…uniforme blu e il volto che riconobbi subito. Era Stefano Cristofori — il vigile del quartiere del nostro palazzo.

La divisa azzurra e quel volto che riconobbi subito. Era il maresciallo Stefano Ricci, il vigile di quartiere del nostro quartiere romano. Non era da solo: al suo fianco cera il guardiano del negozio, Lorenzo Bianchi, e la direttrice, la signora Daniela Rossi, donna con i capelli raccolti a crocchia e sguardo calmo ma determinato.

Signor fermiamoci! intonò Stefano con voce ferma ma pacata. Abbiamo ricevuto due segnalazioni di rissa in negozio. Signora, sta bene?

Annuii, sebbene non lo fosse. Le ginocchia vacillavano e mi appoggiai al bancone della farina. Lui avanzò, le braccia alzate in un gesto quasi teatrale.

Ah, ecco il dramma! sbottò. Tutti corrono a difendere la vittima! Nessuno ha visto come lei abbia lasciato cadere i panini? Io solo

Basta! lo interruppe Stefano. Ne abbiamo sentito abbastanza.

Alla mia sinistra cera la donna con il bambino, la stessa testimone di tutto. Nella mano scintillava il cellulare. Non volevo essere ripresa, ma improvvisamente capii che quello potrebbe salvarmi. Qualche secondo di registrazione, qualche parola che non avrebbero più potuto negare.

Cancellala subito! comandò, avviandosi verso di lei.

Il guardiano lo bloccò con un passo deciso, intorpidendo la sua via. La direttrice prese un respiro profondo.

Signor, uscite dal negozio o mando un altro turno. La signora è incinta, non è uno scherzo.

Misi le mani sul ventre. Il piccolo si agitava dentro di me come un uccellino spaventato. Avrei voluto gridare: non temere, mamma ti proteggerà. Ma non riuscivo a emettere suono. Guardai quelluomo e per la prima volta non vidi più il marito con cui convivevo, ma uno sconosciuto che si divertiva a umiliarmi.

Avete già tutto predisposto! sibilò. Il vigile è il tuo vicino, la donna con il telefono Che succede dopo? Unambulanza fittizia?

Allora il dolore mi trafisse improvviso, acuto, come un coltello. Caddi in due.

Acqua mormorai. Stefano mi fa male

Ambulanza! ordinò la signora Rossi, premendo il pulsante sotto il bancone. Si accomodi, signora, respiri con me inspir espiri

Lui mi osservò, il volto mutato. Per un attimo rimase immobile, poi fece un passo indietro, ancora un altro.

Non parteciperò a questo teatro, sbottò. Me ne vado.

Si girò di scatto e sbatté il carrello. Il guardiano lo accompagnò alla porta. Stefano rimase con me, si inginocchiò e posò le mani sulle mie spalle. Si chinò e, a voce bassa, mi sussurrò allorecchio:

Tranquilla. Sono qui. Non ti lascerò.

Mi agitai in silenzio. Dopo qualche minuto sentirono le sirene, poi il rintocco dellambulanza che strisciava sul pavimento. Vergogna, paura e sollievo si mescolarono in ununica emozione. Continuavo a ripetermi mentalmente: non cadere adesso, non ora.

Il pronto soccorso dellospedale San Raffaele. Una luce bianca, accecante. Linfermiera, una donna anziana dagli occhi gentili, si chiamava Paola, pose una mano sul mio braccio.

Contrazioni fasulle, disse con calma. Quello che chiamano sindrome di BraxtonHicks. Il corpo si prepara, ma lo stress che hai vissuto non è salutare né per te né per il bambino.

Annuii. Le dita stringevano il lenzuolo per non tremare. Stefano era ancora lì, appoggiato al muro. Non so come sia arrivato, ma quando incrociai il suo sguardo, mi limitai a un leggero cenno: respira.

Vuoi che chiamiamo qualcuno? chiese Paola. Madre, amica la tua compagna?

Chiusi gli occhi. La parola compagna mi trafisse. Non eravamo sposate. Lui rimandava sempre. Quando sistemerò il lavoro, quando smetteremo di spendere per fesserie. Ogni frase risuonava nella mia testa come un campanello freddo.

No, sussurrai. Non voglio che venga.

Va bene, rispose con dolcezza. È la tua decisione. Tornerò tra dieci minuti. Se piangi, piangi. È gratis.

Sorrisi tra le lacrime. Quando rimasi sola, Stefano trascinò una sedia e si sedette accanto a me.

Acqua? chiese.

Vorrei non sentirmi più una bambina, dissi a bassa voce.

Allora traccia una linea. Piccola. Lamento. No. Porta chiusa.

Lo guardai sorpreso.

Lamento

Hai testimoni, confermò Stefano annuendo. E il video. Non è vendetta. È per farti sentire al sicuro ad acquistare il pane.

