece i capricci.

Papà, fammi le trecce! ordinò La mamma non è capace.

Marco prese il pettine. Quelle mani grandi, abituate al volante come al martello, si muovevano attente nei capelli fini della bambina.
Le intrecciava con la punta della lingua tra i denti, tutto concentrato.

Clara intanto sorseggiava il caffè e guardava la scena.
Quello era suo marito. Il suo. Il suo uomo, tutto casa, calore, abitudini. E là fuori, un altro bambino aveva gli stessi diritti su di lui.

Come si fa?

Marco, disse quando Martina corse a vestirsi. Bisogna decidere. Subito.

Lui posò il pettine.

Ci ho pensato tutta notte.

E?

Non andrò allospedale.

Dentro Clara qualcosa si strinse, ma non lo lasciò vedere.

Perché?

Perché se vado, do speranza. A lei, a me, al piccolo.
Non posso essere padre in due case. Non voglio, Clara! Non voglio mentirti, né rubare tempo a Martina e ai ragazzi.
La mia scelta l’ho fatta undici anni fa. Tu sei mia moglie. Questa è la mia famiglia.

E quellaltro bambino? nemmeno Clara si aspettava di dirlo.

Lo aiuterò economicamente. Ufficialmente, anche con il mantenimento, o apriremo un conto.
Ma andarci… No. Meglio che cresca senza conoscermi, piuttosto che aspettare un padre solo nel weekend.
E io, ogni volta, a guardare lorologio per scappare dalla famiglia vera.

È più onesto così.

Clara tacque. Rimase a rigirarsi la fede sul dito.

Ne sei sicuro? Non te ne pentirai?

Me ne pentirò, ammise Marco. Ci penserò spesso. Ma se comincio ad andare là, perdo voi.
E so che tu non potresti sopportarlo. Sei forte, Clara, ma non dacciaio.
Finiresti per odiare me. E non voglio che tu mi odi.
Dio, che spiegazione confusa…

Si alzò, le mise le mani sulle spalle.
Clara, io non voglio altra vita. Ho te, ho i figli.
Il resto… è solo il prezzo della mia stupidità.
Sono pronto a pagare, ma solo con i soldi.

Tempo, cura, attenzione… non posso dividerli.

Clara coprì la sua mano con la propria.
I soldi, eh? accennò un sorriso storto.

Li guadagnerò. Mi spaccherò la schiena, ma guadagnerò. Non prenderò mai più un euro a te per risolvere i miei casini.
È una cosa mia, Clara.

Clara si sentì più calma.
Sì, forse lui aveva sbagliato, ma questo voleva sentirsi dire.

Su marito non intendeva condividerlo, non le interessava nulla di quella donna.

Ha voluto un figlio da un uomo sposato? Peggio per lei.

***
Alluscita dallospedale Marco non ci andò.

Lex amante lo tempestò di chiamate urla, rimproveri, domande su perché non si fosse avuto almeno il coraggio di presentarsi.

Marco fu chiaro: avrebbe provveduto solo con un aiuto economico, nessun incontro.

Da quel giorno, in sei mesi, non si fece più viva. Il suo numero divenne irraggiungibile.

A Clara andava benissimo così.

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