Davanti all’ingresso, aspettavo una limousine nera – lucida come la notte, che rifletteva le luci di Roma. L’autista aprì la porta con un inchino.

23 ottobre

Davanti allingresso mi aspettava una limousine nera, lucente come lonice, che rifletteva le luci di Milano. Il conducente aprì la portiera con una riverenza quasi teatrale.

Ho tratto un respiro profondo. Per un attimo ho avuto la sensazione di non salire semplicemente in unauto, ma di varcare la soglia verso unesistenza completamente diversa.

Marco mi aspettava allinterno, in un completo nero impeccabile, ma con un volto privo di qualsiasi traccia di gioia.

Sei incredibile, mormorò a bassa voce. Forse anche troppo.

Anchio lo sono, risposi con calma. È solo che ora mi vedi davvero.

Il tragitto verso lantica villa di Monza fu lungo. Fuori la città si dissolse gradualmente nelle luci, mentre dal finestrino filtrava il cielo autunnale. Marco sorseggiava whisky, ma le sue mani tremavano. Non era per lalcol. Dentro di lui lottavano rabbia, paura e un sentimento sconosciuto: vergogna.

La villa scintillava come un palazzo. La facciata era avvolta da una luce calda, le fontane sussurravano, e dal cortile interno si levava una melodia. Centinaia di ospiti politici, imprenditori, attrici, personaggi dellalta società riempivano lambiente.

Io scesi dallauto. Sussurri, sguardi, disprezzo, invidia e scherno.

Chi è questa? bisbigliò qualcuno.

Una modella oppure la nuova conquista di Marco.

Marco ed io attraversammo la grande sala. Lorchestra suonava, ma la musica si spense non appena tutti gli occhi si posarono su di noi.

Sul podio cera Alessandro Crasini, con un calice di spumante in mano.

Quando vide suo figlio, il suo volto si irrigidì.

Papà, questa è Fiorenza, annunciò Marco con decisione.

Seguì un silenzio che sembrava addensare laria stessa.

Alessandro la scrutò da capo a piedi. Il vestito era impeccabile, il portamento fiero. Eppure qualcosa in lei lo turbava; era troppo autentica per quel mondo di maschere.

È questa la tua scelta? chiese con voce gelida. Introdurre una donna di servizio al mio compleanno?

Fiorenza impallidì, ma non abbassò lo sguardo.

Sì, pulisco. È il mio lavoro. Non è una vergogna. Sono venuta perché lui me lha chiesta.

Le voci nella sala si abbassarono, ma nessuno osò intervenire.

Marco fece un passo avanti.

Non parlare così a lei.

Che cosa hai detto? la voce di Alessandro si indurì. Tu, che non hai mai guadagnato neanche un euro, osavi dirmi come parlare?

Marco alzò le spalle.

Lei ha più dignità di tutti noi qui riuniti.

Un mutismo calò sulla sala. La musica cessò.

Alessandro posò il bicchiere sul tavolo.

Usciate entrambi.

Tutti lo guardarono senza mutare un passo. Fiorenza e Marco si diressero verso luscita, i loro passi echeggiavano sul marmo come battiti di cuore.

Fuori la notte era fredda e limpida. Marco rise, amaramente, quasi senza suono.

Beh, ce lho fatta. Ora non ho più un padre.

Forse è così che doveva andare, risposi. A volte bisogna perdere tutto per ritrovarsi.

Il giorno dopo il mio telefono non smise di squillare. Banche: conti bloccati. Avvocati: accesso alle casse della società revocato. Stampa: titoli sul caso dellanno. Il nome Crasini non aveva più peso.

Fiorenza era svanita. Nessuna lettera, nessuna spiegazione. Solo un foglietto sul tavolo:

«Non vendicarti. Diventa luomo che avresti voluto essere.»

I giorni divennero settimane, le settimane mesi. La cercai ovunque alluniversità, al centro, nei quartieri più antichi. Nullaltro.

Un semestre più tardi, in una tiepida giornata di primavera, lho vista davanti al centro culturale di Lodi. Con dei libri in mano, sorrideva.

Il sole illuminava il suo volto; i suoi occhi erano ancora puliti e vivaci.

Fiorenza! esclamai, senza pensarci.

Si girò.

Sei cambiato, disse con serenità. Non sei più arrabbiato.

Le porsi una busta.

Non è denaro. È un invito. Ho creato una fondazione, ho venduto le ultime azioni e ho avviato un programma per persone come te: istruzione gratuita, alloggi, sostegno. Lho chiamata Fondazione Fiorenza.

La fissò a lungo, poi sorrise.

Finalmente hai trovato un senso.

Annuii.

Da quando ti ho incontrata.

Un anno dopo, in una piccola chiesa sopra il lago di Garda, eravamo seduti uno accanto allaltro. Nessun lusso, nessun clamore. Solo candele e il profumo del pane.

Allingresso era Alessandro Crasini, pallido, stanco, ma con occhi che non erano più di ferro.

Si avvicinò a Fiorenza.

Ho sbagliato, disse a bassa voce. Ho vissuto tra vetro e cemento, ma solo ora, grazie a te, sento il calore.

Lei gli prese la mano.

Non è mai troppo tardi per imparare.

Lui annuì.

Il sole tramontò dietro le montagne, il vento si placò.

Quella sera, mentre Fiorenza mi abbracciava alla finestra della nostra piccola casa, compresi che mio padre aveva avuto ragione su una cosa sola: non conta con chi entri alla festa, ma chi resta al tuo fianco quando la musica si spegne. Questo è il vero insegnamento che porto con me.

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

ten − five =

Davanti all’ingresso, aspettavo una limousine nera – lucida come la notte, che rifletteva le luci di Roma. L’autista aprì la porta con un inchino.