I parenti si sono offesi perché non li ho fatti restare nella mia nuova casa per la notte
Caterina, ma ti sei ammutolita? Ti sto dicendo che abbiamo già preso i biglietti, il treno da Palermo arriva sabato alle sei del mattino. Non fare tardi, vieni a prenderci alla stazione, guarda che abbiamo le valigie pesanti e anche Laura coi bambini lo sai ormai il taxi a Roma costa unesagerazione e tu hai la macchina grande, ci stiamo tutti la voce di zia Graziella nella cornetta rimbombava come la banda municipale e copriva persino il suono dellacqua che Caterina stava riempiendo nella vasca.
Caterina rimase immobile, il telefono schiacciato tra la spalla e lorecchio, in piedi nel suo ingresso nuovo, che profumava ancora di pittura e di pulito. Quelle chiavi tra le dita erano ancora una conquista fresca. Venti anni di mutuo, tre anni di risparmi spinti allosso, a dire di no a un caffè di troppo o a un vestito nuovo, sei mesi di lavori dove aveva imparato a stuccare da sola e a distinguere il parquet rovere da quello in faggio meglio di qualsiasi carpentiere. Quella era la sua roccaforte. Il suo paradiso candido, conquistato con fatica, dove ogni oggetto aveva ormai il posto giusto, nemmeno un granello fuori posto, e sognava il primo fine settimana di pace, nel silenzio, godendosi la solitudine e il panorama sul Gianicolo dalla vetrata.
Aspetta, zia Graziella finalmente Caterina ritrovò la voce, spense lacqua e andò in cucina dove cera la tazza di infuso ancora calda. Ma che biglietti? Che treno? Non vi ho invitati io.
Dal telefono scese una pausa così densa che pareva di toccarla. Poi, zia Graziella tirò su fiato Caterina la sentì proprio, quella specie di soffio sibilante prima della tempesta.
Ma cosa vuol dire non ci hai invitati? Caterina, stai bene? Guarda che abbiamo un motivo: tuo zio Gianni fa settantanni, e vive là da te, te ne sei scordata? Tutti i parenti vengono. E perché spendere euro in albergo, quando la nostra nipotina vive in una reggia? Tua madre dice che hai preso un trilocale in centro e hai fatto fare il lavoro nuovo. Veniamo io, zio Paolo, Laura col marito e le gemelline. Siamo solo in sei, dai, ci adattiamo. Non ci vuole molto, butta qualche materasso per terra, tanto noi siamo gente semplice.
Caterina si sedette sullo sgabello alto, iniziando a sentire il battito nelle tempie. Sei persone. Zia Graziella, che russava rumorosamente e prendeva comando delle cucine altrui. Zio Paolo, che quando beveva fumava in balcone (e il suo balcone era aperto sulla zona living, con la poltrona nuova!). Laura, la cugina, convinta che le sue gemelle, due uragani di cinque anni, potessero fare quello che volevano, dalle pareti disegnate ai salti sul divano. Il marito di Laura, sempre silenzioso e con la mano pronta sul cibo.
Zia Graziella Caterina pose lo sguardo sul mobile avorio della cucina, perfetto non posso ospitarvi. Ho appena finito i lavori, nemmeno tutti i mobili sono arrivati, non cè posto per dormire. E poi lavoro, nel weekend devo finire una relazione.
Ma che dici! protestò la zia Una relazione? Ma se è sabato e domenica! E poi te lho detto, portiamo le nostre coperte. Dormiamo per terra, fa niente. Non vorrai mica sbattere la famiglia fuori dalla porta? Ti abbiamo cresciuta! La bambola tedesca a cinque anni, chi te lha regalata, eh?
Quella bambola, senza una gamba, in saldo, ma che nelle storie di famiglia era mitico tesoro, la tirava fuori ogni volta che le serviva ottenere qualcosa.
Zia, capisco tutto, ma stavolta non posso. La casa è nuova, non sono pronta per ospiti, figurati sei. Zio Gianni abita dallaltra parte di Roma, ci vuole unora e mezza qui da me. Vi conviene affittare una stanza vicino a lui. Ti mando qualche link.
Ma guardala, questa! il tono della zia salì di unottava Ormai sei diventata chissà chi, la cittadina! Hai comprato casa e non saluti più nessuno? Ma se non fosse per noi
Zia Graziella Caterina interruppe gelida non voglio fare la sofisticata. Ma non vi ospito. Se avete prenotato il viaggio pensando di stare qui, non posso aprirvi. Scusatemi.
Staccò la chiamata, tremando. Sapeva che questo era solo linizio. Ora sarebbe partita lartiglieria pesante.
Infatti, dieci minuti dopo, chiamò la madre.
Caterina, sei impazzita? esordì senza saluto Graziella mi chiama in lacrime, pressione a duemila, prende la valeriana. Dice che li hai cacciati?
Mamma, non li ho cacciati. Ho solo detto che non posso far dormire sei persone qui. La casa è appena finita, pareti chiare, parquet caro e lo sai che i figli di Laura, lultima volta, hanno colorato di verde il gatto della nonna e rotto la tv, e Laura rideva: Ah, che imparino! Non voglio vedere la mia casa ridotta così.
