Quando la porta si aprì, per un attimo pensai di vedere un fantasma del passato.

Quando la porta si aprì, per un attimo credetti di aver incrociato un’ombra del passato.

Vittoria entrò lentamente, come se calpestasse un palcoscenico su cui un tempo aveva recitato il ruolo principale, ma ora non ricordava più le battute.

Il suo sguardo, un tempo freddo e sicuro, era ora incerto, titubante come quello di chi non sa più se è il benvenuto.

Sofia sussurrò, la voce tremante. Per la prima volta sentii in lei non arroganza, ma dubbio. Non immaginavo che tu che voi

Che io sia qui? chiesi con calma. O che non lavassi più i bagni, come si credeva un tempo?

Lei abbassò gli occhi.

È stata una sciocca, bisbigliò. Una battuta stupida, non la pensavo sul serio

La pensava, risposi sottovoce. Allora era facile stare in alto. Ma i tempi cambiano, Vittoria. Siediti.

Si lasciò scivolare nella sedia di fronte a me. Nei suoi gesti non cera più traccia di quella sicurezza precedente. Le dita stringevano nervosamente la maniglia della borsa, gli occhi scrutavano le pareti i certificati incorniciati, la foto mia alla conferenza internazionale di Roma, dove ero affiancata dal vicepresidente dellazienda.

Quindi ormai sei direttrice, commentò con un sorriso di porcellana.

Da tre anni, confermai. Stiamo cercando un coordinatore per i nuovi progetti. E tu sei la candidata.

Non me lo aspettavo mormorò. Che lintervista fosse con te.

Raccontami di te, dissi, sfogliando i documenti. Cosa hai combinato negli ultimi anni?

Lavoravo nel PR, rispose al volo. Poi qualche problema personale. Ora voglio ricominciare da capo.

Capisco. annotai. Perché proprio la nostra azienda?

Lei sospirò, come se ammettesse un peso.

Perché nessun altro mi ha richiamata.

Il silenzio che ne seguì parlò più di qualsiasi rimprovero.

Ti ricordi, Vittoria, chiesi poco dopo, a scuola dicevi che alcuni nascono per stare in alto, altri per pulire dietro di loro?

Annuiò lentamente.

Lo ricordo. E mi vergogno.

Rimasi in silenzio. La guardai non più la ragazzina del liceo, ma una donna che aveva attraversato il proprio crollo.

Non avevo più voglia di vendicarmi. Né di umiliarla. Mi sentivo solo triste.

Se oggi incontrassi quella ragazza che deridevi, cosa le diresti?

Gli occhi le si inumidirono.

Le chiederei scusa. E le chiederei di insegnarmi a essere forte.

Chiusi la cartella.

Vittoria, hai laurea, hai esperienza. Se vuoi, puoi iniziare da noi, ma come junior. Niente privilegi, niente preferenze. Solo lavoro.

Mi assumerai davvero? domandò incredula.

Non porto rancore, risposi. Ma non dimentico. Dimostra di essere diversa.

Annunciò un cenno. Nella sua voce cera una gratitudine che non avevo mai sentito da lei.

Grazie, Sofia. Prometto che farò del mio meglio.

Quando uscì, rimasi a fissare la porta chiusa per un lungo istante.

La vita ci riporta sempre dove eravamo deboli, solo per vedere se siamo cresciuti.

Passarono mesi.

Vittoria arrivava presto, restava fino a tardi, non si lagnava, non cercava di brillare. Lavorava sodo.

Una sera la vidi aiutare una stagista a preparare una presentazione con calma, pazienza, senza traccia di arroganza.

Dopo qualche settimana bussò alla mia porta.

Un attimo? chiese.

Certo, le sorrisi.

Volevo solo ringraziarti. Non mi hai giudicata. Mi hai dato una chance. Pensavo di aver perso tutto forse solo ciò che mi ostacolava dallessere me stessa.

A volte bisogna perdere tutto per ritrovare sé, dissi piano.

Il suo sorriso era caldo, senza maschere. E allora capii: non cercavo vendetta. La vera vittoria era vedere il suo cambiamento.

Un anno dopo Vittoria dirigeva già un suo reparto. I progetti portavano profitto, il team la adorava, i più giovani la rispettavano.

A una festa aziendale si avvicinò un nuovo assunto, visibilmente agitato.

Signora Vittoria, ho paura della presentazione di domani

Lei posò una mano sulla sua spalla e disse:

Non sono i vestiti o i titoli a rendere forte una persona, ma il cuore e la mente.

La osservai da lontano e, per la prima volta, provai una vera quiete.

Il passato era finito.

E la vita aveva trovato la sua giustizia silenziosa, ma puntuale.

Quella sera, mentre tornavo a casa, sul mio volto cera un sorriso.

Né orgoglioso, né trionfante solo sereno, vero.

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Quando la porta si aprì, per un attimo pensai di vedere un fantasma del passato.