Regole destate
Quando il treno regionale rallentò presso la minuscola stazione di campagna, Teresa Ferri già si trovava sullorlo della banchina, stringendo al petto una grossa borsa di tela. Nella borsa rotolavano mele annurche, un vasetto di marmellata di amarene, e un contenitore di plastica con panzerotti fatti il giorno prima. Tutte queste cose forse erano superflue: i nipoti arrivavano dalla città già sazi, zaini in spalla e sacchetti pieni, ma per una nonna le mani vanno da sole a preparare qualcosa.
Il treno si fermò scattando, le porte si aprirono, e dalla carrozza saltarono fuori in tre: Lorenzo, alto e ossuto, la sorellina più piccola Ginevra, e un enorme zaino che pareva muoversi di vita propria.
Nonna! Ginevra fu la prima a scorgerla, agitando la mano così forte che i braccialetti tintinnarono.
Teresa sentì un calore salirle dal petto. Lasciò la borsa giù con attenzione, per non farla cadere, e aprì le braccia.
Oh, come siete stava per dire cresciuti, ma si morse la lingua. Loro già lo sapevano.
Lorenzo arrivò più lentamente, la abbracciò con una mano sola mentre con laltra teneva lo zaino saldo.
Ciao nonna.
Era ormai quasi una testa più alto di lei. Un filo di barba sul mento, polsi sottili, auricolari che penzolavano dal colletto della maglietta. Teresa si sorprese a cercare nel suo volto il bambino che inseguiva le galline in stivali di gomma nella casa al lago, ma lo sguardo inciampava nei dettagli nuovi, da adulto.
Il nonno vi aspetta giù annunciò lei. Muoviamoci, che si freddano le polpette.
Un attimo, foto! Ginevra aveva già lo smartphone fra le mani, scattando alla banchina, al treno, e a Teresa. Per la storia.
La parola storia volò via nella sua testa come un uccello. Dinverno lo aveva già chiesto alla figlia cosa fosse, ma la spiegazione si era persa. Limportante era che la nipote sorrideva.
Scendendo i gradini di cemento, li attendeva in basso il vecchio Andrea Ferri, nonno loro: si alzò per venire incontro, diede due pacche sulla spalla a Lorenzo, abbracciò Ginevra, fece un cenno alla moglie. Lui era più misurato, ma Teresa sapeva che era felice quanto lei.
Allora, vacanze? chiese lui.
Vacanze, sospirò Lorenzo, buttando lo zaino nel bagagliaio della vecchia Fiat Panda.
Durante il viaggio verso casa i ragazzi si fecero silenziosi. Fuori dal finestrino sfilavano villette basse, orti, arboreti, e qua e là qualche capra. Ginevra ogni tanto scorreva qualcosa sul telefono, Lorenzo rideva guardando uno schermo, e Teresa si scopriva a osservare i loro gesti: quelle dita sempre incollate a quei rettangoli neri.
Fa niente si disse. Limportante è che in casa si viva allitaliana. Poi il resto come va di moda adesso.
Appena varcata la porta, la casa li accolse con il profumo di polpette e prezzemolo. Sul portico cera il vecchio tavolo di legno coperto da una tovaglia cerata decorata di limoni. Una padella sfrigolava sul fornello, in forno cuoceva una focaccia di scarola.
Ma è una festa! fece Lorenzo, sbirciando in cucina.
Non è una festa, è il pranzo, rispose meccanicamente Teresa, poi si corresse subito: Su, lavatevi le mani, lì al lavandino.
Ginevra aveva già ripreso in mano il telefono. Mentre Teresa metteva in tavola insalata, pane, polpette, scorgeva di sottecchi la nipote fotografare piatti, la finestra, la gatta Minù che spiava da sotto una sedia.
A tavola niente telefoni, disse come per caso, appena si sedettero.
Lorenzo alzò la testa.
In che senso?
