Ascolta te stesso

Caro diario,
Ginevra, avevamo già deciso. Il nonno sta aspettando.

Elena stava nella soglia della camera di sua figlia, stringendo una borsa piena di confetture per il suocero. I barattoli tintinnarono appena la donna varcò il passo.

Ginevra chiuse il laptop, si strofinò il naso. Gli occhi le lacrimavano per le ore passate a studiare gli appunti, e la stanchezza le opprimeva le tempie.

Mamma, non ce la faccio. Ho gli esami a porte chiuse. Ho bisogno di almeno un giorno per sdraiarmi.

Sdraiarti è cosa da farlo, sbuffò Elena. Il nonno ha la pressione che salta, è solo in quel paesino, e tu vuoi solo stare a letto. Che egoista, Ginevra.

Dal corridoio si sentirono passi pesanti. Sergio comparve alle spalle di sua moglie, già con la giacca da viaggio.

Che succede di nuovo? scrutò la stanza piena di libri e fogli.
La tua figlia non vuole andare dal nonno. È stanca, vedi.

Sergio aggrottò le sopracciglia. Raramente si intrometteva nelle liti tra Elena e la figlia, ma ora il suo solito volto imperturbabile mostrava un velo di preoccupazione.

Ginevra, è davvero esagerato. Il nonno non è più giovane. Non lo vediamo da un mese.

Ginevra si appoggiò allo schienale della sedia. Il suo cuore ribolliva di irritazione, ma cercava di trattenersi.

Papà, capisco, ma sono quasi al punto di crollare. Posso venire il prossimo fine settimana, da sola, per unintera giornata? Posso sederci con lui, parlare tranquillamente.

Sempre per i tuoi interessi! alzò la voce Elena. Il prossimo fine settimana, il prossimo mese, lanno prossimo! E il nonno sta lì solo! Settantadue anni su questa terra e tua nipote è troppo pigra per staccarsi dal computer!

Mamma, basta.

No, non basta! Pensi solo a te stessa? Io e tuo padre lavoriamo come matti, e tu non riesci nemmeno a fare una visita al nonno!

Ginevra serrò i denti. Dentro di sé qualcosa si rifiutava ostinatamente di andare, una strana, inspiegabile riluttanza che non riusciva a spiegare. Sì, la stanchezza era lì, ma cera anche un presentimento vago, come se dovesse restare a casa.

Non vado, disse con decisione. Scusate.

Sergio scosse la testa.

Allora resta qui a riposare. Dopo non sorprenderti se il nonno smetterà di chiamarti la sua nipote preferita.

Sergio, non iniziare, afferrò Elena il braccio del marito. Andiamo subito, parlare con lei è inutile.

Uscirono sbattendo forte la porta dingresso. Ginevra rimase immobile, ascoltando il suono dei loro passi che si affievoliva sulla scala, il ruggito di unauto nel cortile. Poi sospirò, si avvicinò al laptop.

Il silenzio avvolse lappartamento come un morbido bozzolo. Ginevra aprì completamente le finestre: laria di maggio, tiepida e fresca, entrò con il ronzio lontano della città. Si preparò una tazza di tè, si sistemò davanti al computer e finalmente si rilassò.

Lorologio segnava poco prima delle tre quando Ginevra si svegliò. Si stiracchiò, le vertebre scricchiolarono, e si diresse verso la cucina per prendere dei biscotti, quando un odore strano le colpì il naso.

Allinizio non gli diede importanza; i vicini preparavano il barbecue, il profumo arrivava da fuori. Ma lodore si intensificò, divenne più pungente, non era più cibo. Qualcosa bruciava.

Ginevra si diresse al balcone. Ad ogni passo lodore aumentava: amaro, acre, con un retrogusto chimico. Aprì la porta e si fermò.

Il divano era in fiamme, avvolto da un fumo nero.

No, no, no!

Corse verso il divano. Sul rivestimento cera una sigaretta appoggiata, con la punta arancione ancora incandescente. Qualcuno laveva lanciata dal balcone, il vento laveva spinta dentro lappartamento.

