Quando la Moglie Sparisce: Il Dramma di una Famiglia Italiana tra Tradimento, Inganni e la Lotta per Ricominciare

Guarda, ti racconto una storia che sembra uscita da una di quelle chiacchiere infinite davanti al caffè. Tutto è iniziato quando la moglie di mio fratello ha fatto le valigie e se nè andata, sparendo nel nulla.

“Basta fare la santa. Tutto si sistema, dai. Le donne sono così, si arrabbiano, gridano, poi passa. Limportante è aver centrato lobiettivo: abbiamo un figlio, il cognome va avanti”, diceva Marco, mio fratello. Io, invece, ascoltavo in silenzio.

“Marco, ma… una settimana fa mi hai detto che ti sei occupato tu della storia con la gravidanza di Chiara. Cosa volevi dire?”, gli ho chiesto a bassa voce.

Lui ha lasciato la forchetta sul piatto e si è appoggiato allo schienale.

“Vuol dire quello che hai capito. Per cinque anni mi ha portato avanti: ‘Non sono pronta’, ‘devo pensare alla carriera’, ‘poi, più avanti’. E quando, sto più avanti? Ho trentadue anni, Giulia. Volevo un erede, una famiglia normale, come tutti. Così… ho sostituito le sue pillole quando non guardava”.

Sono rimasta di sasso.

“Glielhai detto? Quando?”

“Il giorno in cui ha sbattuto la porta. Si è messa a urlare, io glielho detto chiaro e tondo: ‘Abituati, cara, lo volevi anche tu, io ho solo aiutato’. Pensavo che le passasse, che avrebbe capito di non avere scelte, invece… lasciamo perdere. Ha preso la borsa ed è sparita”.

***

Sul tavolo della cucina, in mezzo al caos delle bottigliette non lavate, cera il pettine di mio fratello, abbandonato lì chissà da quanto. Guardandolo mi saliva dentro una rabbia tremenda: ma perché deve sempre seminare il disordine?

Il piccolo nella culla, nella stanza accanto, finalmente si era addormentato, ma quella pace era solo una pausa cortaunora, massimo due, e si sarebbe ricominciato da capo.

Mi sono sistemata la vestaglia e ho messo su il bollitore per il tè. Solo un mese prima avevamo riportato Chiara, mia cognata, dallospedale con il neonato. Marco era tutto impettito, regalava fiori alle infermiere, sembrava il padre dellannoma Chiara lei aveva una faccia da funerale, come se la portassero allergastolo anziché a casa.

Allora avevo pensato fosse solo stanchezza, prime esperienze, ormoni… ma forse avrei dovuto capire subito che cera sotto qualcosa di più grosso.

La porta dingresso sbattéMarco era rientrato dal lavoro. Passando in cucina si slacciò la cravatta e si fiondò subito verso il frigo.

“Cè qualcosa da mangiare?” mi fa, senza nemmeno guardarmi.

“Cè la pasta nella pentola. Ho fatto anche le salsicce. Dai, Marco, il piccolo si è appena addormentato, puoi fare piano?”

Lui borbottò, tirando fuori un piatto.

“Sono a pezzi, Giù. Tutto il giorno clienti appiccicosi non ce la faccio più. E allora, come va il pulcino?”

“Il pulcino si chiama Antonio”, dissi posando la tazza, un po più forte di quanto volessi. “Ed è tuo figlio. Ha pianto per ore, avrà mal di pancia”.

“Limportante è che tu ce la fai, no?” Marco alzò le spalle, prendendo posto al tavolo. “Siete donne, ce lavete nel sangue. Nostro madre con noi due da sola quando papà era in trasferta… E tu? Mica lha mai aiutata nessuno”.

Avrei voluto tirargli quel piatto in faccia. Ero lì solo momentaneamente, aspettando di saldare i debiti della mia piccola bottega, ma in due settimane ero diventata gratis tata, cuoca e colf. Marco si comportava come se niente fosse, come se sua moglie non fosse scappata allimprovviso e senza lasciare traccia.

“Ti ha chiamato Chiara?” chiesi mentre lui mangiava a grandi bocconi.

Si bloccò, la forchetta sospesa a mezzaria, e il viso si indurì.

