Matteo, sei sicuro di non aver dimenticato la carbonella? Lultima volta siamo dovuti andare fino al negozietto del paese, e vendevano solo legna umida, mi giro verso mio marito, che guida la Panda schivando le solite buche della strada sterrata.
Ho preso tutto, Giulia. Carbonella, accendifuoco e la carne che hai marinato sta nella borsa frigo. Sorride, senza staccare troppo a lungo gli occhi dalla strada. Rilassati. Andiamo a riposarci. Due settimane di ferie, silenzio, uccellini e il tuo prato preferito. È da tutto linverno che non parli daltro.
Mi abbandono al sedile, chiudo gli occhi. “Prato”: suona come una dolce melodia. Tre anni fa, quando abbiamo comprato questa casa di campagna tutta diroccata nelle Langhe, cerano solo ortiche alte più di me e cumuli di macerie. Io, con le mie mani, ho tirato via pezzi di mattone, strappato a fatica le erbacce, e poi con Matteo abbiamo assunto una squadra che ci ha sistemato il terreno davanti e steso un prato pronto, bello, verde smeraldo.
Era il mio piccolo paradiso. Un tappeto morbido, liscio, dove stendermi con un libro, prendere il caffè al sole o fare yoga la mattina. Vietatissimo giocarci a pallone o camminarci con scarpe pesanti, per non rovinarlo. Per me era sacro: la casa in campagna non doveva più essere fatica e sudore come per i nostri genitori, ma un posto per rilassarsi.
Speriamo almeno che mamma si sia ricordata di bagnarlo mentre non ceravamo, sussurro, pensando al caldo torrido dei giorni scorsi.
Ma certo, smettila, mi risponde Matteo con un gesto della mano. Mamma è precisa, le abbiamo lasciato le chiavi, veniva ogni due giorni. Lo sa quanto ci tieni a quel prato
La signora Teresa, mia suocera, è una di quelle donne tutte dun pezzo, con la voce squillante che si sente in tutto il cortile. Secondo lei ogni pezzo di terra deve produrre qualcosa: patate, carote, almeno del prezzemolo. Allinizio era una continua lotta perché ogni tanto cercava di “allargare” la sua zona orto sul mio prato, ma sembrava essersi arresa: lorto, la serra e il pollaio erano suoi, il resto mia zona relax.
Arriviamo, la macchina ronza tra la ghiaia. Scendo per aprire il cancello, con quellodore di pini e rosa canina che ti svuota la mente. Mi tolgo subito le scarpe da città, pronta finalmente a camminare scalza sullerba fresca. Apro il cancello.
Faccio due passi, poi mi blocco. La borsa con il portatile cade nella polvere.
Giulia, che succede? Vieni, che devo entrare con la macchina, mi chiama Matteo, scende, arriva dietro di me e rimane anche lui senza parole.
Del prato non cè più nemmeno lombra.
Davanti la casa, tutto arato. La terra nera è tutta rivoltata in solchi sgraziati, con zolle di terreno miste ai brandelli del prezioso manto erboso, dalla porta fino al gazebo. E, nei solchi, già sbucano piantine magre, perse come una battuta di spirito andata a vuoto.
Al centro di questa scena apocalittica, in vestaglia e cappello di paglia, cè Teresa. Appoggiata alla pala, si tampona la fronte sudata e sorride trionfante, manco avesse vinto la Coppa Italia.
Oh, eccovi! ci saluta tutta soddisfatta. Avevo giusto finito per farvi una sorpresa! Si fa per dire, ho finito appena in tempo.
Sento il sangue sparirmi in faccia. Avanzo come in trance verso ciò che era il mio prato. I resti strappati a forza dal reticolo di radici sono lì, devastati dalla pala.
Cosè questa roba? la voce mi esce sottile e gelida, tanto che Matteo quasi si restringe tra le spalle.
Ma come, lorto! Teresa affonda la pala per aria con orgoglio. Guarda che spazio che si sprecava Qui cè il sole tutto il giorno, lo dicevo sempre! Ho piantato la cipolla, lì le carotine e accanto alla casetta gli zucchini. Avrai visto, più genuino di così! Altro che comprare verdure al supermercato.
Mamma sospira Matteo, avvicinandosi. Ma hai capito cosa hai fatto? Era il prato, quello pronto che ci è costato seimila euro tre anni fa, tra lavoro e concime
Ma per carità! esclama Teresa allargando le braccia Seimila euro per lerba? Vi hanno presi per scemi! Ma lerba è roba da bosco, cresce dappertutto gratis. La terra deve dare da mangiare! Vedrai, in inverno mi benedirete con tutti i barattoli di verdure che vi preparo, mentre al supermercato costa oro. Tre giorni ho sudato qui mentre voi ve ne andavate a fare la bella vita.
Io non dico più nulla. Guardo la devastazione, la terra girata, il sogno mandato allaria da chi pensa solo al proprio modo di vedere il mondo.