Ma sono parenti! la madre predicava con la voce di chi cerca di educare un bambino Basta sopportare due giorni, metti via le cose delicate. Almeno mantieni i rapporti! Graziella racconterà a tutti che sei diventata di ghiaccio. Io mi vergogno davanti alla gente!
Mamma, ma io perché dovrei sacrificare il mio spazio e le mie cose per non far spendere a zia Graziella cento euro di pensione? Se hanno i soldi per i regali di compleanno e il treno, li trovano anche per dormire.
Sei egoista sospirò la madre amareggiata Sei come tuo padre, sempre a difendere la sua pace. Vedrai che finirai da sola con queste mura bianche, senza nessuno a portarti un bicchiere dacqua.
Meglio da sola che ripulire la casa dallaffetto dei parenti borbottò Caterina, spegnendo il telefono.
Tutta la settimana fu unansia. I parenti in silenzio. Nessun messaggio da Laura. Forse avevano capito? O magari avevano rinunciato. Si ripeteva: No è no.
Il sabato era una poesia. Caterina dormì fino a tardi, caffè fumante, accappatoio di seta, il sole inondava la stanza, silenzio e pace nei riflessi della vetrata. Puntava a leggere tutto il giorno, magari prendersi dei supplì e poi un bagno caldo la sera.
Alle nove, la voce stridula del citofono la gelò. Saltò sul tappeto col cuore in gola. Vide nellocchio elettronico: una folla, le borse giganti, il viso paonazzo di zia Graziella, zio Paolo con il berretto di lato, bambini che già armeggiavano coi bottoni.
Caterina, apri! Sorpresa! urlò zia Graziella nellobiettivo appena vide la lucina Siamo appena scesi dal treno, abbiamo caldo, almeno un bicchiere dacqua ce lo fai bere!
Caterina si appiattì al muro. Erano davvero venuti. Avevano ignorato il rifiuto, sperando che trovandosi davanti non avesse avuto il coraggio di dire no. Il classico trucco: metterti spalle al muro.
Inspirò a fondo, contò fino a cinque e rispose.
Lavevo detto di non venire.
Su, non fare teatro! la zia fece un gesto come a scacciare una mosca Dai, apri che le bimbe devono andare in bagno! Non vorrai mica lasciarci qui fuori!
Cè un bar sotto casa, il bagno è gratis Caterina rispose calma Io non apro.
Veramente?! zia Graziella si schiacciò tanto da incollare il naso al citofono Ma siamo la tua famiglia! Tua madre sa che siamo qui! O apri o faccio venire tutto il condominio!
Fatelo pure. Ho mandato gli indirizzi degli alberghi via SMS. Arrivederci.
Interruppe la comunicazione e tolse il suono. Ma dopo poco, sentirono bussare forte: qualcuno aveva fatto entrare i parenti nellandrone. Ora erano proprio dietro la porta.
Il campanello non smetteva, pugni contro il metallo.
Caterina, vergognati! strillava Laura I bambini sono stanchi! Ma stai fuori di testa?
Apri, ingrata! tuonava zio Paolo Ti abbiamo portato la porchetta, il pecorino!
Caterina non si mosse dal centro dellingresso, le braccia strette al petto, una paura e una rabbia che le accendevano il viso. Simmaginò la sua casa invasa da scarpe sporche, borse giganti che raschiavano le pareti, il fumo, le puzze di cibo, la poltrona macchiata, il suo santuario violato.
No.
Si avvicinò alla porta e disse forte, decisa:
Chiamo i carabinieri. Se non ve ne andate subito faccio denuncia per tentata violazione di domicilio.
Dietro la porta ci fu silenzio.
Mi fai morire tua madre, lo capisci?! pianse la zia I carabinieri alla zia, guarda te!
Sto contando fino a tre, disse Caterina Uno.
Mamma, lei è fuori andiamo via, va, lei i carabinieri li chiama davvero la voce di Laura sembrava meno sicura.
Due.
Vattene! ringhiò zio Paolo, dando un calcio alla porta Goditela la tua casa! Che tu ci marcisca dentro!
Tre.
Rumore di borse, schiamazzi, pianti, mentre i passi si allontanavano veloce sulla scala (lascensore, forse, era occupato o troppo lento). Solo allora Caterina tremò sul serio.
Scivolò sul pavimento caldo, la schiena al muro e la faccia tra le mani. Le lacrime scesero, ma era solo tensione pura. Aveva resistito.
Il telefono tornò a squillare. Sapeva già chi fosse: la madre, Graziella, numeri di parenti sconosciuti. Lo spense del tutto.
Si versò dellacqua dal rubinetto, bevve. Alla finestra scorse i parenti intorno a un taxi, gesticulanti, puntando il dito verso le sue finestre.
