Il Figliastro

Pensa a quello che dici! È tuo fratello, perbacco!
E mi becchi una sferzata da quel che chiamano patrigno. Non fa male, ma è imbarazzante.
Mia madre scuote la testa, dubbiosa:
Anche tu eri piccolo, avevi bisogno di cure e affetto. Tu li hai avuti.
Mi sentii un po vergognoso, ma solo un po.

Col tempo capii che, in quellappartamento, ero diventato quasi un mobile. Finché non compiai cinque anni, vivevo felice, poi papà sparì, la mamma si fece triste e a volte piangeva.

Io, Marco, non osavo nemmeno chiedere dove fosse andato il padre, sapevo solo che i genitori si erano separati.

Nei due anni successivi la mamma, Anna, lavorava senza sosta, era stanca, sorrise poco e sembrava sempre infelice. Io avrei voluto aiutarla, ma non sapevo come.

Il tuo principale aiuto è comportarti bene, mi ripeteva la nonna, girandosi poi a bisbigliare: Non far venire il tuo papà a chiamare per il bambino.

Mi sforzai di ascoltare nonna e mamma, di non fare capricci, di andare a scuola e studiare diligentemente. Quando, improvvisamente, la mamma si rallegrò, si mise in forma e sembrò più giovane, credetti di essere stato io a farla cambiare.

Mi sbagliavo.

Anna fiorì incontrando Andrea Orazio, il nuovo compagno. Si sposarono presto e lui si trasferì nella nostra casa.

Questo è zio Andrea, figlio mio, annunciò la mamma. Sarà il tuo papà.

Dai, Anna, scoppiò il nuovo patrigno, Che papà è questo?
Beh, come dite voi, non mi dispiace.

Io, però, non ero daccordo. Non mi piaceva quel tipo sicuro di sé, che comandava lappartamento come se fosse casa sua, mentre la mamma lo guardava con occhi felici e annuiva.

Chi lo apprezza?

Provai a ribellarmi, a non obbedire ad Andrea, ma quando vedevo la mamma triste mi zittii. Anche la nonna mi consigliò di comportarmi bene: «La tua madre almeno non dovrà più strapparsi per due lavori. Andrea non è oro, ma è onesto, lavora e non beve».

Accettai la situazione e, alla fine, i tre riuscimmo a convivere. Nacque Luca, il fratellino, figlio di Anna e Andrea.

Io rimanevo stupito dal modo in cui gli adulti si aggrappavano a quel piccolo, arrossato, avvizzito, che piangeva come un cucciolo. Un giorno gli chiesi perché lo facesse, e ricevetti di nuovo la sferzata:

Pensa a quello che dici! È tuo fratello!

Di nuovo non fece male, ma era offensivo.

Mia madre scuoteva di nuovo la testa:

Anche tu eri piccolo, avevi bisogno di affetto. Lo avevi.

Mi sentii leggermente vergognoso.

Col tempo capii che ero per gli adulti quel che una vecchia sedia è per un trasloco: un oggetto che si sposta, che tutti evitano, e se qualcuno lo urta lo nota solo per un attimo. È un peccato buttare via una sedia buona, ha anche il valore del ricordo.

La mia fantasia era viva. Da solo leggevo tanto, sognavo di diventare psicologo. Poi dovetti smettere, perché dovevo aiutare la mamma in casa: Andrea era spesso al lavoro, e lei da sola con Luca faceva fatica.

Segretamente speravo che, così, la mamma mi guardasse di più, ma mi sbagliavo. Anna era totalmente assorbita dal piccolo Luca e da Andrea; io ero lultimo nella sua lista di priorità. Solo la nonna cercava di mostrarmi affetto, ma morì quando compiai tredici anni. Fu allora che scoppiò la vera ribellione.

Non sono qui per fare il colf o la babysitter! dissi una volta a entrambi i genitori. Occupatevi del vostro Luca!

Figlio, ma che dici? sbatté la mamma, sorpresa. È tuo fratellino, ha solo quattro anni, come puoi…?

Siete cresciuti sulla vostra testa, sbuffò Andrea. Nessuna gratitudine.

Tu non sei nessuno per me! scoppiò. Mamma, dillo a lui!

Figlio, così non si può

E dove è il mio vero papà? Perché non ne parli?

Il discorso finì in un forte pianto di mamma e con la madre che non più chiedeva il mio aiuto per Luca. Non scoprii mai nulla sul padre assente.