Nel senso che dice il nonno, intervenne Andrea, si mangia e poi potete usarli quanto vi pare.
Ginevra esitò, poi posò il telefono a faccia in giù vicino al piatto.
Solo lo scatto della tavola
Già fatto disse Teresa dolcemente. Ora mangiamo, poi carichi pure tutto dove vuoi.
La parola caricare le riuscì incerta. Non sapeva come si dicesse al giusto modo, ma fece finta di nulla.
Anche Lorenzo, dopo un attimo, mise il telefono allangolo del tavolo. Sembrava un astronauta costretto a togliere il casco.
Qui da noi, continuò Teresa servendo la spremuta, si segue un orario: pranzo alluna, cena alle sette. Al mattino si su non oltre le nove. Poi, siete liberi di andare dove volete.
Non oltre le nove sospirò Lorenzo. E se la sera guardo un film?
Di notte si dorme, tagliò corto Andrea, senza alzare la testa.
Teresa avvertì una sottile tensione calare tra loro. Corresse il tiro:
Non è una caserma, dai. È che se si dorme fino a pranzo, la giornata va persa. Qui cè il fiume, il bosco, le bici.
Io voglio andare al fiume! intervenne Ginevra decisa. E in bici. Poi facciamo una foto-sessione in giardino.
La parola foto-sessione ormai le suonava quasi familiare.
Benissimo, annuì Teresa. Solo un po di aiuto prima. Le patate da togliere lerba, le fragole da annaffiare. Non siamo mica in un agriturismo.
Nonna, siamo in vacanza iniziò Lorenzo, ma Andrea gli rivolse uno sguardo.
In vacanza, non in villaggio turistico.
Lorenzo sospirò, ma stavolta tacque. Sotto il tavolo Ginevra gli diede una pedata simpatica sulla scarpa, e lui fece un sorrisetto storto.
Dopo pranzo i ragazzi si dispersero nelle camerette a sistemare le loro cose. Teresa entrò dopo una mezzoretta. Ginevra aveva già appeso le t-shirt sullo schienale della sedia, ordinato trucchi e carica-batterie; il davanzale ospitava ora una parata di boccette colorate. Lorenzo, seduto sul letto contro la parete, faceva scorrere il dito sullo schermo.
Ho cambiato le lenzuola disse lei. Se serve altro, ditemi.
Tutto ok, nonna, bofonchiò lui senza staccare lo sguardo.
Quellok le punse un po, ma non disse altro.
Stasera facciamo la grigliata, annunciò. Prima, se volete, venite in orto a dare una mano.
Va bene, rispose Lorenzo, immerso nel telefono.
Uscì, chiuse piano la porta, rimase un attimo nel corridoio. Sentiva la risata soffocata di Ginevra, la voce bassa in videochiamata. Teresa si scoprì improvvisamente vecchia; non il mal di schiena, ma la sensazione che la vita dei ragazzi stesse su un binario a parte, irraggiungibile.
Fa niente, si disse, vedremo come va. Limportante è non calcare troppo la mano.
A sera, con il sole che sfumava dietro i tetti, erano in tre nellorto. La terra era calda, lerba secca frusciava sotto i piedi. Andrea mostrava come distinguere lerba cattiva dalle piantine di carote.
Questo lo togli, quello invece lasci, spiegava a Ginevra.
Se sbaglio? domandò lei accovacciata, la faccia incerta.
Tanto non siamo in una cooperativa, intervenne Teresa. Se va male, sopravviviamo lo stesso.
Lorenzo si teneva in disparte, appoggiato alla zappa, locchio alla finestra della sua camera dove lampeggiava la luce del computer lasciato acceso.
Il telefono, lo hai qui? chiese Andrea.
No, lho lasciato in camera, borbottò Lorenzo.
Quella risposta inaspettatamente rincuorò Teresa più di quanto avrebbe dovuto.
