“Cosa intendi dire che ‘non è stato preparato niente per cena’? Non siamo venuti qui per te!” protestò il suocero, sistemandosi al tavolo vuoto.

«Che vuol dire non cè niente da cenare? Non siamo venuti qui per il vostro gusto!», protestò il suocero, sistemandosi sulla sedia vuota della cucina.

«Non capisco perché tu sopporti tutto questo», disse Livia, la collega di Giulia, scuotendo la testa. «Io avrei già chiuso i battenti.»

Giulia sospirò, mescolando il caffè. La pausa pranzo stava per finire e la chiacchierata con lamica non le aveva levato il peso dal cuore.

«A volte mi sembra di vivere in una strada pubblica», disse, posando la tazza. «Immagina: torno a casa dopo una riunione, a stento riesco a stare in piedi, e la suocera e la sua amica sono in cucina a prendere il tè, come se fosse la loro casa! E Andrea non me lo aveva nemmeno detto.»

«E tu che hai fatto?»

«Che potevo fare? Ho sorriso, ho acceso il bollitore, ho preso dei biscotti»

Livia scosse nuovamente la testa. «Li hai addestrati tu stessa. Da cinque anni tolleri tutto questo.»

Giulia si massaggiò le tempie; il mal di testa, compagno costante degli ultimi mesi, tornò a farsi sentire.

«Andrea pensa che dovrei essere felice, dice che i suoi genitori mi trattano come una figlia.»

«Vengono spesso?»

«Almeno tre o quattro volte a settimana. Specialmente il suocero, che non perde loccasione di fare una visita a sorpresa. Si siede nella poltrona e comincia: Ai miei tempi e non manca mai di chiedere cosa cè per cena.»

Proprio in quel momento il cellulare di Giulia suonò. Un messaggio di Andrea annunciava che i genitori sarebbero passati la sera per organizzare il weekend.

«Guarda», le porse il telefono. «Non è una domanda, è una constatazione.»

«E lappartamento è tuo, vero?», incise Livia, aggrottando le sopracciglia.

«Sì. Lho comprato prima del matrimonio, con un mutuo fino alle orecchie, ancora tre anni da pagare. Non prendo un centesimo da Andrea. Mio padre mi ha tormentata: Se ti separi, dovrai dividere lappartamento. Così lo pago da sola e custodisco tutte le ricevute.»

«E loro lo sanno?»

«Certo. Per loro non è nulla. Vittorio, il suocero, ha detto esplicitamente: Questo è il nido di famiglia.»

La giornata lavorativa si trascinò allinfinito; Giulia cercò di concentrarsi sui report, ma la sera che stava per arrivare le tornava in mente. Dopo il confronto con Livia qualcosa si era incrinato. Prima riusciva a convincersi che così doveva andare una famiglia; ora

Alle sei, facendo le valigie, decise: quella notte non avrebbe cucinato. Avrebbe fatto sentire a tutti, per una volta, che era una persona viva, non una semplice aiuto.

Arrivata a casa, la prima cosa fu una doccia e un cambio di vestiti comodi; non guardò neanche verso la cucina. Si sistemò nella sua poltrona preferita con un libro che aveva rinviato da tempo.

Il campanello suonò esattamente alle sette. Sulla soglia cera Vittorio, con un giornale sotto il braccio, e dietro di lui la suocera Rosa, con una busta di semi di girasole.

«Siamo venuti a trovarti!», annunciò Rosa allegramente, dirigendosi dritta verso la cucina.

Giulia annuì in silenzio. Il suocero, senza togliere le scarpe da strada, si accomodò nella poltrona del soggiorno come di consueto.

«Che si cucina oggi?», chiese, aprendo il giornale.

«Niente», rispose bruscamente Giulia.

Vittorio abbassò il foglio. «Niente? State lì come statue! Sbrigatevi a preparare qualcosa!»

Il portone sbatté: era Andrea, che entrava a tutta velocità.

«Ciao a tutti!», esclamò dalla hall. «Oh, mamma, papà, siete già qui!»

Rosa sbirciò fuori dalla cucina. «Andrea, la faccenda è questa Giulia non ha preparato nulla.»

«Non ha preparato nulla?», incavolato, Andrea guardò sua moglie. «Sapevi che i miei genitori sarebbero venuti.»

«Lo sapevo», rispose Giulia, calma. «Me lhai detto a pranzo.»