Teresa, noi vi avevamo chiesto solo di bagnare i fiori, non di zappare. Questa è casa nostra, come il terreno.
E allora? lei mette le mani sui fianchi, tono secco. Io sono la mamma! So meglio io che cosa vi serve. Quando avrete fame questinverno, mi ringrazierete. Il prato è capriccio da cittadini. Qui ci vuole lorto, come fa la Gina di fianco: mi ha anche preso in giro, eh, dice che sua nuora almeno coltiva qualcosa di suo, non come te
Mi interessa zero della Gina, scandisco. E non voglio i tuoi zucchini. Matteo, porta dentro la roba.
Giulia, aspetta Matteo prova a prenderemi la mano, io la scosto. Mamma, stavolta hai esagerato. Avevamo fatto un patto: la serra è tua, il resto per noi. Perché rovinare tutto?
Rovinato?! urla Teresa accalorandosi. Ho sudato per voi! Ho la pressione a mille e mi fate storie su un po derba? Egoisti!
Si lascia cadere pesantemente sulla sedia sotto la veranda.
Io la supero e vado in casa, senza guardarla. Nella cucina cè silenzio e profumo di legno vecchio. Mi verso un bicchiere dacqua. Le mani tremano. Mi verrebbe da urlare, ma so che sarebbe solo un regalo per mia suocera che, da brava attrice, si butta sempre nel ruolo della vittima.
Dopo cinque minuti, anche Matteo entra, la faccia tra il preoccupato e lo sconsolato.
Giulia, lei voleva fare del bene Sono mentalità vecchia, la generazione del dopoguerra: lasciar terra incolta per loro è una bestemmia.
Non importa la generazione, Matteo. Conta solo il rispetto. Per lei noi e le nostre cose siamo roba sua. Non gliene frega niente di ciò che piace a noi. Limportante è imporsi.
Parlo con lei, ci provo ancora
Sono anni che proviamo, lo fermo io. Abbiamo parlato, fatto patto, e lei comunque ci spiana tutto appena giriamo le spalle. Lo capisci che rifare il prato non è buttare semi a caso? Occorre rifare il letto di terra, comprare nuovi rotoli, noleggiare la squadra. Ancora soldi e un mese di lavori.
Matteo si lascia andare sulla sedia, sconfitto.
E quindi? Significa cacciarla?
No. Le facciamo riparare quello che ha fatto.
Stai scherzando? Ha sessantacinque anni, non può mica rimettere il prato da sola
Il prato no. Ma almeno togliere via tutto lorto, sì. Che strappi bulbi, ortaggi, pari la terra col rastrello. E il nuovo prato se lo paga lei.
Non ha quei soldi, ha solo la pensione
Ha i risparmi, lo dice sempre che mette via per i nipoti. Beh, ora ai figli tocca aiutare a sistemare il disastro.
È severo, Giulia.
Severissimo è entrare a casa propria e trovare il giardino devastato. Adesso glielo dico. Se non ci sta, io cambio le serrature oggi stesso.
Esco sul portico. Teresa non accusa più dolore al cuore, ora parla a gesti con la Gina del terreno accanto, tutta presa a raccontare chissà cosa. Quando mi vede, torna in modalità offesa.
Teresa, dobbiamo parlare.
Cosa vuoi ancora? Portami un bicchiere dacqua, almeno.
Acqua dopo. Ora ascolta bene: hai tempo fino a domenica sera.
Per cosa?
Per togliere tutto quel che hai piantato. Strappi bulbi, carote, quello che vuoi. Pareggi la terra. Chiaro?
Teresa sgrana gli occhi, come vedesse un fantasma.
Sei fuori? Ho sudato per mettere a posto, dovrei strappare tutto? Ma non esiste! Non vi permetto di trattarmi così! Qui è la casa di mio figlio, mica uno di quei B&B che avete voi cittadini!
La casa labbiamo comprata insieme, le ricordo con calma. Per la legge sono tanto proprietaria io quanto Matteo. E io non ho dato il permesso. Se domenica sera non è tutto pareggiato, chiamo unimpresa con il trattore e ti mando la fattura. E addio chiavi.
Matteo! Hai sentito come mi tratta? Mi vuoi morta! Dimmelo tu!
Matteo esce, ci guarda. Non può tirarsi indietro. Se adesso mi lascia sola, il matrimonio crolla.
Mamma, Giulia ha ragione, dice piano. Non dovevi farlo. E casa nostra voleva il prato, non lorto. Devi sistemare.
Allora siete proprio scemi! sbraita lei. Fatevela voi, la terra! Non verrò mai più! Ora me ne vado!
Si prende la borsa e parte verso il cancello.
Le chiavi, Teresa, la chiamo.
Lei fruga nel grembiule, lancia il mazzo nella pozzanghera.
Tieni! Buon divertimento! Spero vi cresca solo gramigna!
Se ne va, sbattendo il cancello. Si sente la macchina chiamata dal telefono, o magari va a piedi al paese, tanto cè la fermata del bus.
