Nonne di riserva: la storia di Elena e Caterina, tra silenzi, telefonate mattutine e il coraggio di riprendersi la propria vita

Nonne disponibili

Giuseppina Marini si sveglia di soprassalto, disturbata da una risata. Non si tratta di una semplice risatina contenuta, ma di una fragorosa, quasi sconveniente per una stanza dospedale, risata che lei ha sempre detestato. A ridere è la sua compagna di letto, la quale agita una mano come se volesse farsi vedere anche al telefono, che tiene stretto allorecchio.

Ma dai, Lella, davvero ha detto così davanti a tutti?

Giuseppina guarda lorologio. Mancano quindici minuti alle sette. Quindici minuti buoni prima della sveglia, che avrebbe potuto trascorrere in silenzio, raccogliendo coraggio prima delloperazione.

La sera precedente, quando lavevano portata in camera, laltra signora già stava sdraiata sul letto, digitando velocemente qualcosa al cellulare. Si erano salutate: Buonasera Salve, e poi ciascuna persa nei propri pensieri. Giuseppina aveva apprezzato il silenzio. Ora, invece, sembrava di stare al circo.

Scusi dice a voce bassa ma ferma , può parlare più piano?

Laltra si volta. Un volto tondo, capelli cortissimi e imbiancati che nessuno si è mai preoccupato di tingere, pigiama vistoso con grandi pois rossi. In ospedale, pure!

Ah, Lella, ti richiamo dopo, qui mi stanno già mettendo in riga mette via il telefono e si gira con un sorriso radioso verso Giuseppina . Scusi! Io sono Caterina Bianchi. Ha dormito bene? Io niente, prima delle operazioni non chiudo occhio, allora chiamo tutti.

Giuseppina Marini. Solo perché lei non dorme, non significa che anche gli altri non vogliano riposare.

Ma ormai è sveglia anche lei, no? Caterina Bianchi fa locchiolino. Daccordo, parlo sottovoce. Promesso.

Non mantenne la promessa. Prima di colazione riuscì a chiamare altre due volte, sempre più rumorosa. Giuseppina si voltò platealmente verso il muro, coprendosi la testa con la coperta, ma fu inutile.

Mia figlia mi ha appena telefonato spiegò Caterina durante la colazione, che nemmeno toccarono . Loperazione la fa agitare, poveretta. Cerco di rassicurarla.

Giuseppina tacque. Suo figlio non aveva chiamato. Ma lei non si aspettava nulla: sapeva che lui aveva una riunione importante. Daltronde era così che laveva cresciuto: il lavoro prima di tutto, il dovere è il dovere.

Vennero a prendere Caterina per prima. Uscì nel corridoio salutando con la mano e gridando qualcosa allinfermiera, che rise di cuore. Giuseppina pensò che sarebbe stato il caso di cambiare stanza dopo lintervento.

Passò unora e toccò a lei. Lanestesia laveva sempre fatta stare male. Si risveglia con nausea e un dolore sordo sul fianco destro. Linfermiera le ripete che è andato tutto bene, che deve avere pazienza. E Giuseppina, di pazienza, ne ha sempre avuta.

La sera, di ritorno in camera, trova Caterina già a letto. Il viso grigio, occhi chiusi, flebo nel braccio. Silenziosa. Per la prima volta.

Come va? chiede Giuseppina, controvoglia.

Caterina apre gli occhi e le fa un timido sorriso.

Ancora viva. E lei?

Resisto.

Tacciono. Fuori, la sera cala. Le flebo fanno un ronzio sommesso.

Mi scusi ancora per stamattina dice improvvisamente Caterina. Quando mi agito, parlo senza smettere. So che è fastidioso, ma non so controllarmi.

Giuseppina vorrebbe rispondere qualcosa di acido, ma è troppo stanca. Mugugna solo:

Non fa niente.

