Diario personale di Giulia, 12 maggio
Rifletto spesso su come sia cambiata la mia vita da quando mi sono sposata. Mi chiamo Giulia, e sono cresciuta in un orfanotrofio a Firenze. Non ho mai conosciuto laffetto di una famiglia vera, quindi quando a diciotto anni ho sposato Lorenzo, ero completamente inesperta riguardo a cosa significasse essere moglie o far parte di una famiglia italiana tradizionale. Non avevo amiche sposate da cui imparare, così appena ho messo piede nella casa di mio marito, ho iniziato ad assorbire avidamente ogni consiglio che potesse rendermi una moglie perfetta. Il mio riferimento principale? La mamma di Lorenzo, la mia suocera, la signora Rosalia.
Sapevo bene, dai racconti sentiti qua e là, che spesso le suocere possono essere fonte di guai e dolori. Nonostante tutto, io speravo che nel mio caso sarebbe stato diverso, che Rosalia sarebbe diventata la madre che non avevo mai avuto. In fondo, un po di bene me ne voleva davvero, ma a modo suo. Con entusiasmo, iniziò ad istruirmi sulle regole antiche della vita familiare. Ricordo ancora una sua frase che mi ha gelato il sangue: Se un marito tradisce, la colpa è sempre della moglie.
Ma perché mai? Ho sempre creduto che la responsabilità fosse di chi sceglie di tradire. Invece Rosalia mi assicurava che, se un uomo si allontana, è perché la moglie si è trascurata, non è più attraente ai suoi occhi. Così mi raccomandava di mantenere la linea sottile, pure in vecchiaia; ho annotato nel mio quaderno: Non ingrassare e mi sono iscritta in palestra.
Ero già magra e in forma, ma la paura di non essere abbastanza mi spingeva a stare ancora più attenta. Superata quella lezione, Rosalia ne aveva pronta subito unaltra: In una vera famiglia italiana, lavorano tutti, nessuno escluso.
Non lho contraddetta, anzi, anche io desideravo lavorare, qualunque cosa pur di dare il mio contributo. Le chiesi come avrei potuto gestire la maternità e il lavoro; lei, fredda, mi rispose: Il congedo maternità è un tuo problema, te la devi cavare da sola!
Non lho scritta sul mio quaderno, ma qualche anno dopo, quando mi sono fermata per maternità, mi sono ingegnata a trovare un lavoretto part-time come babysitter. Mi accontentavo, ma Rosalia e perfino Lorenzo hanno iniziato a lamentarsi che portavo a casa solo pochi euro al mese.
Pensavo di potermi concedere una piccola soddisfazione, magari il parrucchiere, ma ecco lennesimo prezioso consiglio della suocera: Quando sei a casa in maternità, non ha senso truccarsi e sistemarsi! Risparmia! Avrai tempo per sistemarti quando tornerai a lavorare fuori.
Così, ogni euro guadagnato lo passavo a Lorenzo. In ogni momento della mia vita matrimoniale risuonavano le massime di Rosalia: Una brava donna di casa fa tutto con le sue mani!
Ho seguito alla lettera anche questa. Facevo tutto da sola, tornavo a letto sfinita, spesso svenivo dalla stanchezza. Dopo aver addormentato i bambini alle nove di sera, iniziavo a pulire e a preparare il pranzo per il giorno seguente. Lorenzo intanto, dopo la decima pennichella del giorno perché lui lavorava e doveva riposarsi, nemmeno se ne accorgeva.
Era inevitabile che finissi in ospedale. Non ascoltavo i segnali del mio corpo: ignoravo i dolori, convinta che dovessi resistere. Sono rimasta ricoverata quasi tre settimane. Nessuno è venuto a trovarmi. Né Lorenzo, né Rosalia. Per fortuna avevo il telefono con me e una vera amica, Carlotta, che mi ha portato i cambi e tutto lindispensabile.
Quando sono uscita dallospedale, non ho avuto più dubbi. Sono andata direttamente allufficio statale a depositare le carte per la separazione. Col senno di poi, mi rendo conto: non solo ho perso mio marito, ma stavo perdendo anche me stessa.