Raccolgo le chiavi, le pulisco. Matteo mi osserva.
Tornerà, dico sicura. Ha lasciato i vasi delle piantine e la giacca.
Matteo va verso la terra brulla. Da un calcio a una zolla.
Ora che si fa? Puliamo tutto noi?
Lei dice che va via, ma ora va dalla Gina a piangersi addosso. Tra due ore è ancora qui, non vorrà lasciare i suoi bulbi.
Infatti, appena dietro la siepe, senti il monologo sulla nuora cattiva che caccia via la povera donna anziana.
Prendo il cellulare.
Chi chiami? sbuffa Matteo.
La ditta di giardinaggio. Chiedo quanto ci costa sistemare tutto chiavi in mano, portando via terra e rifiuti.
La sera passa in silenzio. Matteo ed io stiamo sul portico, té in mano ma nessun gusto. Lo scenario davanti ci mette addosso solo amarezza.
Sabato mattina la porta cigola. Sto preparando la colazione, guardo fuori: Teresa è tornata, faccia offesa ma meno battagliera. Va verso la serra senza degnare la casa di uno sguardo.
Esco.
Buongiorno, Teresa. Qualcosa da prendere?
Lei si blocca, guarda in terra.
Ci ho pensato su, sussurra. Peccato buttare via la cipolla, costa.
Sì, costa anche il prato. Rifarlo ci viene quasi quattromila euro, compresi manodopera e terra nuova.
Teresa sbianca quasi.
Ma che, sei fuori?! Da dove li avete presi quei prezzi?
È il giusto. Posso farti vedere il preventivo. Hai due scelte: togli tutto tu a mano e lasci la terra dritta pronta per la semina (così risparmiamo), oppure paghi tutto tu e io chiamo la squadra per rifare il prato pronto.
Non ho quei soldi! strilla.
Allora prendi rastrello e pala e metti ordine. Qui la decisione è di rispetto: non si entra in casa altrui dettando regole.
A quel punto arriva Matteo.
Mamma, è così. O sistemi tutto o paghi tu. Ti aiuto a portare via la roba ma il grosso lo fai tu.
Teresa ci guarda, cerca una fessura, giocare la carta della pietà, ma non cè aria.
Alla fine sbuffa e cede.
Va bene, portatemi dei sacchi. Siete crudeli.
I successivi due giorni sono surreali: Teresa zappa, borbotta, si lamenta della schiena, ma strappa via tutto quello che ha piantato. Mettiamo tutto in cassette, io seguo tutto dal mio sdraio sul pezzetto di prato sopravvissuto, libro in mano ma occhio vigile.
Matteo la aiuta a spostare la terra, ma per volere mio la fatica più grande la deve fare lei. Solo così impara che le regole vanno rispettate.
Se fai tutto tu per lei non impara nulla, gli dico la sera. Deve sentire sulle proprie mani le conseguenze.
Domenica sera il giardino sembra un campo di battaglia: la terra è nuda, ma almeno non ci sono più solchi e roba piantata.
Teresa si siede, sporca, sfinita.
Ho finito. Contenta ora?
Controllo tutto. Non sarà perfetto, ma la base va bene. Basta una camionata di sabbia e semenza ed è fatta.
Grazie, Teresa, senza sarcasmo.
Lei mi guarda stravolta.
Sei cattiva, Giulia. Dura. Pensavo che Matteo con te sarebbe stato felice, ma tu gli hai tolto la libertà.
Non sono cattiva. Voglio solo rispetto, da tutti. Bastava chiedermi di fare un pezzo dorto dietro la casa, avrei detto di sì. Ma hai scelto di distruggere la cosa cui tenevo. Qui è la differenza.
Teresa non replica, si alza, si spolvera il vestito.
Le cassette delle cipolle me le porta Matteo a casa?
Certo.
E le chiavi?
Matteo e io ci guardiamo.
No, mamma. Le chiavi ora le teniamo noi. Se vuoi venire in futuro, ci avvisi.
Teresa stringe le labbra e non risponde. Capisce che stavolta ha esagerato.
Dopo un mese il prato ricomincia a rinascere. Io e Matteo abbiamo seminato una miscela di festuca che inizia a crescere fitta e verde. Le chiazze nere spariscono, latmosfera si alleggerisce.
Teresa si fa rivedere ad agosto, per il compleanno di Matteo. Arriva più calma, con la torta (e, ovviamente, la cipolla del suo orto), perfino fa un complimento al prato nuovo.
È verde. Carino. Forse così va meglio. Meno fango.
Sorrido, le verso il caffè.
Sicuro che va meglio, Teresa. Ognuno il suo: le verdure al mercato e il prato per rilassarsi.
La guerra era finita. E anche se sul terreno restavano ancora cicatrici, tra noi i confini ora erano più chiari. E, se vuoi saperlo, quei confini delimitavano finalmente un po di pace vera, più di tante chiacchiere per tenersi buoni.






