Sai, dissi alla figlia, scegliendo le parole con cura. A volte gli adulti si comportano da sciocchi, più dei bambini.
Papà non vuole presentarmi alla zia che gli piace, vero? chiese a bassa voce Ginevra.
Non è che non voglia. Forse non hanno ancora capito come organizzare tutto, o magari la zia Oliva è timida.
Che timidezza? Non mordo.
I figli altrui sono sempre una responsabilità. Non tutti sono pronti a gestirla.
Ero nel corridoio mentre osservavo Ginevra affrettarsi per incontrare il padre.
Il cellulare di Ginevra vibrò. La bambina si irrigidì, afferrò il ricevitore e subito ritirò la mano.
Non verrà? chiesi.
Ha detto di essere sommerso dal lavoro, borbottò Ginevra senza alzare lo sguardo. La prossima volta.
Capito. Spogliati.
Andai in cucina per non dire più del necessario. Versai dellacqua nel bollitore e premessi linterruttore.
Il rumore dellacqua che bolliva coprì per un attimo i miei pensieri.
Erano passati otto anni dal divorzio e Dario continuava a essere il campione mondiale dellumore nero.
***
I primi tre anni di matrimonio sembravano una favola: fiori senza motivo, colazioni a letto, regali costanti. Credevo di aver trovato il biglietto felice.
Quando rimasi incinta, Dario mi portava in braccio.
Ma al pronto soccorso suonò il primo avviso che ignorai. Il medico compilava la scheda della neonata Ginevra, Dario stava accanto, pallido e nervoso. Era presente al parto.
Che gruppo ha? chiese il neonato papà.
La bambina ha il secondo Rh negativo, rispose il dottore con nonchalance.
Dario aggrottò le sopracciglia.
Come è possibile? chiese, la voce stridula. Io ho il primo Rh positivo, tu il secondo positivo.
Da dove il negativo? Avete sbagliato?
Il dottore si tolse gli occhiali, si strofinò il naso.
Ricordate il corso di biologia delle superiori: il fattore Rh è subdolo. Se entrambi avete un gene negativo nascosto, il bambino può avere il negativo. È normale.
Siete sicuri? incrociò gli occhi. Nessun errore?
Gli esami non mentono.
Dario mi chiamò cento volte, chiedendo perché fosse successo così. Io gli ripetei cento volte le parole del medico, inviandogli i link. Pareva placato, ma
***
Il vero inferno iniziò al dimettersi: Dario cambiò.
Aveva il diabete, io gli ricordavo sempre di fare la dieta e di prendere linsulina. Improvvisamente si comportò come un adolescente in cerca di libertà.
Vado a giocare a calcio, sbottò, afferrando la borsa.
Dario, che calcio? Il tuo zucchero è fuori controllo, il medico ti ha ordinato il regime.
Non vuoi sapere? Sono un uomo, ho bisogno di muovermi. Le tue cure mi soffocano.
Tornava a casa tardi. Una sera arrivò tremante, il volto bianco, il sudore a scaglioni: ipoglicemia.
Io, senza badare alla figlia, gli corse dietro con succo e glucosio.
Dove sei stato? gli chiesi quando si riprese.
Ti ho detto, al campo. Ho corso.
Fino a che ora?
Siamo rimasti a parlare, è normale.
Io credevo, o almeno volevo credere. Restavo a casa da sola, accarezzando le piccole manine di Ginevra, convincendomi che fosse solo una fase, che era stanco.
Quando la bambina sarebbe cresciuta tutto si sarebbe sistemato
Non si sistemò: cominciarono le chiamate.
Il mio telefono suonava di sera con ex colleghe: ragazze della contabilità, manager. Io ero amica di tutti al lavoro.
Ciao Nadia, non ti disturbo? diceva una voce.
Ciao, tutto ok. Che succede?
Niente, volevo solo sapere come stai. Ascolta, Dario oggi è al corporate e farà tardi?
Probabilmente. Perché?
È solo balbettò Chiara, la collega. Non pensare a nulla di male, ma lui è con la nuova, Veronica, tutta la sera a ridere.
Parlano troppo. Sono andati insieme a un karaoke cinque volte e lui le accarezza la vita.
Sentivo le mie dita raffreddarsi.
Chiara, smettila. Forse è solo un progetto.
