Il conducente dell’autobus Ikarus ha cacciato un’anziana di 80 anni che non aveva pagato il biglietto. La sua risposta è stata solo qualche riga.

Il conducente del pullman, Marco, fermò lautobus perché una nonna di ottanta anni, vestita con un vecchio cappotto logoro, non aveva il biglietto. Con voce decisa la ammonì: «Signora, non ha il biglietto. Scenda, per favore». Poi le lanciò unocchiata a chi era quasi per cadere dal manico del rubinetto, appoggiata con fatica al corrimano.

Il pullman era quasi vuoto. Fuori, la neve cadeva lenta e umida, avvolgendo Milano in un grigio crepuscolo. La signora non rispose, ma strinse più forte la sua borsa consumata la stessa che portava sempre al mercato.

«Le ho detto di scendere! Qui non è una casa di riposo!» aumentò il tono Marco.

Nel mezzo dei sedili, il tempo parve fermarsi. Alcuni passeggeri distolsero lo sguardo, fingendo di non accorgersi di nulla. Una giovane ragazza allo sportello, Fiorenza, mordeva nervosamente il labbro. Un uomo in cappotto scuro aggrottò le sopracciglia, ma rimase seduto.

La nonna, con passo lento e faticoso, si avvicinò alla porta. Ogni passo le costava unimpresa. Le porte si aprirono con uno sbattimento, e un vento gelido le sferzò il volto. Si fermò su una piccola gradinata, fissando Marco senza distogliere lo sguardo.

Poi, con voce ferma ma gentile, disse: «Ho partorito tanti come te. Con amore. E ora non mi permetti nemmeno di sedermi.»

Scese e scomparve nella neve. Il pullman rimase fermo, le porte ancora aperte. Marco si girò, come volesse nascondersi dalle proprie idee. Qualcuno nel retro del veicolo lanciò un sospiro. Fiorenza asciugò le lacrime, luomo in cappotto si alzò e si diresse verso luscita. Uno dopo laltro, i passeggeri cominciarono a scendere, lasciando i propri biglietti sui sedili.

In pochi minuti lautobus era vuoto, tranne Marco, che sedeva in silenzio, sentendo bruciare dentro di sé un tacito «mi dispiace». La nonna, invece, camminava lentamente lungo la strada innevata; la sua silhouette svaniva nelloscurità, ma ogni passo emanava dignità.

Il giorno dopo, Marco arrivò al lavoro come al solito: orario mattutino, thermos con caffè, itinerario, registro dei turni. Qualcosa però era cambiato per sempre dentro di lui. Non riusciva a scrollarsi di dosso il pensiero di quel volto: non arrabbiato, non offeso, ma semplicemente stanco. E le parole che gli rimbalzavano nella testa:

«Ho partorito tanti come te. Con amore.»

Guidava il suo percorso e, quasi senza accorgersene, osservava più attentamente i volti degli anziani alle fermate. Voleva trovarla, ma non sapeva perché: chiedere perdono? Aiutare? O semplicemente ammettere di essersi vergognato?

Passò una settimana. Una sera, verso la fine del turno, notò in una piccola piazza del centro un volto familiare una vecchietta curva, con la stessa borsa e lo stesso cappotto. Ferme il pullman, aprì la porta e scese.

«Nonna» sussurrò, «scusami. Allora ho sbagliato.»

Lei lo guardò e, allimprovviso, sorrise dolcemente, senza rancore né amarezza.

«La vita, ragazzo, ci insegna qualcosa a tutti. Limportante è saper ascoltare. E tu, per una volta, hai ascoltato.»

La fece rientrare, la mise sul sedile anteriore e le offrì una tazza di tè dalla sua thermos. Viaggiarono in silenzio, ma era un silenzio caldo, rassicurante, quasi una piccola tregua per entrambi.

Da quel giorno Marco tenne sempre qualche gettone in tasca, per chi non poteva permettersi il biglietto soprattutto per le nonne. Ogni mattina, prima di cominciare il turno, ripensava a quella frase. Divenne per lui non solo un promemoria di colpa, ma anche una lezione su come essere umano.

La primavera arrivò di soprassalto. La neve si sciolse in fretta, e alle fermate comparvero i primi mazzi di ciclamini le nonne li vendevano a tre fiori confezionati in cellophane. Marco iniziò a riconoscere i loro volti, a salutarli, a dare una mano quando dovevano alzarsi. Talvolta si limitava a sorridere, sapendo quanto quel gesto fosse importante per loro.

Ma quella prima nonna, quella che aveva cambiato tutto, non la rivide più. La cercò ogni giorno, chiedendo agli altri, descrivendola. Qualcuno gli disse che forse abitava vicino al cimitero, al di là del ponte. Così qualche weekend, senza uniforme, senza pullman, andò a passeggiare lì.

Un pomeriggio vide una crocetta di legno semplice, con una foto in una cornice ovale: gli stessi occhi. Rimase lì, immobile, mentre gli alberi frusciavano sopra di lui e il sole filtrava tra i rami.

Il mattino seguente, sul sedile anteriore del suo pullman, trovò un piccolo mazzo di ciclamini. Li strappò. Accanto, posò un cartellino di cartone che aveva ritagliato con le proprie mani:

«Spazio per chi è stato dimenticato, ma non ha dimenticato noi.»

I passeggeri lessero la scritta in silenzio; qualcuno sorrise, altri lasciò una moneta sul sedile. Marco continuò a guidare, più lento, più attento. Talvolta frenava un attimo prima, affinché una nonna potesse salire.

Perché ora capiva:

ogni nonna è la mamma di qualcuno.
ogni sorriso è un grazie nascosto.
e qualche parola può cambiare una vita.

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