Non riesci a trovare il giusto modo per entrare in sintonia con lui: la storia di Anna, una seconda moglie in lotta contro l’indifferenza del marito e il rifiuto del figliastro adolescente, tra sogni di famiglia e la fatica quotidiana di sentirsi sempre un’estranea nella propria casa

Non riesci proprio a trovargli un senso

Non lo farò! E smettila di comandare! Tu non sei nessuno per me!

Gianluca scagliò il piatto nel lavandino con tale forza che schizzi dacqua attraversarono il piano della cucina come piccoli pesci impazziti. Lucia smise per un istante di respirare, laria dolce della mattina strozzata in gola. Il ragazzo di quindici anni la fissava con uno sguardo ardente, come se lei avesse fracassato la sua intera vita con una carezza di nebbia.

Ti ho solo chiesto di lavare i piatti, Lucia sussurrò, la voce fragile ma composta. È una richiesta normale.
Mia madre non mi ha mai costretto a lavare i piatti! Io non sono una femmina! E tu chi sei per comandare qui dentro?

Gianluca voltò le spalle e sparì dal sogno, lasciando nella cucina una musica martellante che sembrava provenire dai muri e dalle ombre.

Lucia si appoggiò al frigorifero, chiuse gli occhi, e le pareti si piegarono come pane appena sfornato.

Un anno prima tutto profumava di altro

Andrea si era infilato nella sua vita per sbaglio, uno di quegli sbagli che sembrano un segreto depositato nel fondo di una tazzina di caffè. Faceva lingegnere in unazienda di costruzioni a Milano, ma nei sogni non servivano indirizzi. Si incontravano alle riunioni come se fossero comparse in una commedia surreale. Prima il caffè, poi le cene torinesi, poi telefonate che si allungavano nella notte come un fiume che dimentica la foce.

Ho un figlio, Andrea aveva confessato al terzo appuntamento, giocherellando con una bustina di zucchero. Gianluca. Ha quindici anni. Dopo il divorzio con sua madre, due anni fa, il tempo si è fermato per lui.
Capisco, Lucia gli aveva accarezzato la mano con dita leggere come vento. I bambini sentono sempre tutto, soprattutto i silenzi adulti.
Sei sicura di voler accogliere entrambi?

In quel momento Lucia si sentiva coriandolo sparso per aria: trentadue anni, un matrimonio fallito senza figli alle spalle e il desiderio di una famiglia vera, fatta di cuori e rumorini di posate. Andrea sembrava luomo giusto per costruire castelli tra le nuvole.

Dopo sei mesi, Andrea le chiese di sposarla: impacciato, col viso arrossato, aveva infilato lanello dentro una scatola di cannoli freschi. Lucia aveva riso, aveva detto sì senza neanche guardare la scatola.

Un matrimonio semplice, sognato in una trattoria di Perugia: genitori, due amici, foto scattate con cellulari e torta comprata al supermercato. Gianluca aveva passato tutto il tempo con lo sguardo incollato allo schermo, come se i nuovi sposi fossero trasparenti.

Si abituerà, aveva sussurrato Andrea, vedendo gli occhi smarriti di Lucia. Concedigli del tempo che si piega piano.

Lucia traslocò subito dopo, in un trilocale pieno di luce, con il balcone affacciato sulla corte interna e una cucina che odorava già di basilico. Ma appena entrata, si sentì ospite, come un cappotto lasciato nellarmadio sbagliato.

Gianluca la attraversava con lo sguardo, come se Lucia fosse una poltrona rotta oppure un quadro storto appeso dalla signora delle pulizie. Quando parlava, lui rispondeva con frasi mozzate, occhi che scappavano dalle finestre. Le prime settimane Lucia pensava che fosse solo questione di tempo, che nei sogni i figli si piegassero presto alla dolcezza. Ma non si piegò niente.

Gianluca, non mangiare in camera, se no arrivano le formiche.
Mio padre me lo permette.
Gianluca, hai finito i compiti?
Non sono affari tuoi.
Gianluca, puoi almeno togliere il piatto?
Fallo tu. A te cosa cambia?

Lucia provò a parlarne con Andrea. A voce bassa, fragile come vetro colorato.