Tu lo sai meglio. Volevo solo avvisarti, amichevolmente.
Riportai il telefono a tasca, sbuffando. Pettegolezzi. Loro hanno solo la lingua per grattarsi. Ero certa che Dario mi amasse. Era solo socievole.
Mettevo le amiche al loro posto, scherzando, mostrando sicurezza su di lui. Dentro però cresceva lansia. Dopo un anno e mezzo dalla nascita di Ginevra, tutto crollò.
***
Mi invitarono a un grande corporate. I miei genitori accettarono di babysitter per la nipotina.
Indossai un vestito che mi sembrava nascondere tutto ciò che restava dopo il parto, mi trucco. Volevo festeggiare, sentirmi di nuovo parte di quel mondo dove non ci fossero solo pannolini e puree.
Andai con Dario, ma lui scomparve subito.
Vado a salutare i ragazzi, disse e si dileguò nella folla.
Io chiacchierai con i colleghi, sorrisi, ricevei complimenti, ma gli occhi cercavano lui. Passò unora, poi due. Nessuna traccia.
Cercai nella sala, nel corridoio, tutto vuoto. Controllai il corridoio vicino alluscita di emergenza, di solito più tranquillo.
Li vidi subito. Non si baciavano, altrimenti sarebbe stato assurdo, ma erano lì, in penombra, accanto a un enorme ficus. La nuova collega sussurrava qualcosa al suo colletto, sfiorando la giacca.
Dario appoggiava la testa sulla sua spalla, sorridendo con quel sorriso che una volta mi aveva conquistata.
Sembravano due adolescenti a nascondersi. Rimasi immobile, come se mi avessero versato una secchiata dacqua ghiacciata sulla testa: il respiro si fermò.
Non feci scenate, non urlai. Mi girai, presi un taxi e tornai da Ginevra.
Dario tornò allalba.
Perché te ne sei andata? chiese, aggiustandosi la cravatta. Ti ho cercata.
Lo guardai e capii che non cera più nulla da dire.
Ti ho vista dietro il ficus.
Rimase un attimo in silenzio, poi agitò la mano.
Che cosa ho visto? Stavamo solo parlando. Ti sto inventando tutto. Hai la paranoia, Nadia.
Basta, sussurrai. Non serve.
Un mese passò come una nebbia. Sentivo fisicamente il dolore di stare nello stesso appartamento con lui. Quando impacchettò le sue cose e partì vivere separati perché sei troppo nervosa sentii un sollievo.
Laria nella casa sembrò più leggera.
Il divorzio fu veloce. Dario sparì dai radar in un batter docchio. Il primo anno non mi chiamò più, né una volta.
Ginevra aveva due anni e mezzo, a volte chiedeva: Dove è papà?, e io rispondevo: Papà è al lavoro. Non mentivo, solo non raccontavo.
Mia madre aiutava con Ginevra, io ripresi a lavorare. Lavoravo sodo per non dipendere da nessuno. Ce lavevo.
Il denaro bastava. Vivevamo separati, in appartamenti diversi, andavamo in vacanza. Non chiesi alimenti a Dario, non volevo inseguirlo, non volevo abbassarmi a chiedere certificati.
Orgoglio? Forse. Ma più che altro disprezzo.
Poi tornò.
Sono papà, dichiarò Dario, chiamandomi una sera. Ho il diritto di vedere mio figlio.
Non opposi. Se vuoi, parliamone. Non volevo diventare la ex cattiva che vieta gli incontri.
Va bene, dissi. Vieni sabato.
Cominciò a venire, sporadicamente, ma veniva. Pagava le lezioni di inglese e di danza. Era il suo modo di pagare il debito: non si occupava delleducazione, non si interessava ai problemi, ma metteva un segno buon padre.
Ginevra lo adorava: regali, cinema, caffè. Quanto ne ha bisogno un bambino? Io guardavo le cose con filosofia: limportante è che la figlia abbia almeno un papà.
***
Ginevra entrò in cucina, già in pigiama, gli occhi rossi.
Mamma, perché è così? chiese piano, sedendosi al tavolo.
Come, tesoro?
Beh promette e non mantiene.
Suspirai.
La gente è diversa, Ginevra. Papà non è cattivo, semplicemente non sa pianificare.