«E allora? Avresti potuto mettere su qualcosa. Non è la prima volta.»

Giulia notò lo sguardo complice che Rosa scambiò con il marito.

«Proprio così, non è la prima», replicò, alzandosi dalla poltrona. «È la decima, la trentesima Sono stanca di essere una mensa aperta 24 ore su 24.»

«Cara, che stai dicendo», iniziò Rosa.

«Non sono la tua cara!» La voce di Giulia tremò. «Ho un nome, una vita, un appartamento, lo stesso che voi invadete!»

«Giulia!», intervenne Andrea, avvicinandosi. «Basta con gli scongiuri!»

«Scongiuri?», ridacchiò Giulia amaramente. «Chiamate così il mio no dopo cinque anni?»

Vittorio piegò il giornale con eleganza. «Sai, Andrea, ti ho sempre detto che la viziavi. Guarda che risultato.»

«E tu», sbuffò Giulia, rivolgendosi al suocero, poi si zittì. Un nodo si formò in gola; le mani tremavano.

«Io?», chiese il suocero, alzando un sopracciglio. «Continua, finisci quello che hai iniziato.»

Giulia strinse i pugni. Cinque anni di risentimento accumulato esplosero allimprovviso.

«Trattate la mia casa come se fosse vostra. Venite quando vi pare, date ordini, pretendete cibo Ma questo è il mio appartamento! È mio! Ho il diritto di stare sola un po!»

Rosa alzò le mani. «Andrea, senti? Ci sta cacciando fuori!»

«Giulia, fermati!», afferrò Andrea il gomito. «Scusati con i miei genitori.»

«Non lo farò», ribatté Giulia, liberandosi. «Non voglio più chiedere scusa per volere una vita normale, senza visite quotidiane e istruzioni su cosa fare nella mia casa. Sono stanca di cucinare per gli altri!»

I genitori di Andrea si prepararono a partire. Rosa borbottò che Giulia fosse ingiusta e ingrata. Per un attimo regnò il silenzio; Giulia sperava che tutto si fosse calmato.

Ma qualche giorno dopo Andrea annunciò che i genitori sarebbero rimasti per qualche giorno. Giulia era appena tornata da un viaggio di lavoro di tre giorni, esausta per le riunioni infinite.

«Andrea, sono appena scesa dallaereo. Ho bisogno di riposare, di rimettere insieme i pezzi»

«Sai quanto gli piace venire qui», rispose Andrea senza alzare lo sguardo dal cellulare.

«Adorano mangiare gratis», pensò Giulia, ma non disse nulla.

I genitori arrivarono la sera con due enormi valigie. La quantità di roba la mise subito in allarme.

Vittorio si diresse subito al soggiorno, alzando il volume della televisione. Rosa, senza nemmeno togliersi il cappotto, si diresse in cucina.

«Giulia cara, lo stomaco è già a pezzi dal viaggio. Fa qualcosa in fretta.»

«Sto lavorando», rispose Giulia al portatile. «La scadenza mi sta bruciando.»

«Lavorare, dice», sbuffò la suocera. «Faresti un gesto per i genitori di tuo marito.»

Dal soggiorno udì il suocero: «A proposito di lavoro! Giulia, mi aiuti col telefono? La rete non funziona»

«Non posso ora, scusa.»

«È sempre così», protestò il suocero a voce alta verso il figlio. «Nessun rispetto per gli anziani.»

Andrea fingeva di non sentire. Giulia serrò i denti e tornò al lavoro. Dopo mezzora la voce della suocera risuonò di nuovo dalla cucina:

«Giulia! Quanto tempo ancora fingi di essere occupata? Stiamo qui a morire di fame!»

«Ordinate una consegna», sbottò Giulia. «Cè un magnete sul frigo con il menù e il numero.»

«Uffa», fece Rosa, «preferiamo il cibo fatto in casa. Ai miei tempi»

«Io non sono la nuora di unepoca passata!», sbatté Giulia il laptop. «Ho una vita, un lavoro, dei progetti! Perché dovrei interrompere tutto ogni volta che avete fame?»

Il silenzio calò nella stanza; persino la televisione sembrò tacere.

Vittorio, con tono lento, osservò: «Andrea, senti come parla tua moglie?»

«Giulia è solo stanca», tentò di mitigare Andrea. «Mi occupo io della cena.»