Quella notte non dorme nessuna delle due. Entrambe hanno dolore. Caterina non telefona, resta silenziosa, ma Giuseppina la sente muoversi, sospirare. Una volta le sembra persino di sentirla singhiozzare piano sul cuscino.

Il mattino dopo entra la dottoressa. Guarda i punti, misura la febbre, dice a entrambe: Brave, tutto normale. Caterina agguanta il cellulare subito dopo.

Lella, ciao! Allora ci sono ancora, puoi stare tranquilla. Come stanno i miei? Davvero Rocco aveva la febbre? E tu come? È passato? Ecco, te lavevo detto che non era nulla!

Giuseppina ascolta, suo malgrado. I miei sono i nipoti, quindi. La figlia la aggiorna.

Il suo telefono tace. Due messaggi dal figlio: Mamma, come va? e Scrivimi quando puoi. Mandati ieri sera, appena dopo lanestesia.

Risponde: Tutto bene. Aggiunge un emoji: a lui piacciono. Dice che altrimenti i messaggi sembrano freddi.

Risposta dopo tre ore: Grande! Un bacio.

I suoi non passano a trovarla? le chiede Caterina.

Mio figlio lavora lontano. E poi sto bene, non sono una bambina.

Ha ragione annuisce Caterina. Anche mia figlia dice così: Mamma, sei grande, ce la fai da sola. E poi, che vengono a fare, se va tutto bene, no?

Nella sua voce, qualcosa costringe Giuseppina a guardarla meglio. Caterina sorride, ma negli occhi ha una tristezza che non lascia scampo.

Quanti nipoti ha?

Tre. Rocco è il più grande, otto anni. Poi Martina e Leo uno dietro laltro, tre e quattro. Caterina prende il cellulare dal comodino. Vuole vedere qualche foto?

Passano venti minuti tra immagini: i bambini in campagna, al mare, con la torta. In ogni foto cè Caterina che li abbraccia, li bacia, fa le smorfie. La figlia mai.

È lei che scatta spiega Caterina. Non le piace farsi fotografare.

I nipoti stanno spesso con lei?

Praticamente vivo da loro. Mia figlia lavora, mio genero pure, io do una mano. Asilo, compiti, merenda.

Giuseppina annuisce. Anche a lei, allinizio, capitava così. I primi anni dopo la nascita del nipote era sempre presente. Ora che è cresciuto va solo una volta al mese, la domenica, se riescono a organizzarsi.

E lei?

Un nipote. Nove anni. Studia bene, fa sport.

Lo vede spesso?

Ogni tanto la domenica. Hanno tanti impegni. Capisco.

Eh già Caterina si volta verso la finestra impegnati.

Tacciono. Fuori, piove leggero.

La sera Caterina dice:

Non ho voglia di tornare a casa.

Giuseppina alza lo sguardo. Caterina è seduta sul letto, abbracciata alle ginocchia, fissa il pavimento.

Davvero non ne ho voglia. Ci ho pensato e non ne ho.

Perché?

Per fare cosa? Torno e trovo Rocco che non capisce i compiti, Martina col naso che cola, Leo coi pantaloni strappati. Mia figlia lavora fino a tardi, mio genero sempre via. Io lavo, cucino, pulisco, aiuto. E loro nemmeno si interrompe nemmeno un grazie. Tanto sono la nonna, è normale, deve farlo.

Giuseppina tace. Il groppo in gola.

Scusi Caterina asciuga una lacrima mi sono lasciata andare.

Non si scusi risponde piano Giuseppina. Io sono andata in pensione cinque anni fa. Pensavo finalmente di dedicarmi a me. Teatro, mostre. Mi ero iscritta a un corso di francese. Ci sono andata due settimane.

E dopo?

Mia nuora aspettava un bambino. Mi ha chiesto aiuto. Daltronde, sono la nonna, non lavoro più. Non potevo dire di no.

E allora?