Mi ha detto che è colpa tua, sparò Ginevra allimprovviso.
Rimasi immobile con la tazza in mano.
Cosa?
Ha detto al telefono: Tua madre mesce sempre i piani, ti mette pressione, ecco perché non riesce a incontrarsi.
Posai lentamente la tazza.
Ginevra, la guardai dritto negli occhi. Ti ho mai vietato di vedere papà?
No.
Ti ho mai parlato male di lui?
Scosse la testa.
No.
Allora decidi tu: credi ai fatti o alle parole.
La storia della nuova zia durava da sei mesi. Ginevra, dopo un weekend da papà, raccontò:
Papà vive con la zia Oliva. È bella, ho visto le foto. Hanno anche un gatto.
Io scrollai le spalle. Vive e basta. Non mi importava, ma Ginevra voleva conoscerla.
Mamma, voglio diventare sua amica. Papà dice che è gentile.
Chiamai Dario.
Dario, Ginevra sa della tua ragazza. Vuole conoscerla. Che ne pensi?
Il silenzio al telefono.
Non lo so, rispose. È presto, forse. Non sono sicuro. Parliamone più tardi.
Più tardi si trasformò in un mese. Dario a volte voleva presentare, a volte tirava indietro.
Vuole davvero conoscere Ginevra! aveva detto una settimana prima. Sogna di incontrarla.
Facciamo un weekend? Andiamo al parco, o in pizzeria.
Va bene, confermai. Organizzatevi con Ginevra.
E ancora un altro annullamento.
Presi il telefono e uscii sul balcone. Dovevo parlare con lui senza testimoni.
Il mio ex rispose lentamente, con voce irritata, mentre in sottofondo suonava della musica.
Pronto, Nadia, sono occupato, che cosa vuoi?
Occupato? replicai. Hai appena detto a Ginevra che sei sommerso dal lavoro. E sento musica. Sei al bar?
Sono a una riunione, sbottò. Ho diritto a rilassarmi?
Hai diritto, ma non mentire a tua figlia. E non dirle che è colpa mia se il vostro incontro è stato annullato.
E chi è il colpevole? ribatté. Tu sei sempre a controllare ogni cosa. A che ora la prendi, a che ora la porti. Mi metti sotto pressione.
Oliva ha paura di legarsi a noi perché sei imprevedibile.
Sono imprevedibile? sorrido. Dario, andiamo per fatti. Ginevra è rimasta unora vestita. Hai chiamato allultimo minuto. Sono io la colpevole?
O forse Oliva semplicemente non vuole incontrare la tua bambina, e tu sei troppo codardo per ammetterlo?
Non parlare così di Oliva! urlò. Vuole! Solo solo le circostanze!
Che circostanze? Già la quinta volta!
Dario, smettila di confondere la bambina. Se la tua ragazza non vuole vedere il figlio di un precedente matrimonio, è il suo diritto. Ma avrai il coraggio di dire la verità a Ginevra, o inventerai una scusa migliore che incolpare me.
Complichi sempre tutto, brontolò. Non trovi una donna, ti arrabbi perché tutto va bene per me.
Riportò il telefono a terra.
**
Quella sera, quando Ginevra si addormentò, rileggevo nella mente la nostra discussione. Avevo avuto abbastanza di smussare gli angoli. Scrissi un messaggio a Dario:
«Da ora in poi tutti gli accordi solo tramite me, con un preavviso di 24 ore. Se prometti a Ginevra e cancelli lo stesso giorno, la prossima visita sarà rimandata di un mese. Non voglio che diventi una nevrosi. Se vuoi presentare Oliva, fissa data, ora e luogo. Se Oliva non vuole, chiudiamo la questione. Spiegherò a Ginevra io stessa. Niente più più tardi o forse. Buona notte».
Rispose dopo un minuto, proprio come mi aspettavo:
«Che importa! Questi incontri ti servono più a me che a te».
***
Io proibii a Dario di vedere la nostra figlia. Quando cercò di insistere, gli dissi che dora in poi gli incontri sarebbero solo dopo il tribunale. Non fece causa: tempo, soldi, e la sua nuova fiamma non voleva nemmeno conoscere la figliastra. Ginevra soffre, ma faccio di tutto perché non si senta privata.