Piansi di nuovo, ma stavolta le lacrime erano curative. Dieci minuti dopo Paola tornò, e respiravo serena.

Rimarrai sotto osservazione per qualche ora, disse. Ti porto qualcosa da mangiare?

Pane integrale, risposi sorridendo.

Rise.

Quella sera ero a casa. Da sola. Il cellulare vibrava incessantemente:

Dove sei?

Scusa, mi sono agitata.

Sei impazzita a chiamare la polizia?

Rispondi!

Per favore, rispondi!

Disattivai il suono. Accarezzai il ventre e sussurrai:

Imparerò.

La mattina, già le dieci, ero al pronto soccorso. Stefano non cera; mi accolse il suo collega. Una piccola stanza, odore di caffè e carta. Raccontai tutto. Firmai. Non esagerai, solo i fatti, le parole, la paura. Quando uscii, le mani erano umide, ma laria fuori mi sembrava più leggera.

Nel pomeriggio riunii qualche cosa in una borsa: documenti, due vestiti, il pigiama, una foto di mia madre. Lasciai le chiavi sul tavolo, con un biglietto:

Non venire. Ho sporto denuncia. Se mi cerchi, la Polizia ti troverà.

Non era una minaccia. Era un confine.

Bussai alla porta di fronte. Aprì subito la nonna Maria, pensionata del piano di sopra.

Posso restare un po da voi? chiedei.

Certo, tesoro, rispose, trascinandomi dentro. Mise il bollitore, tirò fuori una coperta, guardò il mio ventre e sussurrò:

Non vergognarti.

E non provai più vergogna.

Passarono tre mesi. Affittai un piccolo appartamento a Milanetto. Un pomeriggio la direttrice del negozio, la signora Daniela, suonò il campanello. Portava una busta. La pose sul tavolo senza parole: pannolini, salviettine umide e una confezione di pane integrale legata con un nastro rosso.

Unaltra volta venne la donna con il cellulare, si chiamava Ilaria. Disse che il video era stato consegnato alla Polizia e, se necessario, avrebbe testimoniato. Io sono Ilaria, disse, e ci sorridemmo, due donne che avevano attraversato la stessa tempesta.

Lui continuava a cercare di tornare. Messaggi, fiori alla porta, una volta lo vidi attendere allangolo. Ma i confini erano stati tracciati: ordine restrittivo, poi prorogato. Non scomparve, ma non poté più avvicinarsi.

Poi, in una gelida mattina di dicembre, tenevo tra le braccia la creatura più piccola e forte del mondo la mia figlia. Nacque in un pianto potente, rabbiosa verso la luce. Paola sorrise stanca:

È forte, disse. Che ti sia sana e viva.

Baciai la sua fronte. Profumava di latte e di pane caldo. Poco dopo Stefano arrivò. Non portò fiori, ma una piccola giacca da neonato e un biglietto:

Per le prime passeggiate. Se hai bisogno, bussa. Se non ne hai, portala fuori spesso.

Le settimane successive furono dure, ma vere. Notti senza sonno, il pianto del bambino, la stanchezza e la gioia. Ogni piccola vittoria era un miracolo: quando si addormentava sul mio petto, quando la portavo al parco, quando sceglievo i panini che volevo senza paura.

Una sabato mattina, dopo averla nutrite, la posai nel passeggino e uscii. Laria odorava di inverno e di fumo dei camini. Davanti al supermercato dangolo, la nonna Maria spolverava il tappeto dingresso.

Come si chiama la piccola? chiese.

Anna, risposi.

Bel nome, sorrise. Che la fortuna vi sia lieve.

Mi fermai. Guardai il supermercato allangolo lo stesso, ma diverso. La gente spingeva i carrelli, i bambini chiedevano cioccolato. Il mondo continuava a girare, come deve essere.

Il cellulare vibrò. Un breve messaggio: Voglio vederla.

Guardai lo schermo e, per la prima volta, non provai né paura né rabbia. Solo calma. Risposi in due frasi:

Parla con il mio avvocato. Ho scelto il silenzio.

Spinsi il passeggino avanti. Anna emise un suono lieve, come un colibrì.

Davanti al panificio laroma del pane caldo mi avvolse. Ricordai il giorno in cui i panini rotolavano sul pavimento, il suo riso, gli sguardi della gente. Poi le mani di Paola, lo sguardo di Stefano, la gentilezza della nonna Maria.

Imparerò, sussurrai alla figlia. Un passo alla volta. Un no. E un sì per noi due.

Entrai nella panetteria, comprai due pagnotte integrali e le stringi in mano come due piccole luci calde. Quando uscii, un raggio di sole colpì gli occhi di Anna. Mi fermai a guardarla. Era serena.

Anche io lo ero.

Finalmente.

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