I parenti di mio marito si sono autoinvitati nella nostra casa di campagna per le vacanze, ma io ho rifiutato di dargli le chiavi – Allora, abbiamo pensato che tanto la vostra casa in campagna sta lì inutilizzata! Così andiamo noi per le vacanze di Natale con i bambini. Aria fresca, la collinetta per le slitte è lì vicino, ci facciamo pure la sauna. Tanto tu, Elena, sei sempre impegnata al lavoro e a Vito serve solo riposo, ma non vuole venire con noi – dice che spera di dormire tanto. Quindi dai, lasciaci le chiavi: domani passiamo a prenderle. Silvia, la cognata di Elena, parlava al telefono così forte e decisa che Elena dovette allontanare il telefono dall’orecchio. Era in cucina, asciugando un piatto appena lavato, e cercava di realizzare ciò che aveva appena sentito. L’arroganza dei parenti del marito era ormai proverbiale, ma un’intrusione simile ancora non l’aveva mai dovuta subire. – Guarda, Silvia… – Elena rispose lentamente, cercando di non far tremare la voce per la rabbia crescente. – Ma con chi l’hai deciso? La casa di campagna non è un alloggio pubblico, né un agriturismo. È la casa MIA e di Vito. E per inciso, anche noi volevamo andarci. – Mamma mia, ma smettila di fare storie! – sbuffò Silvia, continuando a masticare qualcosa. – “Ci volevate andare…”. Vito ha detto a mamma che sarete rimasti a casa davanti alla tv! Tanto lì avete spazio, sono due piani. Non vi disturbiamo, nel caso proprio doveste arrivare. Ma meglio di no, che il nostro gruppo è rumoroso e ci divertiamo di più senza di voi. Gino chiamerà anche amici, si fa carne alla brace, la musica… Tu con i tuoi libri lì ti annoieresti e basta. Elena si sentì ribollire. Vide la scena davanti agli occhi: Gino, il marito di Silvia, appassionato di liscio urlato e di alcolici forti; i loro due figli adolescenti, incapaci di fare una cosa senza devastare tutto; e la sua povera casa di campagna, in cui aveva riversato anima e tutti i risparmi degli ultimi cinque anni. – No, Silvia – rispose Elena ferma. – Le chiavi non te le consegno. La casa non è pronta per ricevere ospiti, bisogna saper bloccare il riscaldamento, il pozzo è delicato. E sinceramente, non voglio gente estranea che si abbuffa e fa casino in casa mia. – Estranea?!? – la cognata strillò indignata, smettendo di masticare. – Sono la sorella di tuo marito! I tuoi nipoti! Sei impazzita, stai troppo fra fatture e calcoli! Ora chiamo mamma, vediamo cosa ne pensa del tuo “ospitare i parenti”! Poi riattaccò con lo stesso fragore di una pistola. Elena appoggiò il telefono sul tavolo, le mani che tremavano. E sapeva che era solo l’inizio. A breve sarebbe scesa in campo “l’artiglieria pesante”: la suocera, Nives, e sarebbe iniziato l’assedio. Vito, il marito, entrò in cucina poco dopo, sorridendo mesto. Aveva sentito tutto, ma aveva preferito stare in soggiorno, sperando che la moglie gestisse la situazione. – Elena, magari sei stata troppo rigida… – iniziò, provando ad abbracciarla. – Silvia è impulsiva, ma è sempre famiglia. Si offenderebbero davvero… Elena scrollò la spalla e si girò. Nei suoi occhi stanchezza e determinazione. – Ti ricordi lo scorso maggio, Vito? Lui fece una smorfia dolorante. – Ehm, sì… — – Ti pare poco? Erano venuti per “due giorni alla griglia”. Risultato: albero di mele rotto (lo aveva piantato mio padre), tappeto bruciato dalle braci che ho pulito una settimana senza riuscirci, una montagna di piatti sporchi coperti di grasso perché Silvia disse “ho la manicure, c’è la lavastoviglie”, ma non l’hanno nemmeno accesa e l’hanno intasata. E il vaso rotto? E le peonie calpestate? – Erano… bambini… giocavano… – mormorò Vito fissando il pavimento. – Quindicenni e tredicenni! Non parliamo di piccoli in cortile. E in sauna hanno lasciato il fumo nero perché si sono dimenticati di aprire la bocchetta! Vuoi lasciarli soli, in inverno, per una settimana? – Gino giura che farà attenzione… – Gino farà attenzione solo a non far finire la bottiglia di grappa! – sbottò Elena. – No, Vito. Ho detto no. La casa è mia, anche legalmente. Ho investito tutti i soldi della vendita della casa di mia nonna. Ogni dettaglio lo conosco io. Non la farò diventare un porcile. La serata passò nel silenzio più teso. Vito fece finta di