Tre anni ogni giorno. Poi, con lasilo del nipote, ogni due. Ora che va alle elementari, una volta a settimana. Adesso si interrompe adesso non servo più molto. Hanno la tata. E io mi trovo a casa ad aspettare che mi chiamino. Se si ricordano.

Caterina annuisce.

Mia figlia doveva venire a novembre. Da me. Ho pulito tutta la casa, ho preparato le torte. Poi ha chiamato: Mamma, scusa, Rocco ha allenamento, non possiamo.

E non è venuta?

No. Ho regalato la torta alla vicina.

Restano in silenzio. La pioggia tamburella sul vetro.

Sa cosa fa più male? chiede Caterina. Non è che non vengono. È che io continuo ad aspettare. Tengo il telefono in mano pensando: forse ora chiamano solo per dire che gli manco. Non solo per chiedere aiuto.

Giuseppina sente il naso pizzicare.

Anche io aspetto. Ogni volta che squilla il telefono penso: magari mio figlio vuole solo parlare. Mai. È sempre per qualcosa.

Eppure ci siamo sempre pronte sorride amaro Caterina perché siamo mamme.

Sì.

Il giorno dopo cominciano i cambi delle medicazioni. È doloroso. Dopo, restano distese in silenzio fino a quando Caterina dice:

Ho sempre pensato di avere una famiglia felice. Mia figlia, mio genero, i nipoti. Che fossi indispensabile. Che senza di me non ce la facessero.

E invece?

Invece qui dentro ho capito che fanno tutto da soli. In quattro giorni mia figlia mai un lamento. Anzi, la sentivo quasi sollevata. Vuol dire che possono. È solo più comodo avere una nonna-baby sitter gratis.

Giuseppina si tira su sul gomito.

Sa cosho capito? Che è colpa mia. Ho cresciuto mio figlio così: la mamma cè sempre, aiuta sempre, fa di tutto. I suoi impegni sono importanti, i miei mai.

Anchio ho fatto così. Sempre. Mia figlia chiama, io mollo tutto e vado.

Li abbiamo abituati che non abbiamo una vita nostra dice sottovoce Giuseppina.

Caterina annuisce, poi resta in silenzio.

E ora?

Non lo so.

Il quinto giorno Giuseppina si alza dal letto senza aiuto. Il sesto percorre il corridoio fino in fondo. Caterina è un giorno indietro ma non si arrende. Camminano insieme, appoggiate al muro, fianco a fianco.

Dopo la morte di mio marito, mi sono persa confessa Caterina . Pensavo che la mia vita fosse finita. Mia figlia mi disse: Ti restano i nipoti, ecco il tuo scopo. E io ci ho creduto. Ma è uno scopo a senso unico. Io per loro, loro per me solo quando conviene.

Giuseppina racconta del divorzio, trentanni prima, quando il figlio ne aveva cinque. Come lha cresciuto da sola, studiando la sera, lavorando in due posti.

Pensavo che se fossi stata una madre perfetta, lui sarebbe stato un figlio perfetto. Che se avessi dato tutto, mi sarebbe stato riconoscente.

E invece ora ha la sua vita conclude Caterina.

Esatto. Ed è giusto così, forse. Ma non pensavo di sentirmi così sola.

Nemmeno io.

Il settimo giorno arriva il figlio. Senza avviso, allimprovviso. Giuseppina è sul letto a leggere, quando lo vede sulla porta: alto, cappotto elegante, sacca di frutta.

Mamma, ciao! sorride baciandola sulla fronte. Come va? Meglio?

Sì.

Perfetto! Il dottore mi ha detto che tra tre giorni ti dimettono. Pensavo: magari vieni da noi? Laura dice che la stanza degli ospiti è libera.

Grazie, ma preferisco a casa mia.

Come vuoi. Però se serve, ci chiami, veniamo a prenderti.

Resta venti minuti. Parla del lavoro, del figlio, della nuova macchina. Chiede se ha bisogno di soldi. Promette che la prossima settimana passerà ancora. Se ne va in fretta, con evidente sollievo.

