19 marzo
Questa notte ho dormito poco. Mi sembra di oscillare tra rabbia, tristezza e stanchezza, senza trovare mai tregua. Ancora non mi sembra vero che Laura abbia fatto le valigie e sia sparita, nessuno sa dove. Forse dovrei essere sorpresa, ma in fondo, no cerano dei segnali che ho preferito ignorare.
“Finisci di fare la santa, Margherita. Andrà tutto bene. Le donne sono così, urlano un po e poi si calmano. Limportante è che abbiamo raggiunto lobiettivo. Abbiamo un figlio, la stirpe continua” Così mi aveva detto Giorgio. Si era appoggiato sullo schienale della sedia, dopo aver posato la forchetta.
Dio, quanto mi dà fastidio quanto prende tutto con sufficienza! Quando, abbassando la voce, ho chiesto cosa volesse dire che aveva sistemato la questione della gravidanza di Laura, lui non ha fatto una piega. “Significa esattamente quello. Ha tergiversato per anni. ‘Non sono pronta. Voglio pensare alla carriera. Tra un po’ Ma quando, tra un po? Ho trentadue anni, Margherita. Volevo un erede, una famiglia vera, come le altre persone. Così ho cambiato le sue pillole.” Sono rimasta di sasso.
“Glielhai detto?” ho chiesto, incredula. “Il giorno che se nè andata”, ha risposto secco. “Urla, piange io le ho detto di abituarsi, che in fondo anche lei voleva un bambino, io lho solo aiutata. Pensavo che si sarebbe calmata, che avrebbe capito di non avere altra scelta. E invece boh. Ha preso la borsa e se nè andata.”
Ora la spazzola dimenticata da mio fratello è ancora lì, sul tavolo della cucina, in mezzo a una montagna di biberon da lavare. Mi esaspera questa sua abitudine di lasciare le cose in giro. E io qui che stringo la vestaglia e metto su il bollitore, mentre il piccolo Matteo finalmente dorme nella stanza accanto. Ma tanto lo so, durerà poco. Tra circa unora ricomincerà a piangere e tutto da capo!
Mi sembra ieri che abbiamo portato Laura a casa, dallospedale Maggiore. Giorgio era raggiante, distribuiva mazzi di fiori alle infermiere. Ma Laura Laura sembrava camminare verso una sentenza, non verso casa. Allepoca avevo pensato fosse la stanchezza del parto, il caos degli ormoni. Forse avrei dovuto capire prima.
Poi Giorgio è tornato dal lavoro: caos in casa, cravatta slacciata, occhi stanchi. “Cè qualcosa da mangiare?” neanche mi guarda. “Ho fatto la pasta. E ci sono i wurstel.” Gli dico a bassa voce: “Giorgio, il piccolo si è appena addormentato”.
Eh, Margherita, io sono distrutto. Clienti che ti svuotano lanima E poi: Come va il passerotto? Si riferisce a Matteo, ma lo dice come se parlasse dun animale domestico. “Si chiama Matteo,” gli rispondo sbattendo la tazza, forse troppo forte. “Ha pianto per tre ore di fila. Gli fa male la pancia. Giorgio si stringe nelle spalle: Dai, sei tu la donna, no? Ce lhai nel sangue queste cose. E via a mangiare.
A volte vorrei lanciargli addosso la pentola. Io qui, ospite temporanea perché devo pagare i debiti della mia bottega darte, e sono finita a fare la balia, la cuoca e la colf gratis. Giorgio si comporta come se nulla fosse, come se sua moglie non fosse sparita con tutto il dolore che si porta dietro.
Ha chiamato Laura? gli chiedo durante la cena. Si ferma un attimo, la forchetta a mezzaria, e il viso gli si fa cupo. Non risponde. Butta giù la chiamata. Ma ti rendi conto? Lasciare un figlio così! E tutto perché le ho cambiato le pillole; volevo semplicemente che rimanesse incinta prima.
Ho abbassato la voce, ma le parole sono uscite da sole: Sei uno str Giorgio. Lui allarga gli occhi: Io lho fatto per la famiglia! Porto i soldi a casa! E invece Laura ha abbandonato Matteo. Sei tu che le hai tolto la possibilità di scegliere. Hai ingannato una persona che affermavi di amare.
Lui scuote la mano, stizzito: Dai, finirà che torna. I soldi le finiranno, tornerà qui come un agnellino. Nel frattempo, potrai darmi una mano tu con Matteo, no? Ora ho il periodo delle dichiarazioni dei redditi e non posso starci dietro. Non ho risposto. Sono andata in camera del piccolo Matteo, che dormiva sereno, ignaro di tutto.
Ho aperto il telefono, aperto WhatsApp. Laura era online pochi minuti prima. Ho scritto, riscritto e cancellato mille volte prima di inviarle: Laura, sono Margherita. Non ti chiedo di tornare, voglio solo sapere che stai bene. E sono stanca, ho bisogno di parlare. Dieci minuti dopo, la risposta: Sono in un albergo. Tra tre giorni vado a Milano per lavoro, starò via tre settimane. Era fissato da tempo, da prima che sapessi insomma, da tanto. Quando torno, chiederò il divorzio. Matteo non lo abbandono, Margherita, ma non riesco a stare lì dentro. Non riesco neanche a guardarlo, perché vedo Giorgio.”
Ho sospirato. Capisco, Laura. Davvero. Giorgio mi ha raccontato tutto. E lui? Orgoglioso della bravata? Più o meno. È sicuro che tornerai. Se lo sogna. Margherita, se proprio non ce la fai, dimmelo. Troverò il modo di mandarti dei soldi, pagherò una tata. Ma io lì, con lui, non torno. Mai.