guardare la tv, poi andò in camera. Elena rimase in cucina a bere tè, pensando a tutto ciò che avevano passato per avere quella casa non solo di vacanza, ma vero rifugio. Per lei era un santuario contro lo stress della città. Per la famiglia di lui solo una “base gratis” con tutti i comfort. Il giorno dopo, il campanello. Elena guardò dallo spioncino: era Nives, la suocera, in pelliccia e borsetta da battaglia, da cui sbucava la coda di un pesce surgelato. – Apri, Elena! Dobbiamo parlare! – intimò, entrando nella casa come un rompighiaccio. Vito uscì dal soggiorno, tra paura e servilismo: – Mamma, non ci avevi avvisati… – Ora serve il permesso per vedere il figlio?! – sbottò Nives, buttando la pelliccia tra le braccia di Vito. – Mettete il tè. E anche una valeriana che il cuore mi fa male da due giorni per colpa vostra. La suocera si sedette con l’aria di presidente del tribunale. Elena portò tè e torta, rassegnata. – Allora, Elena – attaccò Nives, sorseggiando. – Cos’ha fatto Silvia di tanto male? È tua cognata. Ti ha chiesto per favore le chiavi per far respirare i figli nella natura. Loro sono in casa tra polvere e rumore coi lavori. E lì il vostro palazzo resta vuoto. Non ti pesa? – Signora Nives – rispose Elena fissandola – non è un palazzo, ma una casa da manutenere. Neppure dopo cinque anni di loro “ristrutturazione” Silvia può venire a occupare la nostra. E ricordo ancora l’ultima volta: l’odore di fumo dalle tende che non sono ancora riuscita a togliere, anche se ho detto VENTI volte che non si fuma in casa. – E allora? Si apre la finestra! – si indignò la suocera. – Sei attaccata troppo alle cose, dovresti pensare alle persone. Così fai diventare Vito un avaro senza cuore. Tanto la casa mica te la porti nella tomba! – Mamma, però Elena si è fatta in quattro per sistemarla… – provò Vito. – Taci! Sei sotto il tacco della moglie! E tua sorella con i figli dovrebbero stare in strada? Gino fa 45 anni il 3 gennaio, voleva festeggiare in modo speciale! Ha già preso gli ospiti e la carne. Ora come fa? Dobbiamo cancellare tutto e farci svergognare lì davanti agli amici? – Non sono problemi miei se hanno invitato gente a casa di altri senza chiedere – tagliò Elena. – Questo si chiama mancanza di rispetto. La suocera divenne paonazza. Di solito nessuno le si opponeva. Ma Elena fu incrollabile. – Mancanza di rispetto? – Nives si portò la mano al cuore, offesa. – Io ti ho sempre trattato da figlia e tu… Vito! Hai sentito come parla a tua MADRE? O le date le chiavi subito o non metterò mai più piede in quella casa! E ti dirò anche un’altra cosa, Elena: la terra è rotonda! – Tanto non venite mai neanche per zappare l’orto – non si trattenne Elena. – Serpe! – gridò la suocera, alzandosi e buttando giù la sedia. – Vito, dammi le chiavi, ci penso io! Vito guardò la moglie, poi la madre. Era a pezzi. Ma: – Le chiavi ce le ha Elena. E forse ci andiamo noi. – Hai mentito! – latrò la suocera. – BENE. Domani mattina Silvia passerà a prenderle. Che siano pronte. E scrivi l’istruzioni per la caldaia, Vito! Sennò per me non sei un figlio. Te lo ricorderai questo giorno, Elena. Ricordalo bene! Chiuse la porta con uno schianto glaciale. La casa restò avvolta nel silenzio, interrotto solo dal ticchettio dell’orologio. – Non gliele darai, vero? – chiese Vito, sottovoce. – No. E anzi, domani partiamo noi per la casa. Subito. – Ma avevi detto che dovevi lavorare… – Cambiato programma. O la occupiamo noi o ci entrano loro dalla finestra. Hai presente tua sorella? Se decide, sarebbe capace di sfondare tutto pur di entrare. Se ci troveranno lì dentro, dovranno andarsene. – Elena, ma così è guerra… – È difesa dei confini, Vito. Prepara le borse. Partirono all’alba, in una città decorata a festa ma con l’umore tutt’altro che natalizio. Vito nervoso, il telefono in modalità silenziosa per ordine della moglie. Il viaggio durò poco. La casa, immersa nella neve, era splendida. Elena si rilassò: lì avrebbe difeso il suo sogno. Presto la casa fu calda e decorata. Profumo di pino e mandarini. Vito spazzava la neve dal vialetto con piacere. Finalmente anche lui sembrava tranquillo. Ma alle tre del pomeriggio, il peggio. Clacson. Due auto: il vecchio SUV di Gino e un’altra