Dobbiamo fissare delle regole di base, disse una sera, mentre Gianluca era in camera a navigare mari digitali. Niente cibo in camera, ognuno pulisce ciò che sporca, si fa i compiti entro le otto…
Lui soffre, Lucia, Andrea stringeva il ponte del naso con dita sfinite. Il divorzio la nuova presenza in casa. Non puoi pressarlo.
Non lo sto pressando. Chiedo solo ordine, vedi? Un po di ordine fa bene anche ai sogni.
È solo un ragazzino.
Ha quindici anni, Andrea. Sa benissimo da dove iniziare per lavarsi una tazza.

Ma Andrea accese la televisione e il discorso svanì come nebbia sulla riva dellArno.

Col tempo le mura sembravano rimpicciolire, il disagio cresceva come lievito impazzito. Ogni volta che Lucia chiedeva a Gianluca di aiutare, lui la fulminava con disprezzo.

Tu non sei mia madre e mai lo sarai. Non hai il diritto di comandare.
Non comando. Chiedo solo una mano con le cose di tutti.
Questa casa non è tua. È di mio padre. E, soprattutto, mia.

Lucia provava a parlarne ancora con Andrea, che annuiva, prometteva colloqui che sembravano foglie al vento e forse mai avvenuti.

Gianluca cominciò a tornare a casa oltre mezzanotte, strisciando nel buio come unombra, senza messaggi né telefonate. Lucia aspettava, vegliando ogni rumore; Andrea russava placido, come se nulla potesse scalfirlo.

Almeno digli di avvisarci quando esce, supplicava Lucia la mattina. Potrebbe succedergli qualcosa.
È grande ormai, Lucia. Non puoi controllarlo.
Ha solo quindici anni!
Anchio, a quindici anni, rincasavo tardi.
Ma almeno puoi parlargli? Dirgli che ci tiene in ansia?

Andrea si alzava e partiva per lufficio, lasciando dietro di sé solo il rumore di una porta che si chiude.

Ogni tentativo di segnare dei confini diventava un urlo, una porta che sbatteva, unaccusa. Gianluca urlava che Lucia stava rovinando la famiglia. E Andrea, immancabilmente, difendeva Gianluca.

Sta soffrendo, ripeteva come un mantra. Devi capire anche tu.
E io? Lucia scoppiò. Io abito nella casa dove mi guardano come spazzatura, mentre tu fai finta di niente!
Esageri.
Davvero? Tuo figlio mi ha detto che qui non valgo nulla.
Testuali parole.

È un adolescente. Fanno tutti così.

Lucia chiamò sua madre, che sapeva riordinare pensieri come si piega il bucato.

Figlia mia, la voce materna era preoccupata. Sei infelice, lo sento. Non ti lasci ascoltare dal cuore.
Mamma, non so che fare. Andrea nega, non vede problema.
Per Andrea il problema non esiste. Lui si accontenta così. Ma quella che soffre sei tu.

Giuseppina rimase in silenzio poi aggiunse sottovoce:

Meriti di meglio, Lucia. Davvero.

Gianluca, sentendo di poter fare tutto, si spinse oltre. Musica fortissima la notte come se la casa fosse riempita di vento e orchestrine stonate. Piatti sporchi abbandonati sui mobili, calzini come funghi in corridoio, libri di scuola sulla tavola tra posate e molliche. Lucia puliva, piangeva sommessamente.

A un certo punto, Gianluca nemmeno la salutava più. Lucia esisteva solo per essere schernita o insultata.

Non sai come approcciarti a un ragazzo, disse Andrea una sera. Forse il problema sei tu.
Approccio? sorrise Lucia amaro. È da sei mesi che ci provo. Lui mi chiama quella davanti a te.
Stai esagerando.

Lultimo tentativo di Lucia occupò tutta una giornata da sogno. Cercò il piatto preferito di Gianluca pollo al miele con patate arrosto come faceva la nonna in Umbria. Scelse il miglior pollo, le patate più gialle, rimase davanti ai fornelli tra profumi e ricordi per quattro ore.

Gianluca! A tavola! lo chiamò, sottovoce.

Il ragazzo uscì, vide il piatto, arricciò il naso.

Non lo mangio.
Perché?
Perché lhai cucinato tu.

Voltò le spalle e la porta dingresso batté come un tuono lontano fuori con gli amici.

Andrea tornò e trovò la cena fredda.

Cosè successo?

Lucia raccontò. Andrea sospirò.

Dai, Lucia non te la prendere. Non è cattivo, è solo il suo modo.
Non è cattiveria?! Ogni giorno è unumiliazione!
Ti lasci coinvolgere troppo.

Una settimana dopo, Gianluca portò a casa cinque amici di scuola. In cucina apparvero resti di cibo abbandonati ovunque, mentre risate barcollanti occupavano il salotto.

