Toccare con lo sguardo e sentire la felicità
Da diciannove anni Caterina Bianchi vive nel suo piccolo borgo di San Giuliano, insieme alla madre e alla nonna, in attesa, con la speranza che un giorno arrivi Lorenzo Rossi, luomo di cui è innamorata da sempre. Sorridendo al ricordo del ragazzo del vicinato, più grande di lei di cinque anni, pensa:
Che bello se Lorenzo decidesse di venire qui, nel nostro borgo. Peccato che la nonna è morta tre anni fa, nonostante io mi sia presa cura di lei
Dopo la terza media, Caterina è entrata al liceo delle scienze sanitarie di Siena, si è diplomata e ora lavora come infermiera di base al centro sanitario locale. Spesso si pone domande che sembrano più filosofiche che cliniche:
Che cosè la felicità femminile? Esiste davvero? Viviamo tutte e tre in una famiglia tutta al femminile e non so cosa renda felice la mamma. Forse neanche lei sa cosè la felicità. Dopo tutto, racconta di come il padre, che non ho mai visto, sia sparito di corsa appena ha saputo che era incinta. O di come la nonna Rosa, dolcissima, abbia cresciuto da sola le due figlie dopo aver rimasto vedova molto giovane.
Caterina cura gli abitanti del villaggio, nonostante sia ancora giovane; somministra le iniezioni, misura la pressione, è sempre cortese e gentile con i pazienti, che la rispettano perché è una loro cittadina. Fin da piccola ha sognato di diventare medico, curando gatti, cani, amiche con le ginocchia raschiate dal verde. Anche le sue piccole ferite le sapeva medicare da sola.
Tornata al centro sanitario, la mente torna a Lorenzo.
Perché penso sempre a lui? Forse è già sposato, ha già una cagnetta di figli e non saprà mai che lho amata fin dalletà di tredici anni si rimprovera.
Lultima volta che lo aveva visto era al funerale della nonna; parlavano a stento, lui era accanto alla madre, anchessa visibilmente provata, appoggiata al braccio del figlio.
Linverno aveva già messo il suo mantello di neve, il Capodanno era passato e febbraio si avvicinava al termine. La madre di Caterina è posta, la nonna nonna Rosa è sempre in cucina, a preparare focaccine, gnocchi e pierogi.
Mentre torna a casa, lancia uno sguardo al casolare del vicino, la cui chiave le era stata affidata dalla nonna di Lorenzo, quando ancora si occupava di lei. Dopo le bufere più violente, Caterina spazzava perfino il sentiero del vicino, sperando che Lorenzo arrivasse, ma
Ciao nonna, dove è la mamma? Dovrebbe già essere a casa, no? chiese la nipote.
È uscita a far visita a Maria, la sua amica, che è un po raffreddata. Tornerà presto, le ho portato le medicine. Vieni a tavola, ti preparo qualcosa. Forse ti sei scottata a guardarmi, cara rispose affettuosa nonna Rosa.
Sì, nonna, ho già fame e fa un freddo da far gelare i cuori. La primavera è in ritardo, ma arriverà e scaccerà linverno, lo vedrai, lo farò volare via con la sua valigia. Io adoro la primavera.
Caterina si rifugiò nella sua piccola stanza, si sdraiò sul letto e di nuovo pensò a Lorenzo. Una volta, quando aveva diciassette anni, era venuto per le vacanze estive e, aiutando il nonno Sempronio a riparare il tetto, scivolò quasi da una trave; il nonno lo afferrò in tempo, ma un chiodo gli ferì il piede. Caterina, dal suo cortile, afferrò una garza e un po di verde, corse nel giardino del vicino, dove Lorenzo stava zoppicando, mentre la nonna gli batteva il dorso con le mani.
Che dolore, Lorenzo! Ti faccio una medicazione, apri la bocca ordinò la ragazzina, mentre lui la guardava perplesso.
Che dottore hai trovato! protestò lui.
Stai zitto, cara intervenne la nonna, da bambina curi tutti, sai legare le bende come una vera professionista.
Caterina esaminò la ferita, sorrise e disse:
Non è nulla di grave, è una semplice graffia. Ti serve solo un po di verde e una leggera pressione, ok? chiese continuamente, non ti fa male?
I suoi occhi azzurri traboccavano compassione, quasi pronti a piangere per luomo. Lorenzo, notando quegli occhi, sorrise.
Non preoccuparti, non sento nulla rispose, mentre lei finiva di bendare il piede. Quellistante rimase impresso nella sua memoria, un ricordo di quel giorno in cui avevano entrambi dodici anni.
Quando Lorenzo tornò dallesercito e vide la madre, si spaventò: era pallida, le labbra secche. Non riuscì a trattenere le lacrime, seduto accanto a lei. La madre piangeva di gioia per aver ritrovato il figlio, pronta a tutto.