sconosciuta. Tanta gente. Silvia col piumino fucsia, Gino smanicato, i figli vivaci, una coppia mai vista e pure un enorme rottweiler, senza museruola. E ovviamente Nives, la suocera. Vito bloccato con la pala di neve, Elena uscì di corsa. – Dai, aprite! Siamo qui! – urlava Silvia, tirando la maniglia del cancello. – Elena, su, che sorpresa! Festeggiamo insieme! Elena pose la mano sulla spalla del marito e disse forte: – Buongiorno. Ma noi non aspettavamo nessun ospite. Gino fece la voce grossa: – Ma dai, si sta insieme! Ho portato un sacco di carne e di vodka! Guarda che c’è anche Antonio con la sua rottweiler, buonissima! Aprite, dai, Vito! – Il cane?! – vide il cane sporcare la sua preziosa tuia. – Dai, è solo una pianta! – rise Silvia. – Aprite, i ragazzi devono andare in bagno! – Il bagno lo trovate al distributore, cinque chilometri da qui – disse Elena gelida. – Ve l’ho già detto: la casa è occupata. Stiamo qui da soli. Non c’è spazio per una compagnia di dieci persone più cane. Silenzio dall’altra parte del cancello. Non ci credevano. Erano abituati a imporsi coi fatti compiuti. – Allora non ci fai entrare? – Nives furiosa. – Tua madre vuoi lasciare al gelo? Vito! Dille qualcosa! Vito guardò la moglie, supplicante. – Elena, dai… ormai sono qui… – No, Vito, – Elena tagliò corto. – Se apri il cancello, tra un’ora avrai casino, cane che distrugge le aiuole, figli che devastano l’interno, Silvia che mi comanda in cucina e Gino che fuma in salotto. Finisce la pace prima di iniziare. O vuoi passare un Capodanno in serenità solo con me? Decidi. Adesso. Vito guardò la folla agitarsi dietro la recinzione. Gino minaccioso, Silvia che urlava, i figli che lanciavano palle di neve alle finestre, Nives presa a recitare la parte della martire. E Vito finalmente ricordò i weekend precedenti rovinati. Si fece coraggio e si avvicinò al cancello. – Mamma, Silvia. Elena ha ragione. Abbiamo già detto di no alle chiavi. Non aspettiamo nessuno. Andate via. – COME?!? – Avete sentito. Questa è anche casa mia. E non voglio più confusione. Ora basta. – Ti faccio vedere io! – Gino provò a scassinare il cancello. – Via, Gino. Chiamo i carabinieri e l’addetto alla sicurezza del villaggio. – Carabinieri?! – Nives sconvolta. – Siamo i TUOI?! – Andate da Antonio a festeggiare, è una persona di cuore almeno! – urlò Silvia, tastandosi la coscienza. – Venite, gente! Le auto si avviarono borbottando e Silvia fece pure il gesto dell’ombrello a Elena. Nives con lo sguardo di bronzo, avanti dritta. In cinque minuti solo la neve e un alone giallognolo sulla tela della tuia. Vito lasciò la pala e si sedette esausto. – Ma che figura… Tua madre… Elena gli sedette accanto, appoggiandosi al suo braccio. – Non è una brutta figura. È diventare adulti. Hai protetto la NOSTRA famiglia per la prima volta, non il loro clan. – Lei non mi perdonerà più. – Ti perdonerà appena avrà bisogno ancora di noi. Sono così, Vito. Ma almeno d’ora in poi sapranno che c’è un confine. Impareranno a rispettarti. Magari ci vorrà del tempo, ma succederà. – Lo credi davvero? – Lo so. E se non cambierà, vivremo più sereni. Dai, entra in casa, che ti scaldi. Ti preparo il vin brulé. E tornarono nel loro nido caldo. Elena chiuse le tende, proteggendo il loro piccolo mondo da fuori e dai rancori. Passarono tre giorni in pace, solo loro. Niente telefonate: boicottati dai parenti. Il 3 gennaio, come previsto dal destino, Silvia mandò una foto: una baracca con la stufa, bottiglie ovunque, gente stravolta. “Noi ci divertiamo lo stesso! Godetevelo!” recitava la didascalia. Elena guardò il marito che dormiva in poltrona, tranquillo, sereno, lontano dal baccano. Sorrise. – Nulla da invidiare, Silvia – sussurrò. E cancellò la foto, per non svegliare Vito. Una settimana dopo, in città, Nives chiamò. Voce fredda e risentita, ma chiese a Vito un passaggio per la visita medica. Della casa di campagna non parlò più. Il confine era stato fissato. Ogni tanto c’erano piccole schermaglie, ma la fortezza era rimasta inviolata. Elena imparò una lezione: a volte bisogna essere “cattiva” per gli altri per poter essere buona con sé stessa e proteggere la propria famiglia. E le chiavi della casa ora stavano in cassaforte. Giusto per sicurezza.