Afferrò una pentola dal mobile. Lacqua del rubinetto scorreva lentissima, quasi a malapena. Non perse tempo, prese la pentola più pesante e corse di nuovo verso il divano.

Versò lacqua sul punto ardente, ma il poliuretano continuava a bruciare. Prese unaltra pentola, poi unaltra ancora, finché lacqua non iniziò a spegnere il fumo. Dopo la quarta, il fumo si diradò.

Stava in piedi tra i rovi, ansimante, le mani fradice dacqua, il divano ridotto a un ammasso di tessuto carbonizzato e schiuma bagnata. Lappartamento puzzava di plastica bruciata.

Si sedette sul pavimento bagnato, stringendo le ginocchia al petto. Ladrenalina calò, una tremenda paura la pervase: se non fosse stata lì, se non avesse sentito quellodore in tempo, la casa sarebbe andata distrutta.

Prese il telefono e chiamò la madre.

Mamma?

Ginevra? Cosè successo?

Mamma, cè stato un incendio. Lho spento, ma il divano è sparito.

Silenzio dalla linea. Poi la voce di Elena, rotta.

Sei salva? Ginevra, sei salva?

Sì, sto bene. La sigaretta è venuta dal balcone, lho vista tardi, ma sono riuscita a spegnerlo con lacqua. Non ho chiamato i pompieri, ho fatto da sola.

Stiamo arrivando. interruppe Sergio, che aveva strappato il telefono a Elena. Resta a casa, non uscire. Siamo in strada.

La chiamata si interruppe.

Ginevra rimase seduta a fissare il vuoto dove poco prima cera il loro divano, quello che sua madre aveva comprato quando aveva dodici anni, su cui avevano guardato film sotto una coperta, dove aveva pianto per la sua prima delusione amorosa, dove suo padre aveva sonnecchiato dopo il lavoro.

Unora dopo le chiavi tintinnarono nella serratura. La porta si spalancò e Elena irruppe nella hall, capelli scompigliati, occhi rossi.

Ginevra!

Corse per il corridoio, entrò in salotto e si fermò come ipnotizzata. Il suo sguardo cadde sul divano distrutto, sulle pozzanghere dacqua, sulle macchie di fuliggine sul muro, poi si diresse verso la figlia seduta sulla sedia.

Signore mio…

Si avvicinò a Ginevra e la abbracciò con una stretta quasi soffocante, profumata di profumo e di sudore, ma anche di paura.

Perdono, sussurrò Elena accarezzandole i capelli. Perdona quello che ho detto stamattina. Egoista, irresponsabile… Dio, che stupida sono stata.

Ginevra la strinse a sua volta, senza parole, sentendo le emozioni bloccate dentro di sé.

Sergio entrò dopo, girò lentamente per la stanza valutando i danni, toccò il muro bruciato, si sedette sul divano rovinato, pizzicò il poliuretano sciolto.

Hai spento bene, disse infine. Con molta acqua, subito.

Non ci ho pensato, ho agito distinto.

Hai fatto la cosa giusta. Limportante è non esserti persa danimo.

Si alzò, pose una mano pesante sulla spalla di Ginevra.

Brava, Ginevra. Veramente. Hai salvato la nostra casa.

Elena si asciugò le lacrime con il dorso della mano, il trucco si era sciolto sul viso, ma non se ne accorgeva.

Capisci cosa sarebbe successo se fossi partita? chiese con voce tremante. Lappartamento sarebbe rimasto vuoto, le finestre aperte, il fuoco avrebbe distrutto tutto…

Mamma, lo capisco.

Ascolta, se fossimo tornati lì sarebbe stato solo un cumulo di ceneri. Oppure lintero palazzo avrebbe preso fuoco. I Petrucci al piano di sotto hanno due bambini, te lo immagini?

Sergio avvolse le braccia intorno alle spalle di Elena.

Lena, basta. Non è successo, non è accaduto. Non ti fare illusioni.

Ma Elena non riusciva a fermarsi. Le lacrime continuavano a scorrere, senza tentare di trattenerle.