Ho lasciato il telefono e ho fatto un lungo respiro. Devo cercare lavoro, sistemare i miei debiti, provare a rimettere insieme la mia vita. Ma lasciare Matteo solo con Giorgio, che non sa neanche cambiare un pannolino, non posso.
I giorni sono passati come in un incubo. Giorgio tornava tardi, mangiava e andava a dormire. Ad ogni richiesta di aiuto, rispondeva sempre con: Sono stanco, o Tu sei più brava, è roba da donne queste. Una notte Matteo piangeva così forte che ho perso la pazienza. Sono entrata nella sua stanza e ho acceso la luce: Alzati! Adesso. Vai a calmare tuo figlio. Io non ce la faccio più, mi tremano le mani dalla stanchezza. Giorgio, infastidito, mi ha risposto: Sei qui gratis, vivi a casa mia, io pago le bollette. Fai la domestica, no? A quel punto sono uscita senza una parola.
Quella notte ho capito che dovevo fare qualcosa. Dopo che lui è uscito la mattina, ho scritto di nuovo a Laura: Dobbiamo vederci oggi, mentre lui non cè. Ti prego. Ci siamo incontrate in un piccolo parco vicino casa. Era pallida e smunta; guardava Matteo con le mani che tremavano.
E cresciuto tanto, dice piano, con voce spezzata.
Non ti riconoscerà nemmeno, le dico sottovoce.
Lo so Forse, da qualche parte, lo amo. Ma vivere con Giorgio, dormire accanto a un uomo che mi ha tradito così? Mi manca laria.
E senza di lui? insisto. Laura mi guarda, incredula.
Lui è sicuro che tu tornerai. Pensa che tu, e tuo figlio, siete di sua proprietà. Ma Giorgio non è un padre, è solo il capo di un progetto chiamato Famiglia Perfetta. Non si alza di notte, non sa nemmeno quanto latte sciogliere. Gli serviva solo poter dire di avere un figlio, non crescerlo.
E quindi?
Tu vai a Milano, pensa a te, lavora. Io resto qui altre tre settimane, preparo tutto. Cerchiamo un avvocato, chiediamo il divorzio. Tu trovi un appartamentino, io ti raggiungo e dò una mano con Matteo, finché non mi rimetto in piedi con il lavoro. Ce la facciamo, Laura. Senza di lui.
Lei resta zitta a lungo, poi annuisce. Vai contro tuo fratello? chiede sottovoce.
È mio fratello, sì. Ma ha fatto una cosa squallida. Io non sto dalla sua parte. Non sono complice di questa bugia.
E se lui non vorrà lasciarci il bambino?
Farà scenate, certo. Ma lui stesso ha confessato la storia delle pillole. Se servirà, lo dirò in tribunale. Non vuole davvero il bambino, Laura. Vuole solo controllare qualcuno. Quando capirà quanto lavoro serve per crescere un figlio, mollerà tutto. Gli conviene fare la parte del papà abbandonato, piuttosto che occuparsene.
Per la prima volta da settimane, vedo Laura sorridere. Sei diventata adulta, Margherita.
Non avevo scelta, sospirai. Allora daccordo?
Daccordo. Grazie.
Le tre settimane sono passate in fretta. Giorgio diventava sempre più irritato, notava che non correvo più a servirlo. Quando torna Laura? mi ha chiesto una sera. Domani, ho risposto abbracciando il piccolo Matteo. Finalmente, così magari si mangia qualcosa di decente. Dovrei comprarle un regalo un anello, dei pendenti le donne amano queste fesserie, giusto? Lho guardato col disgusto che si prova davanti a certi insetti.
Pensi che un anello risolva tutto?
Lui mi ha dato una pacca sulla spalla: Vedrai, Margherita, tutto si sistema. Le donne urlano e poi fanno pace. Limportante è che adesso abbiamo un figlio, la nostra stirpe continua.
Non ho risposto.
Il mattino dopo, Laura è arrivata quando lui era già al lavoro. Non è salita, mi aspettava in macchina. Avevo già preparato tutto: vestitini, giochi, le mie borse. Mi sono bastati tre viaggi per portare tutto giù. Matteo dormiva tranquillo nel seggiolino. Sono tornata su solo per lasciare le chiavi. Le ho appoggiate accanto a quella maledetta spazzola e ho lasciato un biglietto.
Giorgio, ce ne siamo andate. Non cercare Laura, sentirai notizie dallavvocato. Matteo è con lei. Io anche.
Volevi una famiglia, ma te ne sei dimenticato: la famiglia si costruisce sulla fiducia, non sulle bugie.
La pasta è in frigo. Stavolta dovrai cavartela da solo.
Siamo ripartite. Laura ha trovato un piccolo appartamentino accogliente dallaltra parte di Torino. I primi giorni sono stati tremendi: Matteo piangeva spesso, Laura scoppiava in lacrime, il mio telefono non smetteva mai di squillare per le urla e le minacce di Giorgio. “Vi rovino, vi tolgo tutto, il bambino non lo vedrete più, ve ne pentirete!” ha gridato. Io ho ascoltato in silenzio. Abbiamo resistito.
Il divorzio è passato in tribunale. Alla fine, Giorgio mai ha detto di voler crescere Matteo. Avevo ragione io: non cercava responsabilità, solo un trofeo da esporre. Ha preferito pagare lassegno, senza neanche insistere per vederlo. Nessuna battaglia per la paternità. Matteo può finalmente crescere con chi gli vuole bene davvero. Io sto rimettendo in piedi la mia vita, passo dopo passo, finalmente libera.