I primi giorni scorsero in un certo equilibrio. La mattina li svegliava bussando piano alla porta; borbottavano, si giravano dallaltra parte, ma alle nove e mezza finivano sempre in cucina. Colazione, una mano ai lavori domestici, poi ognuno per conto proprio: Ginevra faceva le sue foto alla gatta Minù o alle fragole, postava qualcosa online, Lorenzo alternava musica nelle cuffie, letture o passeggiate in bici.
Le regole si reggevano su piccoli rituali. Niente telefoni a tavola. A notte in casa regnava silenzio. Solo una notte Teresa si svegliò per una risata ovattata proveniente dalla stanza di Lorenzo. Guardò lorologio: mezzanotte e mezza.
Aspettare o intervenire? si chiese nel buio.
Risata di nuovo, poi il rumore di un messaggio vocale. Sospirò, indossò la vestaglia e bussò piano.
Lorenzo, dormi?
Silenzio. Poi un sussurro:
Un attimo.
Apre lui, strofinandosi gli occhi, capelli in disordine, il telefono in mano.
Perché non dormi? cercò di mantenere la voce calma.
Sto guardando un film.
Alluna?
Con i miei amici, ci scriviamo durante il film
Lei si immaginò altri ragazzi come lui, nelle case della città, a chattare di un film al buio.
Facciamo così, propose Teresa. Guarda pure il film, ma non oltre mezzanotte. Dopo si dorme. Altrimenti poi di mattina sei uno zombie e non aiuti nessuno.
Lui fece una smorfia.
Ma loro
Loro stanno a Milano, tu sei in paese. Qui girano le cose diversamente.
Si grattò la nuca.
Ok, fino a mezzanotte.
E la porta chiusa, e volume basso.
Mentre tornava a dormire, Teresa si domandò se fosse stata troppo morbida. Forse avrebbe dovuto essere più inflessibile, comera con la figlia anni prima. Ma dentro qualcosa le diceva che i tempi cambiano.
I veri contrasti arrivarono nelle piccole cose. Una mattina afosa Lorenzo fu invitato da Andrea a spostare le assi nel cortile.
Vengo subito, rispose senza staccare gli occhi dal telefono.
Dopo dieci minuti era ancora seduto, le assi dove erano.
Lorenzo, il nonno sta già facendo tutto da solo, Teresa sentì la voce irrigidirsi.
Finisco e arrivo, ribatté lui, infastidito.
Cosè tutto questo da fare? sbottò lei. Non succede niente se lasci il telefono dieci minuti.
Lui si irrigidì.
È importante, rispose secco. Sto giocando un torneo di squadra.
Un torneo di cosa? chiese lei sconcertata.
Online, con la mia squadra. Se lascio adesso perdo io e perdono gli altri.
Avrebbe voluto ribattere che ci sono cose più serie, ma lo vide stringere i pugni, la bocca tirata.
Quanto ancora ci metti? chiese diversamente.
Venti minuti.
Fra venti minuti vieni ad aiutare? Daccordo?
Annui e tornò al telefono. Dopo venti minuti era già sulle scale, a infilarsi le scarpe.
Arrivo, arrivo, disse senza che lei dovesse richiamarlo.
Questi micro-patti le facevano sperare di riuscire ancora a gestire la situazione, ma a volte le cose sfuggivano di mano.
Successe a luglio inoltrato. Dovevano andare al mercato del paese a fare la spesa grossa e comprare piantine. Andrea aveva bisogno di un aiuto: le borse erano pesanti e la macchina non si lascia mai sola troppo a lungo.
Lorenzo, domani vieni tu col nonno, disse Teresa a cena. Io resto con Ginevra, facciamo la marmellata.
Non posso, rispose lui subito.
Perché no?
Devo andare in città con gli amici. Cè un festival musicale, street food cercò la solidarietà di Ginevra che però scrollò le spalle. Ve lo avevo detto.
Teresa non ricordava. Forse sì, ma confusa in troppi discorsi.
In che città? Andrea si rabbuiò.