2 gennaio

Mi sento ancora scossa da tutto quello che è successo in questi giorni. Dovrei essere allegra, visto che lanno nuovo è appena iniziato e siamo finalmente alla nostra casetta a Valeggio sul Mincio, ma invece non riesco a smettere di pensare a come ci si debba sempre difendere, anche con chi dovrebbe volerti bene. Forse scrivere mi aiuta a mettere ordine nei pensieri.

Ieri mattina, ero ancora in cucina a lavare le tazze della colazione, quando mi ha telefonato mia cognata Silvia, la sorella di Marco. Già dal tono alto, diretto, il classico modo di parlare delle donne della sua famiglia ho capito che avrebbe preteso qualcosa. Mi ha detto, masticando qualcosa, che loro avevano deciso di venire alla nostra casa di campagna per le vacanze di Capodanno. Tanto voi non ci andate mai, Arianna, è uno spreco! mi ha urlato, aggiungendo che avrebbero portato anche i bambini, e che avrebbero acceso il camino, cucinato la carne, magari invitato qualche amico a passare un po di tempo nella natura.

Mè salita unondata di rabbia. Questa pretesa di disporre della nostra casa come fosse un rifugio pubblico mi ha sempre dato fastidio, e stavolta mi sono proprio sentita messa allangolo. Le ho detto lentamente per evitare che mi tremasse la voce dalla furia che la decisione non spettava a loro. Quella casa, sudata in cinque anni di sacrifici, è nostra. È il sogno di Marco e mio, il nostro spazio di pace lontano dalla frenesia di Verona e dagli strilli dei parenti sempre invadenti.

Ma Silvia non mollava. Rideva al telefono, diceva che con i vostri libri lì vi annoiate, che tanto spazio non si può sprecare, e che se proprio volevamo passare un giorno con loro sarebbe stato anche divertente, anche se sapeva che non era vero.

Ho riagganciato, sfinita. Ma ovviamente la cosa non era finita. Dopo mezzora, Marco è apparso in cucina, con quellespressione tra il colpevole e il bambino che ha appena rotto un vaso. Ma dai, Ari, è famiglia non vorrai farli rimanere male?, ha provato ad abbracciarmi, ma io mi sono scansata: la stanchezza negli occhi diceva già tutto. Gli ho ricordato lo scorso maggio, quando solo due giorni di grigliata in compagnia ci lasciarono una casa devastata: il tappeto del soggiorno bruciato, la tenda della nonna stinta dal fumo di dieci sigarette, la pompa dellacqua otturata e i fiori calpestati dai figli ormai adolescenti di Silvia che non si può più chiamare ragazzate, perché uno ha quasi sedici anni!

Gli ho ricordato tutte le volte che mi sono ritrovata a piangere davanti alle piante rotte o ai ricordi sciupati senza che neanche un scusa arrivasse. Vuoi lasciargli la casa per una settimana senza nessuno che controlli, dinverno, con la neve, con il cane di amici loro? Davvero?, ho chiesto.

Promettono di stare attenti… borbottava Marco, ma sapevo che mentiva anche a sé stesso. Gino, il marito, l’unica cosa che riesce a controllare bene sono le bottiglie, non una casa.

La sera è calata con una tensione pesantissima. Marco si è rifugiato in soggiorno, io ho ripensato a quegli anni di lavori, a come avevamo ristrutturato quellantico casale che era stato dei miei. Ogni risparmio dalla vendita dellappartamento di nonna, ogni sacrificio: niente viaggi, niente vestiti nuovi, solo per quella casa in mezzo ai colli, da sentire nostra. Per loro è solo una villa gratis, per noi è il nido in cui ci rifugiamo.

Nemmeno il tempo di mettere a posto i pensieri che stamattina prima ancora del primo caffè sento il campanello: era mia suocera, la signora Anna Maria, con il suo cappotto di visone, cappellino di lana e borsa della spesa con dentro unorata congelata di due chili che faceva capolino con la coda.

Entra come una regina a corte, saluta appena e mi ordina di mettere su il tè. Marco accorre, visibilmente nervoso. Sua madre si siede a capotavola, il tono da giudice del tribunale popolare: Allora, Arianna, fammi capire perché tratti mia figlia Silvia come una sconosciuta. Ti ha semplicemente chiesto le chiavi per andare al vostro casale, visto che la loro casa è un cantiere, tra polvere e operai ma tu niente. Da te proprio non me laspettavo!. Mentre tagliavo la torta alle mandorle, con le mani che mi tremavano dalla rabbia, ho risposto con calma: Non è un hotel, signora Anna Maria. E se Silvia si trova ancora in mezzo al cantiere dopo cinque anni di lavori non è colpa nostra. Lultima volta che sono stati da noi ci hanno lasciato il fumo fino alle tende del soggiorno e non mi hanno nemmeno detto grazie.