“Non risponde. Rifiuta la chiamata. Devessere impazzita, chi lascia un bambino così?”

“Si arrabbia ancora per la storia delle pillole. Volevi che restasse incinta prima”

“Sei proprio pesante, Giù”, sussurrò lui.

“Ma ci stavo provando per la famiglia! Porto i soldi a casa!”

“Le hai tolto la possibilità di scegliere”, dissi alzandomi. “Lhai tradita proprio tu, che dici di amarla. Come poteva reagire? Dirti grazie, tesoro, per avermi rovinato la vita?”

“Non cominciare, domani le passa tutto. Tornerà, dove vuoi che vada? Il bambino sta qui, i soldi li ho io finiranno e ritorna. E intanto, sarai daiuto tu, vero? Sono troppo incasinato ora, con la chiusura di bilancio.”

Me ne andai in silenzio verso la camera di Antonio. Il piccolo russava piano, i pugnetti chiusi, e mi sentivo il cuore spezzarsi. Da una parte lui, così innocente, dallaltra Chiara, chiusa in trappola. Mi facevano pena entrambi.

Presi il telefono e aprii WhatsAppChiara era online pochi minuti prima. Scrissi e riscrissi il messaggio mille volte, poi finalmente inviai:

Chiara, sono Giulia. Non ti chiedo di tornare da lui. Voglio solo sapere se stai bene. E… sono stanca. Possiamo parlare? Niente urla.

Dopo dieci minuti, la risposta:

Sono in un albergo. Tra tre giorni parto per lavoro, a Firenze, resto via tre settimane. Lo sapevo già da prima Torno e chiedo il divorzio. Non abbandono Antonio, Giulia, ma non ce la faccio a stare lì. Non riesco a guardarlo senza vedere Marco, capisci? Mi sembra di soffocare.

Risposi:

Capisco, davvero. Marco mi ha raccontato tutto.

E lui come sta, si sente furbo?

Più o meno. È sicuro che tornerai.

Se lo sogna. Giulia, se arranchi troppo dimmelo. Cerco una tata, ti mando dei soldi. Ma da lui non torno. Mai più.

Posai il telefono con un sospiro. Dovevo trovare lavoro, pagare i debiti, rimettermi in piedi. Ma non me la sentivo di lasciare Antonio in balia di Marco, lui non sapeva neanche cambiare un pannolino.

***

I tre giorni successivi sono stati un incubo. Marco arrivava tardi, mangiava e si buttava a letto. Ogni volta che gli chiedevo una mano col bambino rispondeva solo che era stanco o che io sono più portata.

Una notte Antonio pianse così tanto che non ressi più. Entra in camera di Marco e accesi la luce.

“Alzati”, dissi gelida.

“Giù, lasciami stare. Devo svegliarmi alle sei”.

“Non mimporta nulla. Vieni a calmare tuo figlio. Ha fame, io sono distrutta, mi tremano le mani”.

“Sei pazza? Sei qui proprio per questo! Ti sto pure ospitando, pago le bollette!”

“Ah, è così? Cioè, sono la servetta?”

“Lasciala come vuoi”, mugugnò. “Tanto Chiara torna e finalmente mi riposo. Intanto lavora”.

Me ne andai senza dire una parola. Quella notte non chiusi occhio, seduta in cucina a cullare la carrozzina, pensavo solo a come dargli una lezione. Marco aveva davvero superato il limite.

La mattina dopo, appena lui uscì, scrissi di nuovo a Chiara:

Dobbiamo vederci oggi. Prima che torni. Ti prego.

Lei accettò.

Ci siamo trovate nel giardino sotto casa. Sembrava l’ombra di sé stessa, pallida, con le occhiaie profonde e vistosamente dimagrita. Si avvicinò al passeggino e guardò Antonio a lungo, le mani che le tremavano.

“È cresciuto”, sussurrò. “In due settimane così cambiato…”

“Non ti riconosce nemmeno, Chià”, dissi piano.

“Lo so”, si coprì il volto. “Non sono un mostro, Giulia. Credo di volerlo bene, in fondo lo sento che è mio, ma lidea di dividere il tetto con Marco, di dover fargli da moglie come se niente fosse… mi toglie laria”.

“E se non dovessi viverci più?”, chiesi.