Qui vicino, venti minuti di regionale. Il festival è appena fuori dalla stazione.
A lui la parola appena fuori non piacque.
Conoscete la zona? domandò.
Ci stanno tutti. Poi ho sedici anni.
Quel sedici fu largomento definitivo e impertinente.
Tuo padre era stato chiaro: non vai in giro da solo, ribatté Andrea.
Non sarò solo, ma con amici.
Anche peggio.
Teresa sentiva crescere la tensione come un vento caldo nelle pareti della cucina. Ginevra finì gli spaghetti in silenzio, allontanando piano il piatto.
Possiamo trovare unalternativa, tentò Teresa. Andrea, andate tu e Ginevra al mercato stasera e domani lasci Lorenzo andare?
Il mercato apre solo domani, tagliò secco Andrea. Mi serve qualcuno robusto. Non posso fare tutto io.
Vengo io, intervenne a sorpresa Ginevra.
Tu resti con Teresa, rispose distinto Andrea.
Ce la faccio da sola, disse Teresa. La marmellata può aspettare: lasciamo Ginevra andare con te.
Andrea la guardò perplesso, quasi grato, eppure risentito.
Cosè, Lorenzo qui fa la bella vita? sbuffò.
Ma io balbettò Lorenzo.
Non hai capito che qui non è Milano? la voce di Andrea si fece dura. Qui sta in mano a noi la responsabilità.
Sempre qualcuno che decide per me, replicò Lorenzo, quasi gridando. Non posso una volta decidere io?
Calò un silenzio teso. Teresa avvertì il cuore stringersi. Avrebbe voluto dirgli che lo capiva, che anche lei un tempo voleva decidere da sola, ma si sentì rispondere con una secchezza estranea:
Finché stai qui, segui le nostre regole.
Lui spinse la sedia.
Allora niente, disse brusco. Non vado da nessuna parte.
Uscì, sbattendo la porta. Poco dopo dalla stanza di sopra si sentì un tonfo.
La serata si trascinò a fatica. Ginevra raccontava qualcosa su una influencer, ma nessuno partecipava davvero. Andrea silenzioso, Teresa a lavare i piatti pensando ancora a quella frase delle nostre regole.
Nel cuore della notte Teresa si svegliò per quellinsolito silenzio assoluto. Nessun rumore di legno che scricchiola, niente traffico fuori. Nessuna luce fendere la soglia della camera di Lorenzo.
Forse finalmente dorme, pensò.
Alle nove meno un quarto, in cucina, trovò Ginevra già seduta, sbadigliando. Andrea leggeva il giornale, una tazza di caffellatte tra le mani.
Dovè Lorenzo? domandò.
Dorme, credo, disse Ginevra.
Salì su, bussò.
Dai Lorenzo, su.
Nessuna risposta. Spinse la porta: il letto era come abbandonato in fretta. La felpa sulla sedia, cavo di ricarica sul tavolo, niente telefono.
Un vuoto dentro.
Non cè, annunciò scendendo.
Come non cè? Andrea si alzò di scatto.
Letto vuoto, telefono via.
Forse è in giardino, azzardò Ginevra.
Fecero il giro. Nulla. Bicicletta ancora al suo posto.
Il regionale delle otto e quaranta, mormorò Andrea fissando la strada fuori dal cancello.
Teresa si sentì gelare le mani.
Magari si è solo incontrato coi ragazzi qui vicino
Quali ragazzi? Non conosce nessuno.
Ginevra tirò fuori il telefono.
Gli scrivo.
Volavano dita sullo schermo. Un minuto dopo:
Non legge. Una spunta sola.
Teresa non conosceva il senso, ma dal volto della nipote intese che era negativo.
Che facciamo? domandò a Andrea.
Lui restò zitto.
Vado in stazione, disse infine. Chiedo in giro se lo hanno visto.