Anni dopo, quando studiavo al liceo tecnico per diventare elettricista, comparve un uomo magro, dal volto comune e dallo sguardo stanco. Si avvicinò a me mentre uscite dal aula.

Dobbiamo parlare, disse fissandomi negli occhi.

Iniziai a ribattere, ma qualcosa mi fece cedere. Era vestito bene, profumato, e il sole splendeva alto sulla città: non cera motivo di temere.

Mi chiamo Valerio Efrem, sono tuo padre, annunciò senza preamboli, mentre i miei amici si allontanavano per rispetto.

Sul serio? schermai. E da dove vieni, papà?

Capisco la tua sorpresa, continuò Valerio con calma. Ma la storia è complicata.

In realtà provai una gioia enorme, cercando di nasconderla. Ci sedemmo in un bar di Trastevere, dove mi raccontò della sua giovinezza: una rapina armata, la prigione, la scarcerazione anticipata, un piccolo affare di riparazioni auto.

Allinizio volevo venire subito da te, ma pensai che non fosse giusto che tu avessi a che fare con un ex detenuto. Ora ho messo ordine nella mia vita, guadagno dei soldi, così non avrai più vergogna per me.

Non dirlo così, papà! replicai con entusiasmo. Non mi vergognerò mai di te. Sono felice che sei qui.

Non dire mai mai, sospirò. E non incolpare tua madre.

Parlammo a lungo, poi cominciammo a vederci regolarmente, passare tempo insieme. Mi sentivo come volare: finalmente accanto a me cera una figura paterna che mi amava e si prendeva cura di me.

Anche mia madre notò il mio sorriso e mi chiese cosa fosse. Avevamo deciso di non dirle nulla, ma alla fine non potetti più tacere.

Ho un padre adesso! Per me va tutto bene!

Un padre? Da dove è spuntato? Lavevo persino messa al bando, non volevo che comparisse!

Hai deciso per me, vero? Ora sono grande…

Non ti serve un padre delinquente! Ha quasi ucciso una persona, lo sai?

Lui è una buona persona! A differenza tua, mi vuole bene! Ora non mi importa di Luca!

Non parlare così! Anchio ti voglio bene, voglio il tuo bene!

Sto benissimo così! Se mi vieti di vederlo, andrò da lui!

Continuammo a urlarci a vicenda per un po. Alla fine la mamma crollò in unira incontrollata, ma io ormai non mi agitavo più.

Il patrigno intervenne allultimo momento, rimproverò la mamma per la sua durezza, ma non censurò davvero il figlio. Forse sperava che io partissi, così non lo avrebbe più tormentato.

Io avrei potuto andarmene, se non fosse stato per Valerio che mi spiegò che doveva riacquistare la potestà genitoriale. E perché un criminale non dovrebbe essere nel suo curriculum di padre? Era ancora lontano la maggiore età, mi rimaneva solo un anno e mezzo.

Alla fine lasciammo le cose come erano. Mamma e io quasi non parlavamo più, ma non mi cacciava di casa. Dopo la licenza, mi trasferii da Valerio. Pochi mesi dopo, poco più che diciannove anni, Valerio morì. Scoprì che era malato da tempo, ma non voleva addolorarmi. Prima di andare via, lasciò lappartamento, due milioni di euro sul conto e la sua parte dellofficina di riparazioni auto.

Fui triste, ma presto trovai stabilità. Divenni un uomo benestante, con un lavoro serio.

Un giorno la mamma mi chiamò, dopo anni di chiacchiere formali: Come va? Come sta la salute?.

So che ora sei ricco, le dissi, ironicamente.

Non sono un magnate, ma non vivo più nel misero, risposi, senza capire dove volesse arrivare.

Qui non va tutto bene Andrea ha perso il lavoro e non ne trova un altro Luca sta per entrare alluniversità, ha bisogno di tutor e di soldi per gli studi

Capisco.

Figlio, ci aiuterai? Hai quei soldi, vero?

Sono i soldi del mio padre, che hai odiato. Ti ha rovinato la vita, scoppiò.

Allora almeno un po di compensazione mi spetta? Dopo tutto ti ho cresciuto, nonostante tutto. Ora devo aiutare anche tuo fratello.

Quando è nato Luca, sei diventato indifferente! Pensi che ti abbia dimenticato?

Non dirlo così, figlio Ti voglio bene anchio.

Basta, mamma. Se mi chiami per questo, addio.

Mi alzai di scatto, ignorando le sue lacrime, e uscii. Non dovevo nulla a lei. Che si occupino dei loro problemi. La mia decisione rimaneva ferma.

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