«No, figlio mio», si alzò il suocero dalla poltrona. «Non è questione di stanchezza. Tua moglie si è montata la testa. Dice che, perché lappartamento è suo, può guardare dallalto di noi.»

«Sapete una cosa?», intervenne Giulia, alzandosi. «Sì, è il mio appartamento. E ho il diritto di decidere chi vive qui e quando!»

«Giulia!», implorò Andrea, appoggiandole una mano sulla spalla. «Sii un po più tollerante! Sono la mia famiglia!»

«Lasciatemi», disse a bassa voce Giulia. «Non ce la faccio più.»

«Basta!» interruppe bruscamente la suocera. «Iniziate a cucinare, se avete tempo per litigare.»

Quattro occhi puntavano su di lei. Alla fine cedette.

Dopo pochi giorni i genitori di Andrea se ne andarono. Giulia sperava che la quiete fosse tornata. Per due mesi la casa visse in relativa tranquillità.

Un pomeriggio, rientrata dal lavoro, Giulia sognava una vasca calda e una tazza di tè. La giornata era stata dura: tre riunioni consecutive, un cliente difficile, traffico interminabile. Aprì la porta di casa e rimase ferma sulla soglia.

Voci e il rumore di piatti provenivano dalla cucina. Vittorio e Rosa già si erano sistemati, spargendo la spesa sul tavolo e tirando fuori le pentole.

«Eccoti!», esclamò Vittorio, allontanandosi dal giornale. «Allora, cosa cuciniamo stasera?»

Giulia depose lentamente la borsa. «Niente.»

Andrea, che stava in piedi accanto alla finestra, voltò lo sguardo altrove. Vittorio aggrottò:

«Che vuol dire niente? Non siamo qui per te! Siamo qui per il tuo cibo! Vai su, accendi i fornelli!»

Qualcosa si spezzò dentro Giulia. I sospetti si confermarono: cinque anni di umiliazione, concessioni infinite, tentativi di compiacere, tutto per nulla. Nessuno la considerava una persona.

«Capisco», si raddrizzò. «Allora è per il cibo? Pensavo foste qui per vedere vostro figlio.»

«Giulia, non iniziare», tentò di intervenire Andrea.

«No, cara, finirò io», replicò Giulia, rivolgendosi a lui. «Questa non è una mensa, non è un hotel. È casa mia! È mia! E non lascerò più nessuno comandare qui.»

Rosa alzò le mani. «Andrea, senti cosa dice?»

«Non mi hai sentito per cinque anni», continuò Giulia. «Per cinque anni ho cucinato e sopportato le vostre visite. E tu», guardò Andrea, «non hai mai preso una mia difesa. Mai!»

«Sei sbagliata!», scoppiò Andrea. «Ti comporti come»

«Come cosa?», lo interruppe Giulia. «Come chi è stanca di essere serva nella propria casa?»

Vittorio si alzò. «Meglio andare via. Non vogliamo intralciare la tua decisione.»

«Giusto», annuì Giulia. «Andatevene. E non tornerete senza invito.»

«Giulia!», afferrò Andrea la sua mano. «Scusati. Subito!»

«No», lo rifiutò, liberandosi. «Basta. Scegli, Andrea: o rispetti i miei limiti, o» fece una pausa «torni dai tuoi genitori. Per davvero.»

Il silenzio divenne pesante. Giulia osservò Andrea spostare lo sguardo tra lei e i genitori, poi tornare indietro. Alla fine abbassò la testa.

«Mi dispiace, Giulia. Ma sono i miei genitori.»

«E io?», chiese Giulia a bassa voce. «Che cosè di me?»

Per qualche minuto Andrea rimase fissato sul volto di Giulia, cercando una risposta.

«Non cambierai idea?», chiese infine, con tono cupo.

Giulia scrollò la testa. Aveva trovato la forza di cambiare la propria vita e non intendeva più rinunciare alla libertà conquistata.

Andrea prese silenzioso la giacca e, con i genitori, uscì. La porta di casa sbatté, lasciando un silenzio insolito. Era la fine del matrimonio.

Giulia si lasciò cadere su una sedia. Le lacrime non vennero. Invece di amarezza o disperazione, provò unimpensabile leggerezza, come se avesse deposto un peso immenso che laveva accompagnata per anni.

Il telefono vibrò: un messaggio di Livia: «Come stai?»

Giulia sorrise e iniziò a scrivere: «Immagina, finalmente».

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