Non sarà il caso? tentò Teresa. Magari è appena dietro langolo
Se nè andato senza dire nulla, la interruppe Andrea. È grave.
Si vestì, prese le chiavi della macchina.
Tu resta qui, le disse. Se torna, avvisa. Ginevra, se ti scrive, chiamaci subito.
Quando lauto uscì dal cancello, Teresa rimase sul portico strizzando uno strofinaccio tra le mani, la testa affollata di immagini tremende. Lorenzo solo alla stazione, in treno, il telefono scarico Si costrinse a fermarsi.
Con calma. È sveglio, non un bambino.
Passò unora. Poi unaltra. Ginevra controllava il telefono a raffica.
Niente diceva, sparito, nemmeno online.
A undici tornò Andrea, il volto segnato.
Nessuno sa nulla, disse. Ho girato anche, vicino alla ferrovia niente.
Avrà preso il treno per la città, mormorò Teresa. A quel festival.
Senza soldi? Andrea alzò le sopracciglia.
Ha la carta, intervenne Ginevra. Tutto sul telefono.
Si guardarono. Per loro i soldi erano in portafoglio, per i ragazzi solo digitali.
Chiamo suo padre? propose Teresa.
Chiamalo, annuì Andrea. Meglio saperlo.
Fu una telefonata pesante. Il figlio rimase in silenzio, poi urlò, poi domandò come fosse successo. Teresa sentì la stanchezza invaderla. Dopo si sedette sullo sgabello e si coprì la faccia.
Nonna, tornò Ginevra, vedrai che non è sparito. Si è solo arrabbiato.
Arrabbiato? E noi cosa siamo, i suoi nemici? fece lei, la voce stanca.
La giornata sembrava non passare mai. Si provarono a distrarre con la marmellata, Ginevra aiutava, Andrea sistemava in garage, ma tutto avveniva di malavoglia. Nessuna notifica arrivò.
Al tramonto, dal vialetto arrivò un rumore. Teresa ebbe un sussulto. Il cancello si aprì. Nellapertura apparve Lorenzo.
Stessa maglietta, jeans impolverati, zaino in spalla, il viso segnato dalla stanchezza ma intero.
Ciao disse piano.
Trattenne limpulso di abbracciarlo subito, ma chiese:
Dove sei stato?
In città, abbassò lo sguardo, al festival.
Da solo?
Con amici, più o meno. Li ho trovati tramite messaggio.
Andrea uscì sul portico, pulendosi le mani.
Sai almeno come ci siamo sentiti? iniziò, ma la voce quasi gli tremò.
Avevo scritto ma poi la connessione è saltata. Il telefono si è scaricato. Avevo lasciato il caricatore a casa.
Ginevra lo raggiunse stringendo il telefono.
Le notifiche non partivano, sempre una spunta
Non è stata colpa mia, guardò tutti, uno per uno. Solo pensavo che se chiedevo, non mi lasciavate andare. Ma ormai avevamo già deciso con gli amici
Si bloccò.
E quindi non hai chiesto, Andrea concluse il pensiero.
Un silenzio carico calò. Ma ora cera anche della stanchezza, non solo rabbia.
Vieni a mangiare, disse Teresa. Poi parliamo.
Lui si sedette a tavola. Un piatto di zuppa calda, pane, bicchiere di succo di frutta. Mangiava ingordo come chi non mette qualcosa sotto i denti da ore.
Sono carissimi quei vostri stand di cibo, borbottò tra un boccone.
Quelli vostri suonava strano ma Teresa lasciò scorrere.
Dopo, di nuovo tutti sul portico a godersi laria fresca.
Facciamo così, Andrea sedendosi sulla panca. La tua libertà labbiamo capita. Ma qui noi rispondiamo di te. Se vuoi andare devi dircelo il giorno prima. Pianifichiamo insieme: come arrivi, come torni, chi ti accompagna. Se siamo daccordo, vai; se no, pazienza. Non si sparisce senza avvisare.