Lì si è sentita ferita, mi ha accusata di essere avara, che da morta non me la porto via la casa e che sto facendo diventare Marco un senza cuore. Lui ha provato a difendermi, ma la madre lo ha messo subito a tacere.

Alla fine, la minaccia è arrivata: Domani mattina Silvia passa a prendere le chiavi. O me le dai, oppure ti pentirai! E ricordati: la ruota gira!. Poi ha sbattuto la porta, lasciando nellaria la scia del suo profumo da signora e del suo risentimento.

Ho guardato Marco. Mi ha chiesto, sottovoce: Non gliele dai vero, Ari?. Gli ho detto che no, questa volta basta: domani mattina si parte allalba e si va noi. Ma i tuoi bilanci e i conti che dovevi chiudere? Li chiudo dopo, la priorità ora è difendere la nostra casa dai barbari. Silvia entrerebbe anche dalla finestra se decidesse che deve. Tu sbrigati a preparare le borse!

Allalba oggi siamo arrivati a Valeggio, con ancora le luci natalizie a salutare le strade vuote di Verona. Fuori il paese era coperto da una coltre di neve che sembrava zucchero. La casa era bella, raccolta, silenziosa. Ho sentito per la prima volta, dopo giorni, un po di pace. Abbiamo scaldato tutte le stanze, addobbato un po per il nostro Capodanno, acceso lalbero. Marco spalava la neve con energia finalmente felice. Io mi sono messa a fare il vin brulé. Per qualche ora, sembrava che la tempesta fosse passata.

Alle tre, però, ecco di nuovo lassalto: due macchine si sono fermate davanti al cancello. Silvia, Gino, i loro figli, una coppia di amici con un rottweiler senza guinzaglio e, ovviamente, Anna Maria elegante e imponente come sempre.

Cominciano a suonare il clacson e a gridare che sono arrivati, che ci faranno compagnia, che sarà più divertente insieme. Silvia urla che i ragazzi devono andare in bagno, la madre minaccia di sentirsi male e Gino ride, con già la voce impastata: Abbiamo portato carne e amarone, non rompete!.

Marco guarda me, io guardo lui. Se apriamo è finita, gli dico. Marco tenta lultimo tentennamento: Ari, sono già qui, che facciamo?. Scegli, Marco: vuoi una settimana di pace con me o il solito casino in cui nessuno rispetta niente?. Silenzio. Lo vedo ricordare tutte le liti per sistemare il portico distrutto, le vasi rotte, le urla. Prende fiato, si avvicina al cancello: Andate via. Questa volta basta. Lavevamo detto. Non siete graditi ospiti quando decidete voi. Gelo.

La madre urla anatemi, Silvia insulta, Gino tenta pure di scavalcare, minaccia di chiamare i carabinieri (sic!) e il cane fa pipì sui miei rododendri. Un teatro dellassurdo.

Alla fine, dopo grida e minacce (Non vedrai mai più questi figli ingrati!, Sei diventato schiavo di tua moglie!), ripartono tutti sbuffando, lasciando solo una scia di polemica e neve sporca.

Finiti. Marco si è seduto sui gradini, avvilito. Non me lo perdoneranno. Invece sì, gli ho sussurrato. Quando avranno bisogno di qualcosa torneranno, vedrai. Intanto adesso hanno capito che questa è casa nostra. Che non si entra senza chiedere, che anche i confini della famiglia vanno rispettati.

Finalmente, la sera, davanti al fuoco, i nostri cuori hanno trovato una tregua. Si sentiva solo il crepitio del camino e il profumo del vin brulé. Nessun telefono, nessun messaggio e va bene così.

Il giorno dopo, un messaggio di Silvia: la foto di un casermone malridotto, bottiglie ovunque, Gino avvinazzato. Stiamo benissimo anche senza di voi, godetevi la solitudine!. Ho guardato la foto, poi Marco che, sereno, dormiva sulla poltrona col romanzo in grembo. Ho sorriso. Nulla da invidiare, davvero.

Rientrati a Verona, dopo una settimana la signora Anna Maria mi ha chiamato per chiedere se Marco poteva accompagnarla a una visita medica. Di casa nessun accenno. La tregua era fatta.

Ho imparato che a volte dobbiamo essere cattivi agli occhi degli altri, per poter essere giusti con noi stessi e custodire la nostra famiglia. Le chiavi della nostra casa ora stanno nel mio portagioie, ben nascoste. E da qui non si muovono più.