Lei mi guardò confusa.

“Lui è convinto che tu tornerai appena finiti i soldi. Crede di possedere sia te che il bambino. Ma diciamolo: non è un padre, è come un project manager della famiglia perfetta. Non si alza la notte, non sa neanche come sciogliere il latte. Gli bastava mettere al mondo lerede, non crescerlo.”

“E tu cosa proponi?”

“Tu parti per Firenze con la testa tranquilla. Io resto qui altre tre settimane. Nel frattempo preparo tutto: parli con un avvocato, inizi le pratiche per il divorzio e laffido condiviso. Quando torni, ti aiuto anche ioho trovato dei lavori da freelance. Ce la facciamo senza di lui. Io e te, se vuoi.”

Mi guardava come se stessi scherzando.

“Andresti contro tuo fratello?”

“È sangue del mio sangue, ma ha fatto schifo, Chiara. Non voglio più coprire le sue menzogne. Crede di avermi in pugno solo perché non ho casa, ma si sbaglia”.

Chiara fissava la luce del sole che rimbalzava sul passeggino.

“E lui? Non mollerà il bambino facilmente. Accadrà un casino.”

“Sarà brutto, sì, ma abbiamo una carta in mano: la sua confessione sulla questione delle pillole. In tribunale conta. E, se serve, racconterò anche di quanto aiutava a casa… Gli pesa più il ruolo di povero padre abbandonato da raccontare agli amici che la fatica del papà vero.”

Per la prima volta Chiara sorrise, appena, dopo tanto tempo.

“Sei cresciuta tanto, Giulia.”

“Mi ci hanno costretta, credimi”, sospirai. “Quindi ci stai?”

“Sì. Grazie.”

Quelle settimane sono volate. Marco si faceva sempre più nervoso, iniziava a notare che io lo ignoravo e non correvo a servirgli la cena come prima.

“Quando torna Chiara?”, sbottò una sera lanciando la borsa sul divano.

“Domani”, risposi, Antonio tra le braccia.

“Finalmente! Così si va a mangiare fuori, ne ho pieni i polmoni dei tuoi spaghetti al pomodoro. Le compro pure qualcosa, un anello… le donne queste cose le adorano.”

Lho guardato con un disgusto quasi fisico.

“Ma davvero pensi che un gioiello risolva tutto?”

“Giulia, basta con ste storie. Tutto si sistema, dai. Le donne si sfogano, sfumano. Limportante è che abbiamo un figlio, la famiglia continua”, disse, sicuro.

Io non dissi una parola.

***

La mattina successiva Chiara arrivò mentre Marco era in ufficio. Non è nemmeno salita su, mi aspettava in macchina; io avevo già preparato tutte le sue cose, i vestiti di Antonio, la mia borsa.

Feci tre viaggi giù e caricai tutto in auto. Antonio, tranquillo, dormiva nel seggiolino.

Quando caricato lultima borsa, salii di corsa in casa per lasciare le chiavi e una nota:

“Marco, ce ne siamo andate. Non cercare Chiara, parlerà lei col tuo avvocato. Antonio resta con lei. Io pure.

Tu volevi una famiglia, ma hai dimenticato che si costruisce con la fiducia, non con i sotterfugi.

Gli spaghetti sono in frigo. Da ora in poi dovrai cavartela da solo.”

Ce ne siamo andate.

Chiara ha trovato una casetta piccola ma accogliente dallaltra parte di Milano. I primi giorni sono stati durissimi: Antonio piangeva per il nuovo ambiente, Chiara scoppiava a piangere spesso, io avevo il cellulare che impazziva di chiamate e messaggi furiosi da Marco.

Gridava, minacciava, diceva che ci avrebbe portato via il bambino e lasciato per strada con due euro.

Io lo ascoltavo glaciale. Abbiamo resistito. Dopo qualche giorno Marco ha smesso di farsi sentire.

Il divorzio è stato in tribunale. In aula non disse mai una parola su volere Antonio con sé. Avevo avuto ragione: non voleva noie, gli bastava pagare il mantenimento.

E addirittura smise di chiedere perfino di vederlo, il piccolo erede… Quanto al restosi va avanti, una forchetta di spaghetti alla volta.

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