Nina correva a casa. Erano quasi le dieci di sera e non vedeva l’ora di rientrare nell’appartamento, cenare e sprofondare nel letto.

Giulia correva verso casa. Lorologio segnava quasi le dieci di sera e lei sentiva il desiderio ardente di arrivare al suo appartamento, cenare e crogiolarsi nel letto. La giornata era stata estenuante. Marco era già a casa, la cena pronta, il figlio Luca era stato già rifornito.

Giulia lavorava in un piccolo salone di parrucchiere del centro storico di Verona e oggi era al turno di chiusura. Dopo aver spento le luci, attivato lallarme e chiuso la porta, si fermò un attimo.

Il tragitto di ritorno passava per un piccolo piazzetto. Di giorno lì si sedevano le pensionate sui panchini, la sera era deserto ma le lanterne illuminavano la zona, così non cera pericolo.

Quella sera, però, un panchino non era vuoto. Strettamente abbracciati, vi erano due bambini: un ragazzino di circa dieci anni e una bambina di non più di cinque, dal viso paffuto. Giulia rallentò il passo e si avvicinò.

Che fate qui da soli? È tardi! Andiamo a casa!

Il ragazzo la guardò intensamente, accarezzò la testa della sorellina e la strinse più forte.

Non possiamo andare via. Lo zio ci ha cacciati.

E la mamma?

È con lui. Ubriaca.

Giulia non esitò un attimo.

Alzatevi, venite da me. Domani sistemeremo tutto.

I due piccoli si sollevarono timidamente. Giulia prese la bimba, che si chiamava Ginevra, per mano e porse laltra al ragazzino, Matteo.

Li condusse al suo appartamento, spiegò la situazione a Marco e a Luca. Conoscevano bene il suo cuore generoso e, senza domande, indicavano subito dove potessero lavarsi e li sistemavano al tavolo. I bambini, affamati, mangiarono tutto ciò che gli fu offerto, timidi ma con grande appetito.

Poi Giulia andò a bussare alla porta della vicina, la signora Rosa, la cui figlia frequentava la prima elementare, chiedendo qualche capo di vestiti per Ginevra. Raccolsero una pila di indumenti: in molte famiglie, dopo i figli, rimane sempre qualche cosa.

Giulia lavò Ginevra, la vestì con abiti puliti. Matteo si risciacquò da solo e trovò anche lui qualcosa tra i vestiti usati del figlio di Rosa. I due si coricarono sul divano del salotto, Ginevra non lasciava il fratello un passo di distanza, e lui la teneva sempre stretta tra le braccia.

Stanchi e sazi, i bambini caddero subito in un sonno profondo sul letto pulito. Giulia mandò Luca nella sua stanza e, insieme a Marco, continuò a parlare in cucina, decidendo cosa fare dopo.

Allalba, Giulia accompagnò Marco al lavoro. Doveva poi prendere il secondo turno. I bambini si svegliarono, la giovane li nutrì, raccolse i vestiti appena lavati e li mise in una busta, pronta a portarli indietro.

Lo portarono al piccolo edificio di fronte, un appartamento al terzo piano con la porta spalancata. I due entrarono e si fermarono nel corridoio, immobile

Giulia si fermò accanto a loro, desiderosa di guardare negli occhi quella donna e chiedere cosa avesse pensato tutta la notte, mentre i suoi figli rimanevano soli, ignari.

Dal buio uscì una donna giovane ma visibilmente emaciata, con un enorme livido sotto locchio. Con aria indifferente guardò i bambini e disse: Ah sono… chi è questa?

È la zia Giulia. Abbiamo passato la notte da lei rispose Matteo.

Ah bene mormorò la donna, poi tornò nella sua stanza come se nulla fosse. Giulia rimase senza parole. Quella era davvero la loro madre?

Improvvisamente la donna si voltò verso Giulia: Vieni in cucina, parliamo.

Giulia la seguì. Con sorpresa, nonostante la miseria dellalloggio, tutto era impeccabilmente pulito: stoviglie lucide, pavimenti brillanti, vestiti al loro posto. Anche il suo vecchio camice, con bottoni mancanti, era pulito. Siediti indicò la donna verso una sedia.

