Il Guardiano del Cortile
Giuseppe Mariani sedeva nella sua piccola capanna accanto al cancello a sbarramento, osservando la pioggia che tamburellava sul selciato ancora rovente. Il vapore del suolo saliva così denso che sembrava stesse per emergere, non da una vecchia Fiat, ma un cavaliere spettrale su un destriero pallido. Laria era pesante, umida, e dolce di un profumo di tiglio bagnato.
Aprì appena la finestra per far entrare un po daria e subito una violenta burrasca estiva si infiltrò nella fessura. Giuseppe sorseggiò un sorso di tè ormai freddo dal suo bicchiere di vetro inciso, poi si avvicinò al vecchio apparecchio radiofonico. Catturò una frequenza dimenticata dove un baritono rauco cantava damore e di sorbete. Con quel tempo di pioggia la mente vagava più facilmente. E c’era molto su cui pensare.
Da quindici anni era lui il custode di quel tranquillo e chiuso cortile, testimone di piccole drammatiche e gioie quotidiane. Sapeva che la famiglia dellappartamento 45 litigava ogni mattina perché il legno dei loro mobili si sbriciolava come se fosse stato appena scottato, e lui li rimproverava con calma. Conosceva il gatto rosso del secondo ingresso, chiamato Micio ma il cui collare recava il nome Gennaro. Sapeva anche che il ragazzino dellundicesimo piano si nascondeva dietro langolo per fumare, credendo di non farsi notare.
La sua capanna era un vero centro delluniverso condominiale. Qui si portavano le chiavi smarrite; qui i bambini correvano a chiedere di suonare il campanello per i genitori distratti. Una volta gli fu consegnato un cucciolo in una scatola di cartone; Giuseppe lo adottò. Ora il cane, chiamato Nuvola, dormiva nella sua capanna, ansimando nei sogni.
Il cigolio della porta interruppe il silenzio. Allingresso, una bambina di otto anni, tutta inzuppata, la Ginevra dellappartamento 33, stringeva con le mani un bouquet accartocciato di margherite di campo e qualche erba di campagna.
Buongiorno sussurrò è per voi.
Per me? chiese Giuseppe, sorpreso. Da dove nasce?
La mamma dice che ci aiutate sempre. E il papà dice che siete il pilastro di questo cortile. Non so cosè un pilastro, ma immagino sia qualcosa di molto importante, come un colonna che regge tutto.
Giuseppe prese il mazzo. Le margherite erano già quasi secche, ma emanavano ancora il profumo di miele e di infanzia.
Siediti, scaldati sbuffò, indicando lo sgabello di legno. Vuoi un tè?
Ginevra annuì, togliendosi le scarpe bagnate. Lui le versò il tè in una tazza di ferro con un orso stampato. Rimanevano in silenzio, ascoltando la pioggia che si calmava, trasformandosi in un sussurro cullante. Nuvola si svegliò e infilò il naso nella mano di Ginevra, chiedendo attenzione.
Perché siete sempre qui? domandò la bambina, scrutando i vecchi calendari appesi al muro.
Perché bambini come te non si perdano mai rispose Giuseppe. E perché le chiavi vengano ritrovate. E perché Gennaro torni a casa puntuale.
Siete un supereroe concluse Ginevra con serietà.
Lo sono, ma non mi hanno dato il mantello. Mi hanno dato questa capanna e il cancello a sbarramento.
La accompagnò fino al portone, quando lultima goccia cadde. Rientrando, vide lo stesso ragazzino dellundicesimo piano emergere dallangolo. Il ragazzo si irrigidì, osservò Giuseppe e infilò di corsa la mano con la sigaretta nella tasca.
Non nasconderti gli disse. Si vede lo stesso, e odori anche.
Non lo dirai a tua madre? balbettò il giovane.
E perché? È una tua faccenda. Ma i polmoni sono tuoi. Pensa a loro.
Giuseppe lo superò, lasciandolo in uno stato di leggera confusione.
La sera, quando il cielo divenne di un blu scuro e le pozzanghere riflettevano le prime stelle, Giuseppe chiudeva il cancello a sbarramento. Lanciò un ultimo sguardo al cortile, ormai quieto e pronto a dormire. Le finestre si illuminarono, una risata uscì da un balcone aperto, e laria profumò di patate fritte e di salvia.
Accarezzò la testa di Nuvola, spegneva la luce nella capanna e chiudeva la porta con la chiave. Un giorno qualunque era giunto al termine. Nessuno gli recò ringraziamenti, il suo nome non apparve nei giornali. Eppure era quel pilastro. Colui che reggeva. Colui a cui si poteva avvicinare con un mazzo di margherite stropicciate in una giornata di pioggia.
E questo valore superava di gran lunga le prime impressioni. Camminò verso casa, verso il suo piccolo appartamento nello stesso cortile, e non si sentì più solo un guardiano. Si sentì padrone di un microcosmo importante, e lo era.
Il mattino seguente, però, lo trovò davanti a una brutta sorpresa. Qualcuno, durante la notte, aveva ammaccato la sua capanna. Sul lato si notava una fossetta come se unauto avesse sbattuto lì, e la porta ora cigolava aprendo a fatica, sfregando il selciato.