Ricordò un episodio di cinque anni prima. Studentessa a Napoli, aveva chiesto ospitalità a Graziella. Abbiamo i lavori in casa, Caterina. Cè polvere e casino, e Laura con il suo fidanzato si vergogna. Cerca tu, dai. Caterina dormì tre giorni in stazione abbracciata allo zaino, poi trovò una vecchietta che le diede una stanza in cambio di aiuto domestico.
Allora il sangue del parentado non era un problema. Strano comè la memoria della famiglia.
Non in questa vita disse a voce alta Caterina.
Osò una musica soft, preparò il caffè e si lasciò il divano. La giornata era rovinata, ma almeno la casa era ancora intera.
La sera, accese il telefono e si scaricò addosso londata di messaggi.
Non sei più figlia né nipote né sorella! urlava zia Graziella.
Come hai potuto farlo a mamma che ha il cuore debole! scriveva Laura.
Mi vergogno di averti partorita. Quello era dalla madre. Faceva più male degli altri.
Caterina guardò a lungo le lettere sullo schermo. Avrebbe voluto spiegarsi, ricordare la stazione, il rifiuto della zia, rivendicare il diritto a uno spazio tutto suo. Ma capì che era inutile. Per loro non era altro che la fonte da sfruttare che si era ribellata.
Scrisse alla madre solo un sms: Ti voglio bene. Ma sono adulta e vivo a casa mia secondo le mie regole. Se vuoi venire da sola, avvertimi prima e sarò felice. Ma non accetterò ricatti coi parenti. Ricorda che zia Graziella cinque anni fa mi ha lasciata sola a Napoli. Ho solo pareggiato i conti.
Non ricevette risposta.
Passò una settimana. Caterina continuò la sua vita nel suo appartamento perfetto. I vicini, in ascensore, la guardavano incuriositi, ma senza dire nulla: pare che le urla di zia Graziella avessero lasciato il segno, forse non quello sperato. Una ragazza col cane le fece locchiolino: Auguri per la casa nuova! Belle porte avete, eh?
Dopo un mese, chiamò la madre. Voce asciutta, ma niente lacrime. Chiese solo del lavoro e del mutuo. Non nominò più la zia. Nemmeno Caterina lo fece.
La famiglia la isolò. Non veniva invitata ai compleanni, bandita dal gruppo Whatsapp. Ma sorprendentemente, la vita migliorò: niente regali inutili, niente chiacchiere imbarazzanti su matrimoni e stipendi, niente quando metti su famiglia?
Sei mesi dopo, a Capodanno, suonarono alla porta. Caterina guardò dallo spioncino: era Laura, sola, disfatta e con gli occhi gonfi.
Caterina aprì.
Ciao sussurrò Laura Posso entrare?
Caterina esitò un istante, poi si spostò per farla passare.
Togliti le scarpe.
Laura si sedette in cucina.
Ho lasciato Pietro, confessò scoppiando in lacrime Beveva, mi ha anche alzato le mani. Le bimbe le ho lasciate da mamma. Io non so dove andare. La mamma dice che è colpa mia. Graziella mi fa: Pazienza, i bambini hanno bisogno del papà. Ma io non ce la faccio più.
Alzò su Caterina gli occhi pieni di lacrime.
Posso stare qui? Per qualche giorno. Cerco una stanza in affitto, appena posso vado via. Davvero. Sto zitta, dormo per terra.
Caterina fissò la sorella. La memoria la riportò indietro, allimmagine di Laura mezzo anno prima davanti al citofono tutta rabbia e minacce. Vergogna!
Ma ora le stava davanti una donna sconfitta, che chiedeva aiuto, non pretendeva. E lì capì la differenza: prima era uninvasione, questa era una richiesta sincera.
Non dormi per terra, sospirò Caterina il divano si allunga.
Laura restò di sasso.
Dopo quello che ti ho fatto mi ospiti?
Sì. Ma a patto di rispettare alcune regole, Caterina versò il tè Primo: niente bambini qui. Secondo: massimo una settimana per trovare stanza. Ti aiuterò a cercarla. Terzo: niente chiacchiere su di me in famiglia. Se scopro che racconti, sei fuori.
Grazie mormorò Laura Davvero. Siamo stati degli sciocchi, Caterina. Ti invidiavamo. Sei uscita dal nostro pantano.
Linvidia distrugge ribatté Caterina Bevi, va. Io preparo il divano.
Laura restò cinque giorni. Camminava sulle punte, puliva ogni briciola, ringraziava per ogni gesto. Dopo una settimana trovò una stanza e se ne andò.
Da lì qualcosa cambiò. Laura divorziò, trovò lavoro, si allontanò dalla zia e dalla madre. Con Caterina ogni tanto si vedevano, un cinema insieme, una pizza.
Zia Graziella, invece, non perdonò mai. Ma Caterina non ci pensava più. La sera, sul suo divano, fra libri e un bicchiere di Frascati, guardando le luci su Roma, pensava che per davvero casa mia è il mio castello non era solo un modo di dire. Era la salvezza. E perché il castello resti sano, a volte, il ponte levatoio si tiene alzato. Anche se quelli fuori hanno il tuo stesso cognome.