Caterina fa finta di dormire. Quando la porta si chiude, apre gli occhi.

Il tuo?

Sì.

Bello.

Sì.

Ma freddo come il marmo.

Giuseppina non risponde. Ha un nodo in gola che quasi le impedisce di respirare.

Sai sussurra Caterina ? Forse dovremmo smettere di aspettarci amore da loro. Semplicemente lasciarli andare. Capire che hanno la loro vita. E cercare la nostra.

Facile a dirsi.

Difficile a farsi. Ma ci sono alternative? Oppure resteremo sempre qui, ad aspettare che si ricordino di noi.

Cosa le hai detto? chiede allimprovviso Giuseppina, passando al tu senza neanche accorgersene.

A mia figlia? Che dopo le dimissioni devo riposare almeno due settimane. Il dottore ha proibito sforzi. Niente nipoti per un po.

E lei?

Prima era scandalizzata. Le ho detto: Lella, sei adulta, arrangiati. Io non posso.

Sè offesa?

Certo! ride Caterina Ma sai una cosa? Mi sono sentita più leggera. Come se mi fossi tolta un peso.

Giuseppina chiude gli occhi.

Io ho paura. Se rifiuto, se dico no, loro si offendono. E smetteranno di chiamare del tutto.

E ora, chiamano spesso?

Silenzio.

Visto? Peggio di così

Lottavo giorno vengono dimesse insieme. Preparano le valigie in silenzio, come se si stessero salutando per sempre.

Scambiamoci il numero propone Caterina.

Giuseppina annuisce. Inseriscono i numeri nei telefoni. Restano per un attimo ferme, occhi negli occhi.

Grazie dice Giuseppina per essermi stata vicina.

Grazie a te. Sai erano trentanni che non parlavo così con qualcuno. Davvero.

Anchio.

Si abbracciano. Impacciate, guardinghe, attente ai punti. Linfermiera consegna i fogli di dimissione e chiama il taxi. Giuseppina parte per prima.

A casa, tutto è silenzio e vuoto. Disfa piano la valigia, si fa una doccia, si sdraia sul divano. Prende il cellulare: tre messaggi del figlio. Mamma, sei uscita?, Chiamami appena arrivi, Non dimenticare le pastiglie.

Risponde: A casa. Tutto ok. E appoggia il telefono.

Si alza, va allarmadio. Prende una cartellina che non apriva da cinque anni. Dentro cè il depliant del corso di francese e il calendario degli spettacoli in teatro. Guarda il depliant, riflette.

Il telefono squilla. Caterina.

Ciao. Scusa per la chiamata così presto. Sentivo il bisogno di farlo.

Sono contenta. Davvero.

Senti, ti andrebbe di vederci? Quando saremo più in forze. Tra un paio di settimane. Un caffè, una passeggiata se ti va.

Giuseppina osserva il depliant tra le mani, poi il telefono, poi ancora il depliant.

Voglio. Sul serio. E sai che cè? Non tra due settimane. Sabato. Sono stanca di stare in casa a fissare i muri.

Sabato? Ma i medici

Ho sentito. Ma sono trentanni che mi occupo di tutti tranne che di me stessa. Che cominci anche a vivere.

Allora sabato.

Si salutano. Giuseppina poggia il telefono, riprende in mano il depliant. Il corso di francese inizia tra un mese. Le iscrizioni sono ancora aperte.

Apre il portatile e inizia a compilare il modulo di iscrizione. Le dita tremano, ma continua, fino in fondo.

Fuori, piove ancora. Ma oltre le nuvole compare un raggio di sole. Pallido, autunnale, ma pur sempre sole.

Giuseppina pensa, per la prima volta dopo tanto tempo, che forse la sua vita sta davvero iniziando ora. E invia la sua candidatura.

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

11 − five =

Nonne di riserva: la storia di Elena e Caterina, tra silenzi, telefonate mattutine e il coraggio di riprendersi la propria vita