«Non guardarmi così! Non voglio questo bambino, se non vuole stare con me. Portatelo via!» mi lanciò la donna sconosciuta il marsupio nelle mani. Non capivo cosa stesse succedendo.
Io e mio marito, Marco, avevamo sempre vissuto in armonia. Raramente litigavamo. Cercavo di essere una moglie e una casalinga rispettabile. Ci siamo sposati mentre eravamo ancora alluniversità. Dopo poco mi sono trovata incinta e abbiamo avuto due gemelle, Ginevra e Livia. Quando i bambini sono cresciuti, abbiamo avviato una piccola impresa a Milano. Io aiutavo Marco solo saltuariamente, perché dovevo occuparmi dei figli e della casa. La cucina era il mio rifugio.
Marco aspettava sempre il weekend per gustare qualcosa di speciale preparato da me. Mi impegnavo a creare piatti nuovi, e lui era il primo assaggiatore. Anche le bambine erano curiose di scoprire cosa avremmo cucinato. Tra tutti i problemi, i figli, le faccende domestiche e il lavoro, non mi sono mai curata di quello che facesse mio marito. Non avrei mai immaginato che potesse tradirmi. Lanno scorso è stato particolarmente difficile: lazienda andava male, e noi risparmiavamo ogni euro possibile. Marco doveva viaggiare per tutta Italia, firmare nuovi contratti di acquisto. Le bambine, ormai in prima elementare, erano a casa con me.
Un pomeriggio, rientrati da un incontro daffari, siamo stati sorpresi da una donna affascinante. Siamo scesi dallauto, e lestranea si è avvicinata a me, stringendo nella mano il marsupio.
«Non guardarmi così! Non voglio questo bambino se non vuole stare con me. Portatelo via!» gridò, come una pazza, puntando il dito verso Marco.
Rimasi immobile, incapace di capire.
«Hai promesso di lasciarla e di stare con me! Se non lo fai, non voglio più questo figlio!» la donna sputò ai miei piedi, si voltò sul tacco e se ne andò.
Rimasi scioccata per qualche minuto, finché non mi accorsi di tenere ancora il marsupio. Non ho chiesto a Marco; il suo sguardo tradiva chi era quella donna e quanto fosse straziato. In silenzio, entrai in casa. Lì, avvolto in una fascia, cera un neonato di non più due settimane.
«Vai a prendere i bambini a scuola e compra tutto quel che ti dirò per il bebè», disse Marco, annuendo in silenzio.
Da allora sono passati diciotto anni. Molti amici mi hanno giudicata, non capivano perché avessi cresciuto il figlio di unaltra donna quando già avevo due figlie. Non ho mai chiesto a Marco chi fosse quella donna. Ho cresciuto il bambino come se fosse mio, e le ragazze erano felici di avere un fratellino più piccolo. Non abbiamo nascosto la verità al ragazzo; quando è stato grande gli abbiamo raccontato tutta la storia. Con sorpresa, lha accettata con calma, senza nemmeno chiedere della madre biologica. E io ero felice: avevo tre figli meravigliosi che ci amavano. Il rapporto con Marco si era incrinato, ma lui faceva di tutto per ricostruirlo.
Il giorno del diciottesimo compleanno di Alessandro, abbiamo deciso di festeggiare in famiglia. Le mie figlie, ormai sposate e con le loro case, avrebbero partecipato. Stavamo per sederci a tavola quando sentimmo suonare il campanello. Non attendevamo altri ospiti e la tensione mi colpì. Da tutta la giornata mi sentivo inquieta, e avevo ragione. Aprendo il corridoio, vidi una donna snella, lanima gemella di quella che mi aveva consegnato il bambino.
«Voglio parlare con mio figlio!» disse la donna.
«Non avete nessun figlio qui!» risposero in coro io e Alessandro.
Alessandro chiuse la porta sulla donna e invitò tutti a tavola. Le lacrime mi rigavano gli occhi. Ero felice di avere un figlio così straordinario, anche se non era di sangue mio.