Via subito da qui! È già tardi! Lucia si affacciò sul tappeto dove la banda era sprofondava.
Gianluca non la guardò nemmeno.

Questa è casa mia. Faccio ciò che voglio.
È casa nostra. Ci sono delle regole.
Che regole? sghignazzò uno degli amici. Gianlu, ma questa chi è?
Nessuno. Lascia stare.

Lucia tornò in camera e chiamò Andrea. Lui arrivò quando il caos si era già dissolto.

Lucia, stai facendo un dramma. Sono ragazzi, non è successo niente.
Niente?!
Esageri. E poi Andrea inarcò le sopracciglia sembri quasi godere a mettermi contro Gianluca.

Lucia lo fissò. Quel volto non era più lo stesso.

Andrea, dobbiamo parlare, disse lindomani. Seriamente, di noi.
Andrea si irrigidì, ma si sedette.

Non ce la faccio più, Lucia pesava le parole in bilico. Sei mesi di mancanza di rispetto. Da Gianluca ricevo arroganza, da te solo indifferenza.
Lucia, io…
Fammi finire. Ho provato davvero a diventare parte di questa famiglia. Ma questa non è una famiglia. Siete tu, tuo figlio, e io che pulisco, cucino, e non valgo nulla.
Non è giusto ciò che dici.
Non è giusto? Tuo figlio quando mi ha detto qualcosa di carino? Quando tu mi hai difesa?

Andrea taceva.

Ti amo, mormorò finalmente. Ma Gianluca è mio figlio. Nulla è più importante.
Più di me?
Più di tutto.

Lucia annuì. Dentro si sentiva vuota, ghiaccio tra le mani.

Grazie per la sincerità.

Dopo due giorni il vaso si ruppe: Lucia trovò la sua camicetta preferita dono della mamma, blu con fiorellini tagliata in striscioline e sparsa sul cuscino. Nessun dubbio su chi fosse stato.

Gianluca! salì a cercarlo con i pezzi in mano. Che cosè questo?

Il ragazzo scrollò le spalle, lo sguardo altrove.

Non so nulla.
Era mia!
E allora?
Andrea! chiamò il marito. Vieni subito.

Andrea arrivò, guardò la camicia, il figlio e la moglie.

Gianlu, sei stato tu?
No.
Vedi? disse Andrea Dice di no.
Allora chi? La gatta? Non ne abbiamo!
Magari ti sera impigliata da sola…
Andrea!

Lucia sentì che le parole erano ormai carta straccia. Andrea non sarebbe mai cambiato. Non lavrebbe mai protetta. Per lui esisteva solo Gianluca; lei era solo il vento che pulisce i gradini della casa.

Gianluca soffre per la madre, ripeté Andrea.
Capisco, Lucia rispose, la voce un lago calmo. Ormai capisco tutto.

Quella sera prese le valigie.

Che fai? Andrea la guardava impietrito in sogno tra la porta e la luna.
Metto le mie cose via. Me ne vado.
Dai, Lucia! Parliamone.
Sono sei mesi che parliamo. Non è cambiato nulla. Anche io merito un po di felicità, Andrea.
Cambierò! Parlerò con Gianluca!
È tardi.

Lo guardò ancora: un uomo bello, sì, ma che non sapeva essere altro che padre. Padre cieco, che rovina il figlio con troppa protezione.

Chiederò il divorzio la prossima settimana, chiuse la valigia.
Lucia!
Addio, Andrea.

Uscì senza voltarsi. Nel corridoio vide per un attimo il volto di Gianluca: per la prima volta da mesi, nei suoi occhi si leggevano paura e confusione, non disprezzo. Ma a Lucia ormai non importava.

La nuova casa un monolocale affacciato su un cortile di Bologna, con le finestre che respiravano aria fresca e silenzi era piccola ma accogliente. Lucia sistemò le sue cose, mise a bollire il tè, si sedette sul davanzale. Dopo mesi, per la prima volta il cuore era quieto, come un ramo immerso nel Po.

Il divorzio fu ufficiale due mesi dopo. Andrea telefonava, chiedeva altre possibilità. Lucia rispondeva gentile ma ferma: no.
Non si spezzò, né si avvelenò. Scoprì che la felicità non era il sacrificio, ma il rispetto. E che un giorno, tra le strade dei sogni, qualcuno avrebbe ricamato per lei un po di sole.

Ma non sarebbe stato questuomo.

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