Dolce al Forno con i Soldi degli Altri

**Dolce a spese altrui**

“Figlio mio, mi sento male… il cuore mi batte forte. Il medico ha detto che ho bisogno di medicine costose… Aiuterai tua madre, vero?”

***

Nellappartamento si sentiva il profumo di vaniglia e caffè appena fatto Giulia aveva appena sfornato una crostata di mele e cannella. La crosta dorata scricchiolava sotto il coltello, e laroma caldo e avvolgente riempiva la cucina, come se lautunno stesso fosse entrato dalla finestra. Giulia stava distribuendo con cura le fette di crostata su piatti di porcellana quando il campanello suonò secco, insistente, come il ticchettio di un metronomo.

Sulla soglia cera la suocera, Valeria Colombo. Elegante nel suo cappotto di cashmere color verde acqua, con i capelli grigi perfettamente acconciati e un sorriso smagliante. Tra le mani reggeva una confezione di una pasticceria raffinata quella dove i dolci costavano quanto il pranzo di una settimana.

“Giulietta, ciao tesoro!” esclamò, tendendo le braccia per un abbraccio. “Passavo di qui e ho pensato di farti visita. Che buon profumo! Mi ricorda linfanzia…”
Giulia sorrise con compostezza, sentendo dentro di sé una tensione familiare come una molla pronta a scattare. Sapeva che quella visita non era casuale.

…Valeria aveva iniziato a farsi insistente nella loro vita tre anni prima, dopo che il marito, padre di Matteo, aveva lasciato la famiglia. Allinizio era tutto dolce: cene domenicali, chiacchiere davanti a un tè, aiuto con le faccende di casa. Ma col tempo le visite si fecero più frequenti, e le richieste più pressanti.

“Matteo, amore mio,” sospirava Valeria, portando una mano al cuore, “la pressione mi salta. Il medico dice che servono medicine costose… Aiuterai tua madre, vero?”
Matteo, gentile e premuroso, non rifiutava mai. Allinizio le cifre erano piccole cinquanta, cento euro. Poi crebbero a duecento, trecento. Giulia cercava di parlarne con lui, ma lui la liquidava con unocchiata irritata:

“Giulia, basta… La mamma sta male, lo vedi. Non possiamo abbandonarla. È mia madre…”
E intanto Valeria “dimenticava” di menzionare che le medicine erano già state comprate, e i soldi erano finiti chissà dove. Per un “corso di vitamine urgenti”, per una “terapia esclusiva”, per un “prestito a unamica”.

Una volta, Giulia vide per caso sui social una foto della suocera in un bar. Sorrideva davanti a una tazza di cappuccino e una fetta di torta ai frutti di bosco, con la didascalia: “Un dolce giovedì è la migliore cura per la malinconia!”

Giulia aggrottò le sopracciglia: il giorno prima Valeria aveva chiamato Matteo in lacrime:

“Figlio mio, mi sento così male… Le medicine sono finite, e il dottore dice che servono quelle importate, costosissime… Non so come fare, sono disperata…”
Giulia mostrò la foto a Matteo. Lui si turbò, sfiorando lo schermo come per cancellarla. Nei suoi occhi passò un attimo di smarrimento, ma trovò subito una scusa:

“Forse è una foto vecchia? O magari voleva solo farsi un piccolo piacere… Anche chi sta male ha diritto a un po di gioia.”

“Matteo,” disse Giulia a voce bassa, sentendo un nodo in gola, “lei spende i tuoi soldi in caffè e dolci, mentre noi rinunciamo alla lavatrice nuova. Davvero non ci vedi un problema?”
Quella sera stessa, Valeria chiamò il figlio in lacrime Giulia sentiva i singhiozzi persino dal telefono:

“Matteo, mi sento così sola… Non immagini quanto sia difficile. E ora anche Giulia mi attacca… Dice che spreco i soldi… Io cerco solo un po di affetto…”
Matteo le si rivolse con le labbra serrate, lo sguardo cupo.

“Perché la tormenti ancora?” le chiese brusco, sbattendo il telefono sul comodino. “È già allo stremo, e tu la finisci!”
Giulia sentì la rabbia ribollirle dentro calda, tagliente come metallo fuso.

“Non la tormento! Voglio solo che tu veda la verità. Ti sta manipolando!”
“Sei solo avara!” le urlò Matteo, e le parole rimasero sospese come fumo velenoso. “Ti dispiace spendere per mia madre? È il mio sangue!”
Giulia uscì in silenzio, chiudendo la porta della camera con un lieve clic. Fuori pioveva, e le gocce battevano contro i vetri come il caos dentro di lei…

…Il giorno dopo Valeria arrivò per “fare la pace”. Portava fiori crisantemi lussureggianti in carta viola e si scusava per le “emozioni”, ma nei suoi occhi si leggeva un freddo calcolo, nascosto dietro una maschera di pentimento.

“Giulietta, capisco che sei preoccupata per le spese,” disse dolcemente, mescolando il tè con gesti ipnotici. “Ma sai quanto è importante prendersi cura degli anziani. Non chiedo tanto… Solo un aiuto ogni tanto.”
Giulia strinse la tazza fino a sentire dolore. Laroma del tè, di solito calmante, ora le sembrava soffocante.

“Valeria, ma non pensa che anche noi siamo stanchi? Che abbiamo bisogno di soldi per le nostre cose? Per la casa, le vacanze, il futuro…”
La suocera alzò le mani, e i braccialetti tintinnarono.

“Oh, cara, sei così giovane… Non capisci come la vecchiaia arrivi in fretta. Ieri sono quasi svenuta… Il medico mi ha detto di prendere vitamine, e costano care… E poi gli esami… E i massaggi…”
Giulia stava per rispondere, quando squillò il telefono di Matteo.

“Mamma, dove sei?” la sua voce era tesa. “Mi preoccupo.”
“Figliolo, sono da voi,” cinguettò Valeria, e il tono divenne subito più dolce, come seta. “Sto bevendo il tè con Giulia… Tutto bene, tranquillo.”
Giulia uscì sul balcone. Il vento freddo le sferzò il viso, ma era meglio dellafa dei crisantemi e delle scuse false. Guardava la città sotto di sé luci, macchine, gente di fretta. A tutti sembrava toccare una verità, un posto, mentre la sua vita era un labirinto di bugie.

…Una settimana dopo, Giulia decise di agire. Raccolse tutti gli scontrini, gli screenshot e le foto accumulate e organizzò un “consiglio di famiglia”. Il tavolo divenne un campo di battaglia: carte disposte con precisione, come strategie.

“Matteo, guarda,” disse ferma, mostrando i documenti. La voce era calma, ma dentro tremava tutto. “Ecco lo scontrino della farmacia. E questa è la foto di tua madre al bar lo stesso giorno. Qui scrive che sta male, e unora dopo posta un selfie a teatro…”
Matteo esaminò i fogli, e il suo volto si fece sempre più cupo. Sfogliava, leggeva come un puzzle che non voleva combaciare.

“Mamma, è vero?” chiese quando lei arrivò in visita. La sua voce era spezzata, dolorosa.
Valeria impallidì, ma si riprese. Si portò una mano al petto, gli occhi lucidi vere lacrime o finte?

“Figlio, sai quanto amo il teatro… Non è un crimine volersi concedere un po di gioia! Non sprecavo tutto, solo…”
“Ma dicevi che servivano per

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