Maria si sedette sul sedile posteriore e, alzando lo sguardo, si rese conto che il suo bambino non sarebbe riuscito a stare lì.
Io, Alessandro, i nostri due figli Matteo e Gabriele eravamo in vacanza fuori dallItalia. Un giorno ci accadde qualcosa di poco piacevole.
Avevamo prenotato un tour che includeva la visita a luoghi unici, inaccessibili a piedi. Decidemmo di dedicare una giornata intera a quellescursione.
Acquistammo quattro biglietti, così ognuno avrebbe avuto il proprio posto. Poco dopo, salì sul bus una donna corpulenta con un neonato della stessa corporatura. Si incastrarono a malapena tra le file. La signora, di nome Francesca, si sedette sul sedile più a fondo e scoprì che il suo bambino non ci starebbe dentro. Si alzò immediatamente, cercando un altro posto libero per il piccolo.
Guardò i nostri due ragazzi snelli e decise di far sedere il suo figlio accanto a loro.
Io intervenni, spiegando che avevamo pagato per quei posti e che non cera motivo di costringere i bambini a spostarsi. Francesca non mollò, iniziò persino a discutere con la guida del tour.
Tentò di convincerci che avremmo dovuto mescolare la gente, ossia cedere il nostro spazio. Perché dovevamo farlo? Arrivò persino a suggerirci di annullare la visita e restituire i biglietti. Anche gli altri turisti si unirono alla discussione, chiedendo selfie e facendo commenti sul caso.
I bambini, stanchi della tensione, si mossero per far riprendere il tour, mentre lautista aspettava che la lite si placasse. Latmosfera era ormai rovinata.
Mi chiesi: avevamo ragione? Perché i miei figli avrebbero dovuto viaggiare in condizioni così strette, dopo che avevo già pagato i loro biglietti? Che ne pensate?
Alla fine ho capito che il rispetto reciproco supera di gran lunga il desiderio di un posto a sedere: la gentilezza e la comprensione sono il vero biglietto per una vacanza serena.