Nuvola, agitato, girava intorno ai piedi, infilzando il naso nel metallo danneggiato e guaì dolcemente. Giuseppe girò intorno alla capanna, toccò la dentatura, fece una smorfia valutativa. Non si mise a rimproverare nessuno né a indagare su chi fosse stato. Si limitò a un sospiro, aprì la porta cigolante e prese il suo tè mattutino. Il problema doveva essere risolto, non discusso.
La prima a notare il danno fu, ovviamente, Ginevra, che andava verso larea giochi con lo zaino colorato.
Oh! esclamò, gli occhi spalancati. Il vostro rifugio è stato colpito!
Niente, lo sistemeremo rispose con calma il guardiano. Come una persona, anche una capanna può prendere un livido. Limportante è che dentro rimanga intatta.
Ma la notizia si sparse nel cortile come un fuoco dartificio. Gli abitanti cominciarono a radunarsi intorno alla capanna.
Giuseppe, che disastro è questo? protestò la signora di trentanni del terzo ingresso, la Signora Lucia Bianchi. Di notte si sentivano dei rumori, macchine che ruggivano. Forse sono stati loro!
Dobbiamo chiamare la polizia? suggerì qualcuno.
No, la gestiamo noi interruppe Giuseppe. Risolviamolo tra di noi.
Si avvicinò il ragazzino fumatore, Dario, con le mani in tasca e lo sguardo accigliato, ma vero interesse negli occhi.
È davvero una bella ammaccatura osservò, cercando di mantenere un tono distaccato. Con un martello sul retro si può raddrizzare.
Giuseppe lo guardò con nuova curiosità.
Sai come si fa?
Con mio padre, nei garage, giochiamo a smontare e rimontare le cose scrollò le spalle Dario.
E allora avvenne qualcosa di sorprendente. Il cortile, abitualmente un amalgama di vite separate, si unite intorno a un solo scopo: riparare la capanna. La signora Lucia portò dei pasticcini di ricotta per avere energia. Alessandro, luomo del dodicesimo appartamento, sempre di corsa e con la fronte imbronciata, aveva in cantina una vernice verde, proprio del colore del selciato. Portò anche un piccolo cricchetto per sistemare il metallo.
Dario si rivelò lingegnere in capo. Esaminò il danno, accarezzò la barba e pronunciò il verdetto:
Il cricchetto non basta. Serve pressione dallinterno e qualche colpo di martello. Qualcuno ha una chiave inglese?
Un collega tirò fuori una chiave a spalla.
Il lavoro partì. Giuseppe osservava da lato, sorseggiando il tè mentre la sua piccola fortezza veniva salvata da un esercito di vicini. Anche Gennaro, il gatto rosso, si avvicinò al marciapiede e osservò la scena con aria da ispettore reale.
Ginevra correva dietro gli attrezzi, distribuendo grandi, piccoli e splendenti. Nuvola scodinzolava e abbaijava ad ogni colpo di martello, partecipando con entusiasmo.
Verso mezzogiorno, la peggiore parte dellincrespatura era quasi scomparsa, rimasti solo piccoli segni. Alessandro, sudato ma soddisfatto, si preparava a imbiancare e ridipingere la zona danneggiata.
Come nuova sarà, Giuseppe! esclamò, sorridendo largo. Giuseppe alzò in segno di risposta il suo bicchiere di vetro, gesto più eloquente di mille parole.
A quel punto un nero e lucido fuoristrada entrò nel cortile. Il finestrino del conducente si abbassò, rivelando una faccia rossa, ancora assonnata.
Ehi, guardiano! Apri il cancello, che stanno tutti bloccati? Non cè niente da fare?
Tutti rimasero immobili. Era il signor di sopra, sempre scontento e sempre di fretta, che guidava una macchina rumorosa, considerata da Lucia la causa dei vandali notturni.
Giuseppe uscì lentamente dalla capanna, non affrettandosi verso il pulsante. Guardò luomo alla guida, poi di nuovo gli abitanti: Ginevra gli occhi spalancati, Dario con il martello in mano, Alessandro con il pennello, Lucia con i pasticcini.
Si sentì più un capitano di una nave che un semplice guardiano.
La via di deviazione è libera disse con calma. Il cancello rimarrà chiuso per una breve manutenzione.
Che? sbottò lautista. Ma io
Stiamo lavorando interruppe Alessandro, facendo un passo avanti. La voce era bassa ma ferma. Si asciugò le mani con un panno. Riparazione in corso. Deviazione, per favore.
Luomo nella macchina si fermò. Guardò tutti: luomo con il pennello, il ragazzino con il martello, la donna anziana con il viso severo, la bambina. Vedeva lunità. Dopo un attimo, il fuoristrada girò e si allontanò verso la deviazione.
Il silenzio calò, poi Dario scoppiò in una risata. Ginevra rise con lui, seguita da Lucia. Anche Alessandro sorrise.
Giuseppe tornò al pulsante e sollevò il cancello. La minaccia era passata. Guardò la sua capanna, ormai con una cicatrice di battaglia che presto sarebbe stata coperta da una fresca mano di vernice. Quella cicatrice non era più segno di una stupidità, ma di qualcosa di più grande. Di qualcosa che aveva sempre intuito, ma che ora vedeva in tutta la sua forza.
Non era più solo un guardiano. Era quel punto attorno al quale quel cortile, senza saperlo, si univa in un unico organismo. Si incollava, come un frammento di ceramica rotto, con una colla invisibile ma sicura. E la sua capanna era il cuore di quel piccolo mondo. Ed era lui a custodirlo.