Grazie a Dio, ragazzo mio, sei tornato, ora posso morire in pace.
Mamma, basta parole tristi, prometto di aiutarti in tutto.
Lorenzo si dimostrò un figlio modello: faceva le iniezioni, massaggiava le gambe, sosteneva il cuore debole della madre. Trovò lavoro e, soprattutto, sognava di rimettere in piedi la madre. Con il tempo, la donna ritrovò la forza, faceva le faccende domestiche e, soprattutto, ricordava con dolcezza la casa di famiglia nel borgo.
Ah, figlio mio, che bello sarebbe vivere in campagna, senza dover scendere dal quarto piano di un palazzo. Mettere una sedia sul portico e respirare aria pulita, allevare qualche gallina
Lorenzo decise di andare a San Giuliano in una sabato. La madre lo aveva avvertito che in inverno era una follia avventurarsi nella vecchia casa abbandonata, ma lui promise di fare un giro il fine settimana e dare notizie. Gli occhi della madre brillavano di speranza; decise di non rimandare.
Uscito dallautobus, rimase stupito: una strada spazzata dal trattore conduceva dritta alla casa della nonna. Era la stessa che, un tempo, lo aveva accolto ogni anno.
Dovrò forse guadare la neve fino alle ginocchia? pensò, ma rimase sorpreso dal sentiero già libero fino al cancello e al portico, con tre scalini spazzati, persino un vecchio scopino posato lì.
Chissà chi ha spalato il vialetto forse qualcuno è già tornato a vivere qui.
Le finestre erano coperte da leggere tende, ricordo del lavoro di nonna Rosa al telaio. Salì sul portico, estrasse la chiave dalla tasca e aprì la serratura. Un suono dolce e familiare, una voce femminile gli sussurrò alle spalle:
Ciao, non ti vedevo da tanto, ti aspettavo, sentivo che un giorno saresti tornato.
Lorenzo sobbalzò, quasi cadde dal portico. Di fronte a lui apparve una ragazza alta, avvolta in un cappotto di pelliccia e una cuffia bianca, gli occhi azzurri brillavano come il mare. Un velo di rosa colorava le guance, e un sorriso le dipingeva il volto.
Non mi ricordi? Sono la nipote di nonna Rosa ricordi?
Lorenzo riconobbe la ragazza che gli aveva medicato il piede, ma il nome gli sfuggiva.
Sono Caterina, non mi riconosci?
Caterina, certo, come potrei dimenticare! esclamò Lorenzo, ricordando le trecce chiare e buffe che le spuntavano ai lati.
Davvero ti ricordi di me?
Il viso di Caterina si illuminate di una gioiosa risata, Lorenzo la guardava fisso, sorridendo a sua volta.
Io spazzavo la neve, ti aspettavo, ho mille cose da raccontarti. Vieni, siediti, ti preparo un tè con marmellata di ciliegie. Mia mamma e la nonna saranno felici. Poi andremo insieme a vedere la casa, avrai tempo.
Lorenzo si sistemò nella casa di Caterina, bevve il tè e ascoltò la sua storia. La nonna Rosa e la madre si ritirarono in camera dopo laccoglienza calorosa.
La tua nonna era molto malata, non volevo turbare te e tua madre. Io la curavo, la nutrivo, voglio essere infermiera fin da piccola, e ora lavoro qui.
Ricordo benissimo come mi curasti la gamba, con quel serio atteggiamento. Il cerotto è sparito, non è rimasto nemmeno una cicatrice.
Dai, non fare il serio! sghignazzò Caterina, arrossendo, nascondendo il sorriso. Ero innamorata di te da bambina Oh, che vergogna!
Lorenzo, sorpreso, rise.
Sì, eri una ragazzina alta, ma ti rispettavo per la tua dedizione.
Caterina, superata la timidezza, gli porse la chiave della casa della nonna.
La tua nonna mi ha lasciato questa chiave prima di andare via, diceva che un giorno tornerai qui, forse resterai.
Tieni la chiave, rispose Lorenzo. Andiamo dentro.
Entrarono nella casa; Lorenzo rimase colpito dalla pulizia impeccabile, quasi come se la nonna fosse uscita da poco. Capì a chi doveva la sua gratitudine e guardò Caterina con ammirazione.
Devo tornare a casa, ma prometto di tornare qui. Verrò con la mamma, le piacerà laria fresca. Metterò tutto a posto e ti aspetterò. Non potrò più non tornare, i tuoi occhi luminosi mi perseguitano.
Caterina lo salutò al bus, ridendo e cantando dentro di sé.
La mia nonna aveva ragione, tornerò e non ti lascerò mai più.
Caterina camminava verso casa con un sorriso, finalmente capiva cosa fosse la felicità femminile.