Giulia si sedette. La donna si mise di fronte, guardandola con locchio stanco e chiese: Hai dei figli?

Sì, un figlio, ha dodici anni rispose Giulia.

Ascolta Se succede qualcosa a me, non abbandonare i miei bambini, daccordo? Non hanno colpa.

Stai pensando di lasciarli? chiese Giulia, sorpresa.

Non ce la faccio più. Ho provato a fermarmi più volte ma non riesco. E lui indicò verso la stanza da cui proveniva un sonoro russare. Ho chiamato la polizia. Sta lì qualche giorno e poi ritorna, peggiorando nella violenza. Non riesco a stare senza alcol, bevo ogni giorno. E lui chiude la porta ai bambini, non sono suoi.

Dovè il padre?

È morto annegato quando Ginevra aveva solo un anno. Da allora ho dovuto fare da madre da sola.

Non lavori?

Lavoravo in un supermercato. La settimana scorsa mi hanno licenziata per assenteismo continuo.

E laltro uomo?

Fa qualche lavoretto di tanto in tanto. Ce la caviamo così

Il silenzio cadde pesante, poi la donna ricominciò: Se succede qualcosa, ti prego, non li abbandonare. Sei buona. Se non puoi accoglierli, portali al rifugio, ok?

Giulia si alzò, la mente rifiutava di accettare quellenormità. Sembrava un incubo. I bambini uscirono, lo abbracciarono entrambi. Le lacrime le rigarono gli occhi; le asciugò con la manica e disse a Matteo che sapeva dove trovarla.

Uscì in strada, lasciando scorrere le lacrime a dirotto, bagnando i passanti incuriositi. Quella sera raccontò tutto a Marco. Lui non fece domande, ma promise che i bambini non sarebbero mai stati lasciati soli. Luca, ascoltando i genitori, si avvicinò e li abbracciò entrambi. Rimasero in cucina, in silenzio, stretti luno allaltro.

Tre giorni dopo, Antonio, il fratello di Ginevra, arrivò trafelato. Mamma è sparita, la polizia ha preso lo zio disse, agitato. Ginevra è con la vicina, ma oggi la porteranno al rifugio. Lo raccontò di corsa e corse da una parte allaltra. Lo stesso giorno i bambini furono davvero trasferiti.

Il giorno successivo trovarono la madre dei bambini nel fiume, vittima di una morte violenta. Probabilmente aveva intuito il suo destino, e per questo aveva chiesto a Giulia di prendersi cura dei suoi figli.

Giulia e Marco iniziarono le pratiche burocratiche per ladozione. Non si trovarono parenti per Antonio e Ginevra; grazie alla testimonianza di Giulia sulla conversazione con la madre, lautorità concesse loro la tutela.

Giulia dovette lasciare il lavoro. Ginevra era spaventata, si affidava solo al fratello, restando sempre vicino a lui. Anche il più piccolo gesto, come una forchetta che cadeva, la faceva fissare Marco con timore, come temesse un castigo.

Ci vollero mesi di pazienza per conquistare la sua fiducia. Antonio, più grande, comprese presto che in quella casa non cera alcun pericolo né violenza.

Col tempo Ginevra iniziò ad aprirsi. Si avvicinava a Giulia, giocava con Luca, sorrideva e parlava, anche se ancora temeva un po Marco. Il timore verso gli uomini adulti era radicato in lei.

Marco, però, la trattava con tenerezza e cautela. Sognava una figlia, ma la salute di Giulia non le permetteva più di avere figli. Quando Marco tornò da un viaggio di tre giorni, Giulia e Ginevra lo accolsero alla porta. Marco si avvicinò, stese le braccia verso la bambina.

Ginevra si avvicinò cauta e lo abbracciò al collo. Lui la sollevò, la portò dentro la cucina. Videro Luca avvicinarsi, poi Giulia. Tutti si abbracciarono, rimasti in silenzio, ma con il cuore colmo di calore.

In quella casa, finalmente, tutto poteva andare bene.

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