Lorenzo tenne il muso.
Se non date il permesso? chiese.
Allora sei arrabbiato, ma resti, tagliò Teresa. E noi pure ci arrabbiamo, ma almeno andiamo tutti al mercato insieme.
Nel suo sguardo mescolanza di orgoglio, delusione e bisogno di essere grande.
Non volevo farvi preoccupare solo scegliere io.
Scegliere è giusto, disse lei. Ma scegliere vuol dire anche pensare a chi ti vuole bene.
Si stupì di quanto non fosse una predica ma una semplice constatazione.
Lui sospirò.
Va bene. Ho capito.
Unaltra cosa, aggiunse Andrea. Se il telefono si scarica, trovati una presa, un bar, una stazione. La prima cosa: messaggio o chiamata, anche se hai paura che ci arrabbiamo.
Ok, acconsentì Lorenzo.
Restarono un po in silenzio, una cagna abbaiava lontano, Minù faceva le fusa tra lerba.
E il festival comè stato? domandò Ginevra alla fine.
La musica così così, il cibo buono.
Mi fai vedere le foto?
Telefono scarico.
Allora nessuna prova, niente post! rideva lei.
Un sorriso sottile gli si arrampicò sulle labbra.
Quel giorno cambiò latmosfera in casa. Le regole rimasero, ma si fecero elastiche. Teresa e Andrea, la sera stessa, misero per iscritto tutto ciò che ritenevano essenziale: sveglia entro le dieci, due ore di aiuto ciascuno, avviso per qualsiasi uscita o gita, telefoni fuori dalla tavola. Attaccarono il foglio sul frigo.
Sembra lorario della colonia estiva, commentò Lorenzo.
È una colonia di famiglia, rispose lei.
Ginevra si guadagnò le sue regole:
Voi non mi chiamate ogni cinque minuti se vado al fiume, propose, e non entrate senza bussare.
Non ci abbiamo mai pensato, ribatté Teresa sorpresa.
Scrivetelo comunque! intervenne Lorenzo. Pari e patta.
Aggiunte due righe, Andrea firmò mugugnando.
Pian piano trovarono i loro spazi comuni. Un giorno Ginevra rispolverò un gioco da tavolo regalato anni fa dai genitori.
Giocata serale tutti insieme?
Ci giocavo da piccolo, si animò Lorenzo.
Andrea inizialmente tentennava, ma alla fine si unì. Si risero, si accusarono di barare, si azzuffarono simbolicamente con le pedine. I telefoni dimenticati ai margini.
Anche in cucina cambiarono le regole. Teresa, stanca di sentirsi chiedere cosa cè per cena, una domenica annunciò:
Sabato cucinate voi. Io solo do una mano se serve.
Noi? sgranano gli occhi i due in coro.
Voi. Anche se solo pasta col burro e via.
Ci si impegnarono con serietà. Ginevra scelse una ricetta alla moda dal telefono, Lorenzo tagliava le verdure, discutendo su come fare. La cucina inondata daromi, una montagna di piatti sporchi che sembrava una festa.
Basta che il bagno non si intasi dopo, bofonchiava Andrea, ma mangiava tutto fino allultima briciola.
Nellorto, Teresa decise per lautogestione:
Questo filare è tuo, disse a Ginevra, mostrandole le fragole. Questo invece a te, Lorenzo: le carote. Se non vuoi innaffiare, non farlo. Basta che poi non ti lamenti se non cresce niente.
Lo chiamiamo esperimento, propose Lorenzo.
Gruppo di controllo e gruppo di prova, fece eco Ginevra.
Alla fine Ginevra ogni sera documentava la crescita delle fragole, facendo stories coi raccolti. Lorenzo annaffiò due volte, poi scordò tutto. A fine agosto, raccolta finale: cestino pieno per Ginevra, due carote storte per lui.
Allora, morale? domandò Teresa.
Coltivare ortaggi non fa per me, rispose serio Lorenzo.
