Ho beccato mia cognata mentre provava i miei vestiti senza permesso!

Elena Rinaldi, responsabile del reparto logistica in una grande azienda di trasporti, stava pulendo i bicchieri con una certa ansia. Le macchie dacqua le dava fastidio tanto quanto il pensiero della visita dei parenti di suo marito.

Luca, ti prego, non fare che durino le notti. Non è un albergo, la tua sorella ha una casa, anche se è a Como, vicino a noi diceva Elena, accarezzando i bicchieri alla luce. I genitori di Irina passano di lì, la mamma ha un appuntamento dal cardiologo e Irina è solo per compagnia. Non possiamo lasciarli a dormire in treno la notte.

Ma è di passaggio, vero? replicò Luca, massaggiandosi la punta del naso senza staccare lo sguardo dal portatile. Lultima volta passavano e sono rimasti una settimana perché Irina cercava gli stivali invernali a Roma, dove la scelta è migliore, e io li ho ospitati mentre tu eri al lavoro.

Prometto, questa volta sarà diverso. Una sera, cena, sonno, colazione e via. Sii più indulgente, è la famiglia.

Elena sospirò. Nella lingua di suo marito la parola famiglia era quasi un sacramento, una indulgenza che scusava ogni trasgressione. Gli errori della sorellina Irina e della madre Giulia Ivanovna non erano pochi. Non erano criminali, ma semplici persone senza galateo, una semplicità che, come si dice, è peggio del furto.

Il guardaroba di Elena era il suo orgoglio: seta, cashmere, borse firmate, una collezione curata con la stessa dedizione di un giardiniere per le orchidee rare. Quella collezione era la trappola perfetta per la cognata Ginevra, che vedeva in ogni capo una bambagia rossa.

Alle sei precise suonò il campanello. Sulla soglia Giulia, con una busta di focaccine fritte (una sola di quelle le provocava bruciore di stomaco a Elena), e Ginevra. La cognata la fissò dallalto in basso con occhi penetranti.

Ciao, Elena! esclamò Ginevra, entrando senza togliersi le scarpe e baciandola sulla guancia. Che vestito nuovo! Costoso, immagino?

Ciao, Ginevra. Solo una maglietta da casa. Entrate rispose Elena, forzando un sorriso, mentre la mano di Ginevra sfiorava il tessuto del suo vestito con una strana curiosità.

Normale è un bel termine commentò la cognata, togliendosi la giacca. Cotone con ricamo, quasi metà stipendio! Che fortuna, Luca ti vizia.

Io lavoro anchio, Ginevra ricordò Elena, appoggiando la giacca nel guardaroba.

Dai, non è così, il marito non guadagna mica spiccioli. Mamma, porta la busta, io la porto in cucina.

La serata si svolse secondo lo schema consueto: Giulia sistemava la dispensa spostando le spezie come le vuole, Luca serviva il tè e ascoltava i racconti interminabili della madre sui vicini, i prezzi della farina e le pressioni del lavoro.

Elena sorrideva, serviva e contava mentalmente le ore fino alla partenza. La tensione crebbe quando si parlò del prossimo anniversario della zia Lucia.

Ragazze, non so nemmeno come arrivare si lamentò Ginevra, affondando una fetta di torta. Ho ingrassato questinverno, non entro in nessun vestito. E al ristorante tutti saranno così eleganti, non voglio fare brutta figura.

Guardò Elena. Elena prese un sorso di tè e tacque. Conosceva quello sguardo: Fammi fare la tua volontà.

Elena, hai così tanti abiti. Puoi prestarne uno per il weekend? Siamo quasi della stessa taglia ricordi quel blu con le paillettes?

Ginevra, le nostre taglie sono diverse rispose fermamente. Ho il 44, tu il 48. E sai che non presto i miei vestiti, è una mia regola.

Vedi, è iniziato sbuffò Ginevra. Regola! Dovresti dirla così. La sorella del marito ha già usato la tua strofa. È lì a prendere polvere, ma a me basta una volta. La porterò in tintoria!

Ginevra, perché vuoi i miei vestiti? intervenne Luca, notando le nocche bianche di Elena. Ti compro qualcosa di nuovo, ti trasferisco dei soldi.

Che devo comprare?! esclamò Giulia. Perché spendere soldi se nel tuo armadio cè abbondanza? Elena, davvero, sei un cavallo di battaglia. Hai così tanti vestiti che potresti salare il mare. Non ti costa nulla, ma rende felice la ragazza. Siamo di casa, non di fuori.

Giulia, il tema è chiuso interruppe Elena, la voce leggermente più dura del solito. I miei vestiti sono miei. Non prendo ciò che è altrui e non do ciò che è mio. Cambiamo argomento, per favore.