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I parenti di mio marito si sono autoinvitati nella nostra casa di campagna per le vacanze, ma io ho rifiutato di dargli le chiavi – Allora, abbiamo pensato che tanto la vostra casa in campagna sta lì inutilizzata! Così andiamo noi per le vacanze di Natale con i bambini. Aria fresca, la collinetta per le slitte è lì vicino, ci facciamo pure la sauna. Tanto tu, Elena, sei sempre impegnata al lavoro e a Vito serve solo riposo, ma non vuole venire con noi – dice che spera di dormire tanto. Quindi dai, lasciaci le chiavi: domani passiamo a prenderle. Silvia, la cognata di Elena, parlava al telefono così forte e decisa che Elena dovette allontanare il telefono dall’orecchio. Era in cucina, asciugando un piatto appena lavato, e cercava di realizzare ciò che aveva appena sentito. L’arroganza dei parenti del marito era ormai proverbiale, ma un’intrusione simile ancora non l’aveva mai dovuta subire. – Guarda, Silvia… – Elena rispose lentamente, cercando di non far tremare la voce per la rabbia crescente. – Ma con chi l’hai deciso? La casa di campagna non è un alloggio pubblico, né un agriturismo. È la casa MIA e di Vito. E per inciso, anche noi volevamo andarci. – Mamma mia, ma smettila di fare storie! – sbuffò Silvia, continuando a masticare qualcosa. – “Ci volevate andare…”. Vito ha detto a mamma che sarete rimasti a casa davanti alla tv! Tanto lì avete spazio, sono due piani. Non vi disturbiamo, nel caso proprio doveste arrivare. Ma meglio di no, che il nostro gruppo è rumoroso e ci divertiamo di più senza di voi. Gino chiamerà anche amici, si fa carne alla brace, la musica… Tu con i tuoi libri lì ti annoieresti e basta. Elena si sentì ribollire. Vide la scena davanti agli occhi: Gino, il marito di Silvia, appassionato di liscio urlato e di alcolici forti; i loro due figli adolescenti, incapaci di fare una cosa senza devastare tutto; e la sua povera casa di campagna, in cui aveva riversato anima e tutti i risparmi degli ultimi cinque anni. – No, Silvia – rispose Elena ferma. – Le chiavi non te le consegno. La casa non è pronta per ricevere ospiti, bisogna saper bloccare il riscaldamento, il pozzo è delicato. E sinceramente, non voglio gente estranea che si abbuffa e fa casino in casa mia. – Estranea?!? – la cognata strillò indignata, smettendo di masticare. – Sono la sorella di tuo marito! I tuoi nipoti! Sei impazzita, stai troppo fra fatture e calcoli! Ora chiamo mamma, vediamo cosa ne pensa del tuo “ospitare i parenti”! Poi riattaccò con lo stesso fragore di una pistola. Elena appoggiò il telefono sul tavolo, le mani che tremavano. E sapeva che era solo l’inizio. A breve sarebbe scesa in campo “l’artiglieria pesante”: la suocera, Nives, e sarebbe iniziato l’assedio. Vito, il marito, entrò in cucina poco dopo, sorridendo mesto. Aveva sentito tutto, ma aveva preferito stare in soggiorno, sperando che la moglie gestisse la situazione. – Elena, magari sei stata troppo rigida… – iniziò, provando ad abbracciarla. – Silvia è impulsiva, ma è sempre famiglia. Si offenderebbero davvero… Elena scrollò la spalla e si girò. Nei suoi occhi stanchezza e determinazione. – Ti ricordi lo scorso maggio, Vito? Lui fece una smorfia dolorante. – Ehm, sì… — – Ti pare poco? Erano venuti per “due giorni alla griglia”. Risultato: albero di mele rotto (lo aveva piantato mio padre), tappeto bruciato dalle braci che ho pulito una settimana senza riuscirci, una montagna di piatti sporchi coperti di grasso perché Silvia disse “ho la manicure, c’è la lavastoviglie”, ma non l’hanno nemmeno accesa e l’hanno intasata. E il vaso rotto? E le peonie calpestate? – Erano… bambini… giocavano… – mormorò Vito fissando il pavimento. – Quindicenni e tredicenni! Non parliamo di piccoli in cortile. E in sauna hanno lasciato il fumo nero perché si sono dimenticati di aprire la bocchetta! Vuoi lasciarli soli, in inverno, per una settimana? – Gino giura che farà attenzione… – Gino farà attenzione solo a non far finire la bottiglia di grappa! – sbottò Elena. – No, Vito. Ho detto no. La casa è mia, anche legalmente. Ho investito tutti i soldi della vendita della casa di mia nonna. Ogni dettaglio lo conosco io. Non la farò diventare un porcile. La serata passò nel