Tutti risero, genuini.
A fine estate la casa aveva trovato un suo ritmo: colazioni condivise, pomeriggi sparsi, serate tutti insieme. Lorenzo ancora si concedeva qualche notte lunga, ma a mezzanotte spegneva la luce da solo, e Teresa sentiva solo il suo respiro regolare. Ginevra andava dalla vicina al fiume, ma sempre un messaggio: Arrivo alle sei!
Continuavano comunque le discussioni: musica, la quantità di sale nella zuppa, lavare subito i piatti o il giorno dopo. Ormai però non si trattava di uno scontro generazionale, solo di un aggiustarsi reciproco.
Lultima sera, Teresa preparò la torta di mele. Tutta la casa profumava di dolce, la brezza entrava dal portoncino. Gli zaini già pronti sulla panca.
Una foto tutti insieme! propose Ginevra quando la torta fu tagliata.
Ancora con queste foto borbottò Andrea, ma si zittì.
Solo per noi, non la pubblico.
Si misero in giardino. Il sole basso dietro i meli illuminava tutto doro. Ginevra sistemò il telefono su un secchio, attivò il timer, corse da loro.
Nonna in mezzo, nonno da una parte, Lorenzo dallaltra.
Misero braccia sulle spalle, goffi ma contenti. Teresa sentì il braccio magro di Lorenzo avvicinarsi un po di più, Andrea le si appoggiò vicino. Ginevra li abbracciò tutti.
Sorridete.
Uno scatto, poi un altro.
Ecco, controllò Ginevra, bellissima.
Fammi vedere, chiese Teresa.
Sul piccolo schermo sorridevano tutti: lei col grembiule, Andrea con la camicia stropicciata, Lorenzo arruffato, Ginevra con la maglia colorata. Ma in quellimmagine cera qualcosa di unicissimo.
Me la stampi una copia? chiese Teresa.
Certo, Ginevra annuì. Te la mando sul telefono.
E come faccio? Non sono capace a stamparle da lì
Quando vieni da noi, lo facciamo insieme, intervenne Lorenzo. O la stampo io quando torno in autunno.
Annui Teresa. Un senso di pace la avvolse. Non perché ora si capissero senza parole: sarebbero sicuramente sorte ancora mille discussioni. Ma sentiva che, tra le regole e la libertà, avevano tracciato un sentiero da percorrere assieme.
A tarda sera, con i ragazzi a letto, Teresa uscì sul portico. Il cielo scuro, rare stelle sopra il tetto. Tutto in silenzio. Si sedette sul gradino, le ginocchia abbracciate.
Andrea uscì, si sedette accanto.
Domani partono, disse lui.
Sì, domani replicò lei.
Rimasero in silenzio.
Sai, aggiunse Andrea, tutto sommato è andata bene.
Meglio di quanto pensassimo, rispose Teresa. E forse, sì, siamo noi ad aver imparato qualcosa.
Chissà chi educa chi, rise lui.
Lei sorrise. Nella stanza di Lorenzo nemmeno una luce. In quella di Ginevra nemmeno. Da qualche parte, sul tavolino, il telefono silenzioso si caricava: pronto per un nuovo giorno.
Teresa andò a chiudere a chiave, poi si avvicinò al frigo dove il foglietto delle regole già mostrava le estremità arrotolate. Passò il dito sulle firme, e si sorprese a pensare che lestate prossima quella lista lavrebbero forse riscritta. Qualcosa in più, qualcosa via, ma la cosa essenziale sarebbe rimasta.
Spense la luce della cucina e si incamminò a dormire, sentendo la casa respirare tranquilla, pronta a conservare tutto quel che lestate aveva portato, e a tenere uno spazio per ciò che verrà.
Alla fine di questi giorni, ho imparato che le regole hanno senso solo se servono a capirsi e a volersi bene. Tutto il resto lo si aggiusta insieme, estate dopo estate.