Il resto della cena trascorse in un silenzio teso. La suocera stringeva le labbra, Ginevra evitava lo sguardo di Elena, Luca guardava imbarazzato, ma non osava più intervenire.

La mattina seguente Elena partì per il lavoro presto. Gli ospiti dormivano ancora. Luca prese un giorno libero per accompagnare la madre dal medico, così la casa rimase sotto la sua cura.

Tornerò verso le sette disse Elena, infilandosi le scarpe nellatrio. Per favore, controlla che non spostino nulla nella nostra camera da letto. Sai che non lo sopporto.

Elena, sei paranoica rise Luca, bacandola sulla guancia. Chi ha bisogno della nostra camera? Fanno colazione, andranno alla clinica, poi a fare una passeggiata e poi al capolinea. Quando tornerai, non ci sarà più nessuno.

Elena uscì, ma lansia le attanagliava il giorno intero. Sapeva che Ginevra non aveva accettato il rifiuto della sera precedente come un no definitivo, ma come una sfida.

Alle tre del pomeriggio le colpì un forte mal di testa, una migrazione improvvisa di luce intorno agli occhi. Le pillole non alleviavano nulla.

Signora Rinaldi, è pallida come un lenzuolo osservò la sua vice, proponendo di tornare a casa. Riposati, io finisco il report.

Elena accettò, chiamò un taxi.

Arrivata a casa, osservò le finestre al terzo piano: tutte illuminate, nonostante fosse una giornata di sole. Strano, pensò. Luca aveva detto che avrebbero passeggiato fino a sera.

Entrò silenziosa, il profumo di profumo economico di Ginevra mischiato al lacca per capelli riempiva laria. Dalla stanza in fondo si sentiva musica e risate.

Sfilò le scarpe e avanzò per il corridoio. Le risate provenivano dalla sua camera da letto. La porta era socchiusa.

Mamma, che succede? la voce di Ginevra era entusiasta. Che vestito! Che colore! È la fine del mondo!

Figlia, che bellezza! rispose Giulia. Una vera regina! Il tessuto sembra italiano, non come quelli cinesi a buon mercato.

Elena spinse la porta.

La scena sembrava uscita da una telenovela a basso budget, ma non le suscitava alcuna ilarità. Al centro della stanza, davanti a un grande specchio a muro, Ginevra girava in un abito da sera di seta verde scuro, comprato da Elena due anni fa a Milano per una cifra astronomica e indossato una sola volta al Capodanno aziendale.

Il vestito si staccava in laccio. Letteralmente. Ginevra tenta di infilare il suo corpo robusto in un tessuto progettato per una vita stretta. La cerniera sul retro era bloccata a metà, mostrando il reggiseno, e il tessuto ai fianchi si gonfiava come se dovesse esplodere.

Sulle sue gambe cerano le scarpe di Elena, dei mocassini color nocciola, forzati fino al punto che i talloni spuntavano dal retro. Sul letto, perfettamente rifatto, giacevano altri capi: un cardigan di cashmere, due bluse, sciarpe, scatole di gioielli. Giulia era seduta su una sedia, tenendo la borsa di Elena e curiosando dentro.

Che cosa sta succedendo? chiese Elena, la voce bassa ma come un tuono nel silenzio.

Ginevra strillò e si contorceva. Un suono di tessuto strappato riempì laria.

Oh Ginevra rimase immobile, gli occhi spaventati fissavano Elena nello specchio.

Giulia lasciò cadere il rossetto, che rotolò sul parquet.

Elena? Che fai così presto? Luca ha detto che tornerai alle sette iniziò la suocera, cercando di nascondere la preoccupazione dietro una voce leggera.

Elena entrò lentamente. La rabbia fredda e razionale sostituì il mal di testa.

Togliti labito ordinò, fissando Ginevra negli occhi.

Elena, non è quello che pensi, volevo solo provarlo non volevo prenderlo, solo vedere comera Luca ha detto di sì!

Mentire! interruppe Elena. Luca sa che quella stanza è chiusa a voi. Togliti subito labito.

Non posso! urlò Ginevra, la voce tremante. La cerniera è incastrata!

Che intendi per incastrata?

È bloccata! Ho cercato di chiuderla, ma è rimasta lì, né qui né lì!

Elena si avvicinò. Il sudore e il profumo di Ginevra impregnava laria. Il tessuto vicino alle ascelle era già inondata di umidità. Sul lato, dove era la cucitura, cera un buco: il filo non aveva retto la pressione.

Hai rotto un vestito da mille e cinquecento euro constata Elena. Capisci?