silenzio più teso. Vito fece finta di guardare la tv, poi andò in camera. Elena rimase in cucina a bere tè, pensando a tutto ciò che avevano passato per avere quella casa non solo di vacanza, ma vero rifugio. Per lei era un santuario contro lo stress della città. Per la famiglia di lui solo una “base gratis” con tutti i comfort. Il giorno dopo, il campanello. Elena guardò dallo spioncino: era Nives, la suocera, in pelliccia e borsetta da battaglia, da cui sbucava la coda di un pesce surgelato. – Apri, Elena! Dobbiamo parlare! – intimò, entrando nella casa come un rompighiaccio. Vito uscì dal soggiorno, tra paura e servilismo: – Mamma, non ci avevi avvisati… – Ora serve il permesso per vedere il figlio?! – sbottò Nives, buttando la pelliccia tra le braccia di Vito. – Mettete il tè. E anche una valeriana che il cuore mi fa male da due giorni per colpa vostra. La suocera si sedette con l’aria di presidente del tribunale. Elena portò tè e torta, rassegnata. – Allora, Elena – attaccò Nives, sorseggiando. – Cos’ha fatto Silvia di tanto male? È tua cognata. Ti ha chiesto per favore le chiavi per far respirare i figli nella natura. Loro sono in casa tra polvere e rumore coi lavori. E lì il vostro palazzo resta vuoto. Non ti pesa? – Signora Nives – rispose Elena fissandola – non è un palazzo, ma una casa da manutenere. Neppure dopo cinque anni di loro “ristrutturazione” Silvia può venire a occupare la nostra. E ricordo ancora l’ultima volta: l’odore di fumo dalle tende che non sono ancora riuscita a togliere, anche se ho detto VENTI volte che non si fuma in casa. – E allora? Si apre la finestra! – si indignò la suocera. – Sei attaccata troppo alle cose, dovresti pensare alle persone. Così fai diventare Vito un avaro senza cuore. Tanto la casa mica te la porti nella tomba! – Mamma, però Elena si è fatta in quattro per sistemarla… – provò Vito. – Taci! Sei sotto il tacco della moglie! E tua sorella con i figli dovrebbero stare in strada? Gino fa 45 anni il 3 gennaio, voleva festeggiare in modo speciale! Ha già preso gli ospiti e la carne. Ora come fa? Dobbiamo cancellare tutto e farci svergognare lì davanti agli amici? – Non sono problemi miei se hanno invitato gente a casa di altri senza chiedere – tagliò Elena. – Questo si chiama mancanza di rispetto. La suocera divenne paonazza. Di solito nessuno le si opponeva. Ma Elena fu incrollabile. – Mancanza di rispetto? – Nives si portò la mano al cuore, offesa. – Io ti ho sempre trattato da figlia e tu… Vito! Hai sentito come parla a tua MADRE? O le date le chiavi subito o non metterò mai più piede in quella casa! E ti dirò anche un’altra cosa, Elena: la terra è rotonda! – Tanto non venite mai neanche per zappare l’orto – non si trattenne Elena. – Serpe! – gridò la suocera, alzandosi e buttando giù la sedia. – Vito, dammi le chiavi, ci penso io! Vito guardò la moglie, poi la madre. Era a pezzi. Ma: – Le chiavi ce le ha Elena. E forse ci andiamo noi. – Hai mentito! – latrò la suocera. – BENE. Domani mattina Silvia passerà a prenderle. Che siano pronte. E scrivi l’istruzioni per la caldaia, Vito! Sennò per me non sei un figlio. Te lo ricorderai questo giorno, Elena. Ricordalo bene! Chiuse la porta con uno schianto glaciale. La casa restò avvolta nel silenzio, interrotto solo dal ticchettio dell’orologio. – Non gliele darai, vero? – chiese Vito, sottovoce. – No. E anzi, domani partiamo noi per la casa. Subito. – Ma avevi detto che dovevi lavorare… – Cambiato programma. O la occupiamo noi o ci entrano loro dalla finestra. Hai presente tua sorella? Se decide, sarebbe capace di sfondare tutto pur di entrare. Se ci troveranno lì dentro, dovranno andarsene. – Elena, ma così è guerra… – È difesa dei confini, Vito. Prepara le borse. Partirono all’alba, in una città decorata a festa ma con l’umore tutt’altro che natalizio. Vito nervoso, il telefono in modalità silenziosa per ordine della moglie. Il viaggio durò poco. La casa, immersa nella neve, era splendida. Elena si rilassò: lì avrebbe difeso il suo sogno. Presto la casa fu calda e decorata. Profumo di pino e mandarini. Vito spazzava la neve dal vialetto con piacere. Finalmente anche lui sembrava tranquillo. Ma alle tre del pomeriggio, il peggio. Clacson. Due auto: il vecchio SUV di Gino