Stamattina ti ho urlato contro, ti ho chiamata egoista. E tu ci hai salvati tutti.

Mamma, perché? Ginevra le accarezzò la mano. Non sapevo che sarebbe finita così. Ero solo stanca e volevo restare a casa.

Ecco il punto! Elena afferrò le spalle di Ginevra, guardandola negli occhi. Non lo sapevi, ma qualcosa dentro di te lo sentiva. Unintuizione, un presentimento, come lo vuoi chiamare. Ti ha tenuta qui e ci ha salvati.

Sergio sbuffò, ma senza il suo solito scetticismo.

La madre a volte esagera con le dicerie, ma in questo caso ha ragione. Hai insistito e, grazie a Dio, ti sei fermata.

Passarono il resto della giornata in un silenzioso torpore. Sergio portò i resti del divano al cassonetto, Ginevra lavò il pavimento, Elena pulì le pareti dal fuliggine. Lavoravano in silenzio, scambiandosi solo brevi frasi.

Di sera lappartamento sembrava quasi tornato alla normalità, salvo un rettangolo vuoto sul pavimento dove prima cera il divano.

Ci sedemmo a tavola, spostando gli sgabelli vicino al piccolo tavolino. Elena preparò una carbonara veloce con salsiccia, senza pensarci troppo.

Ginevra, ti dirò una cosa importante, disse mescolando il caffè.

Io alzai lo sguardo dal piatto.

Ascolta la tua intuizione. Sempre. Anche quando sembra una sciocchezza, anche se tutti intorno dicono che ti sbagli. Se qualcosa dentro di te ti dice di fare una cosa, non litigare con quella voce.

Sergio annuì, finendo la sua salsiccia.

È vero. Ho vissuto tutta la vita con la logica e i calcoli. Ma a volte qualcosa scatta nella testa e sai subito cosa fare.

Oggi quel qualcosa ha salvato la nostra casa, aggiunse Elena.

Ginevra abbassò lo sguardo nella ciotola, nascondendo un sorriso imbarazzato. Non era abituata a sentire queste parole da sua madre; solitamente i nostri scambi erano tesi, quasi a scoppiare.

Ora, però, qualcosa era cambiato. Qualcosa di importante. Forse la paura vissuta, forse la consapevolezza di quanto eravamo vicini al disastro. Tra noi tre è nato qualcosa di nuovo, fragile ma reale.

Il prossimo fine settimana andremo tutti dal nonno, disse Ginevra. Insieme. Gli racconteremo non tutto, altrimenti il suo cuore non reggerà.

Giusto, rispose Elena con un sorriso stanco. Diremo che il divano è andato a male, ne compreremo uno nuovo.

Io porterò un secchio dacqua sul balcone, aggiunse Sergio.

Scoppiammo a ridere, nervosamente, per alleggerire la tensione della giornata.

Fuori il crepuscolo avvolgeva la città, le luci accendevano le strade, una sirena lontana liulava forse un’ambulanza, forse i pompieri. Ginevra ascoltò quel suono e gelò.

Oggi ho imparato una cosa fondamentale. Non solo sullintuizione e i presentimenti, ma su me stessa. Ho capito di poter agire quando serve, senza crollare, senza fuggire, facendo ciò che è necessario.

E ho capito anche i genitori: dietro le loro urla e rimproveri si nasconde la paura. La paura di perderci, di non averci più. Un modo goffo, a tratti sgradevole, per esprimere lamore che provano.

Elena finì di lavare i piatti, Sergio entrò nella sua stanza a cercare nuovi divani su internet, e io rimasi al tavolo a riscaldare le mani sulla tazza di tè.

Una sera domenicale normale, ma decisamente non più ordinaria.

Mamma, la chiamai.
Sì?
Grazie. Per essere arrivata, per non aver urlato, per per questo.

Elena si girò dallo sciacquone, mi guardò a lungo, poi sorrise, stanca ma calorosa.

Grazie a te, Ginevra, per tutto.

Oggi ho capito che ascoltare la propria voce interiore può salvare più di un semplice mobilio; può salvare una famiglia. Questa è la lezione che porto dentro di me.

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