Ma sono euro! intervenne Giulia. Un piccolo sbavone, lo possiamo cucire! È solo una questione di vanità! La sorella del marito merita di sentirsi bella. Il tuo marito è povero, ma tu hai tutto!

Giulia, rimetti la borsa al suo posto e esci dalla stanza disse Elena, senza voltarsi. Altrimenti chiamo la polizia e denuncerò furto con scasso.

Stai minacciando la madre del tuo marito?! si infiammò Giulia. Come ti permetti! Siamo ospiti!

Non siete ospiti. Gli ospiti non si comportano così. Siete ladri che hanno invaso il nostro spazio privato. uscite!

Giulia, imprecandosi, sbucò fuori dal corridoio. Elena rimase sola con Ginevra, che si rannicchiava con la testa tra le spalle, il naso che si muoveva in modo affannoso.

Girati ordinò Elena.

Esaminò la cerniera. Il cursore era incastrato nella fodera. Ginevra era davvero bloccata. Ma il tessuto lungo la cerniera era irrimediabilmente rovinato, strappato come se fosse stato tagliato. Il vestito doveva essere distrutto.

Lo taglierò disse Elena, con calma.

No! Non! Stai impazzita! Non riesco a muovermi! Ginevra cercò di rialzarsi, ma le scarpe troppo strette la facevano vacillare.

Taglierò il vestito o rimarrai così, a casa tua minacciò Elena.

In quel momento la porta dingresso si spalancò.

Ragazze, sono a casa! Mamma, dove siete? Ho comprato una torta! annunciò Luca, sorridente, portando una torta al cioccolato. Non aveva idea del ciclone che si era scatenato.

Entrò nella camera da letto, con il sorriso che lentamente svaniva.

Che succede Ginevra? Perché sei nel vestito di Elena?

Luca! strillò Ginevra, correndo verso di lui, la gonna stretta e le scarpe che scivolavano. Mi vuole uccidere! Vuole tagliarmi! Sono solo stata a provarlo, ma lei urla, chiama la polizia! Diccelo!

Luca guardò Elena, confuso. Elena, a braccia incrociate, osservava la scena con disprezzo totale.

Luca, tua sorella ha indossato il mio vestito da collezione, lha rotto, ha spaccato la cerniera e ha rovinato le scarpe; tua madre ha rovistato nella mia borsa. Ti do dieci minuti per sistemare le cose.

Elena, forse iniziò Luca, cercando di mediare.

Guarda il vestito, Luca interruppe Elena. Vieni a vedere.

Luca si avvicinò. Vide il buco sul fianco, le macchie di umidità, la cerniera spezzata, i vestiti sparsi sul letto, tutto quello che Elena custodiva con cura.

Ginevra alzò gli occhi verso la sorella. Perché lhai fatto? Ti avevo chiesto di non farlo.

Che importa! Ginevra reagì, agitata. È solo un vestito! Lo ricuciremo! Siamo ricchi, compreremo un altro! E tu, Luca, non ti importa più di tua moglie?

Togli il vestito disse Luca, asciutto.

Cosa?

Toglilo subito.

Non è possibile! sbuffò Elena. È incastrata. Tagliate la cerniera.

Loperazione di liberazione richiese cinque minuti, accompagnata dai lamenti di Giulia dal corridoio e dai gemiti di Ginevra. Elena dovette tagliare la seta lungo la schiena. Ogni taglio era una piccola ferita al cuore, ma non mostrò alcuna debolezza. Il vestito cadde a terra, un mucchietto di seta costosa.

Ginevra rimase in biancheria intima e collant. Raccolse rapidamente i suoi vestiti dal pouf e si vestì, sussurrando:

Ti avveleno con i tuoi vestiti. Che ciurma di borghesi! Che la tua tarlatana li mangi tutti!

Quindici minuti dopo lappartamento era vuoto. Luca chiamò un taxi per la madre, le diede qualche euro (Elena lo vide ma non commentò) e tornò a casa.

Nel salotto regnava il silenzio. Elena sedeva sul divano, fissando un punto fisso. Il vestito rovinato giaceva sul tavolo, prova tangibile del crimine.

Luca si avvicinò, ma non osò abbracciarla.

Mi dispiace disse infine.

Per cosa? chiese Elena, senza voltarsi.

Per non averti ascoltata. Per averli portati. Per averli lasciati così.

Non puoi rispondere per quello che sono loro. Puoi rispondere per dove sono. Non voglio più vederli nella nostra casa, Luca. Mai più.

Luca annuì, ma Elena continuò:

Non è una questione di capriccio.Così, con la porta chiusa a chiave e il cuore più leggero, Elena imparò che proteggere il proprio spazio è lunico modo per custodire veramente se stessa.

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