e un’altra sconosciuta. Tanta gente. Silvia col piumino fucsia, Gino smanicato, i figli vivaci, una coppia mai vista e pure un enorme rottweiler, senza museruola. E ovviamente Nives, la suocera. Vito bloccato con la pala di neve, Elena uscì di corsa. – Dai, aprite! Siamo qui! – urlava Silvia, tirando la maniglia del cancello. – Elena, su, che sorpresa! Festeggiamo insieme! Elena pose la mano sulla spalla del marito e disse forte: – Buongiorno. Ma noi non aspettavamo nessun ospite. Gino fece la voce grossa: – Ma dai, si sta insieme! Ho portato un sacco di carne e di vodka! Guarda che c’è anche Antonio con la sua rottweiler, buonissima! Aprite, dai, Vito! – Il cane?! – vide il cane sporcare la sua preziosa tuia. – Dai, è solo una pianta! – rise Silvia. – Aprite, i ragazzi devono andare in bagno! – Il bagno lo trovate al distributore, cinque chilometri da qui – disse Elena gelida. – Ve l’ho già detto: la casa è occupata. Stiamo qui da soli. Non c’è spazio per una compagnia di dieci persone più cane. Silenzio dall’altra parte del cancello. Non ci credevano. Erano abituati a imporsi coi fatti compiuti. – Allora non ci fai entrare? – Nives furiosa. – Tua madre vuoi lasciare al gelo? Vito! Dille qualcosa! Vito guardò la moglie, supplicante. – Elena, dai… ormai sono qui… – No, Vito, – Elena tagliò corto. – Se apri il cancello, tra un’ora avrai casino, cane che distrugge le aiuole, figli che devastano l’interno, Silvia che mi comanda in cucina e Gino che fuma in salotto. Finisce la pace prima di iniziare. O vuoi passare un Capodanno in serenità solo con me? Decidi. Adesso. Vito guardò la folla agitarsi dietro la recinzione. Gino minaccioso, Silvia che urlava, i figli che lanciavano palle di neve alle finestre, Nives presa a recitare la parte della martire. E Vito finalmente ricordò i weekend precedenti rovinati. Si fece coraggio e si avvicinò al cancello. – Mamma, Silvia. Elena ha ragione. Abbiamo già detto di no alle chiavi. Non aspettiamo nessuno. Andate via. – COME?!? – Avete sentito. Questa è anche casa mia. E non voglio più confusione. Ora basta. – Ti faccio vedere io! – Gino provò a scassinare il cancello. – Via, Gino. Chiamo i carabinieri e l’addetto alla sicurezza del villaggio. – Carabinieri?! – Nives sconvolta. – Siamo i TUOI?! – Andate da Antonio a festeggiare, è una persona di cuore almeno! – urlò Silvia, tastandosi la coscienza. – Venite, gente! Le auto si avviarono borbottando e Silvia fece pure il gesto dell’ombrello a Elena. Nives con lo sguardo di bronzo, avanti dritta. In cinque minuti solo la neve e un alone giallognolo sulla tela della tuia. Vito lasciò la pala e si sedette esausto. – Ma che figura… Tua madre… Elena gli sedette accanto, appoggiandosi al suo braccio. – Non è una brutta figura. È diventare adulti. Hai protetto la NOSTRA famiglia per la prima volta, non il loro clan. – Lei non mi perdonerà più. – Ti perdonerà appena avrà bisogno ancora di noi. Sono così, Vito. Ma almeno d’ora in poi sapranno che c’è un confine. Impareranno a rispettarti. Magari ci vorrà del tempo, ma succederà. – Lo credi davvero? – Lo so. E se non cambierà, vivremo più sereni. Dai, entra in casa, che ti scaldi. Ti preparo il vin brulé. E tornarono nel loro nido caldo. Elena chiuse le tende, proteggendo il loro piccolo mondo da fuori e dai rancori. Passarono tre giorni in pace, solo loro. Niente telefonate: boicottati dai parenti. Il 3 gennaio, come previsto dal destino, Silvia mandò una foto: una baracca con la stufa, bottiglie ovunque, gente stravolta. “Noi ci divertiamo lo stesso! Godetevelo!” recitava la didascalia. Elena guardò il marito che dormiva in poltrona, tranquillo, sereno, lontano dal baccano. Sorrise. – Nulla da invidiare, Silvia – sussurrò. E cancellò la foto, per non svegliare Vito. Una settimana dopo, in città, Nives chiamò. Voce fredda e risentita, ma chiese a Vito un passaggio per la visita medica. Della casa di campagna non parlò più. Il confine era stato fissato. Ogni tanto c’erano piccole schermaglie, ma la fortezza era rimasta inviolata. Elena imparò una lezione: a volte bisogna essere “cattiva” per gli altri per poter essere buona con sé stessa e proteggere la propria famiglia. E le chiavi della casa ora stavano in cassaforte. Giusto per sicurezza.