Lascia che questa sera sia l’ultima, la trascorrerà splendidamente. Guarderà il suo amore, le augurerà una lunga vita. E poi si rannicchierà vicino alla sua finestra e si perderà nei suoi sogni, per non tornare mai più…

Che quella sera sia lultima, che la trascorra con dignità. Osserverà la sua amata, le augurerà una vita lunga. Poi si accoccolerà vicino alla sua finestra e si perderà nei sogni, per non tornare più

Tre inverni ha sopportato, senza esagerare: per un gatto di strada è quasi un prodigio. Pochi felini riescono a vivere così a lungo nei vicoli di una città italiana.

Nacque in una casetta modesta, al fianco di una madre gatta, la dolce Mimì, che non temeva gli esseri umani. Ma il destino gli cambiò il corso in un batter docchio.

I proprietari persero la vita in un incidente, e il loro figlio adulto, un uomo burbero di nome Marco, che odiava i gatti e aveva un cane da guardia feroce, decise di liberarsi degli invitati indesiderati. Senza pensarci troppo, cacciò tutta la famiglia felina fuori dal giardino.

Il primo inverno fu una tragedia: nessuno sopravvisse né la madre, né i fratelli, né le sorelle. Alcuni morirono di fame, altri congelarono, altri finirono vittime di cani o di auto. Soltanto uno restò vivo: un piccolo ragnatela arancione, chiamato Ruggiero.

Lo trovò il custode del condominio, il signor Luigi. Raccogliere è una parola forte: il signor Luigi notò il minuscolo mucchietto di pelliccia, lo tolse dalla madre, lo portò in una cantina e lo sistemò accanto a un tubo di riscaldamento. Là lo nutrì per tutta la stagione fredda.

Così Ruggiero rimase in vita.

Nessuno gli diede un nome. Guardando fuori dalla finestra rotta della cantina, scivolava fuori e imparava da solo larte della sopravvivenza da randagio: stare lontano dai cani, nascondersi dagli umani, frugare i cassonetti e ingannare la fame.

Il secondo inverno lo affrontò da solo. Il custode fu licenziato per aver bevuto troppo; al suo posto arrivò un uomo severo, che non gli diede più cibo, ma almeno non gli sbatté la porta. Quella piccola tregua bastò: Ruggiero trascorse di nuovo linverno nella cantina, imparando a lottare per un boccone e per la vita.

Il terzo inverno fu il più spietato. Tutte le finestre della cantina furono chiuse. Dove poteva andare? Dove nascondersi dalle notti gelide?

Cercò un nuovo rifugio. Le cantine erano chiuse, ma in un cortile scoprì una fossa dimenticata, scavata tempo fa per una tubatura termica. I tubi caldi spuntavano dalla terra, e la fossa era coperta da un fitto cespuglio che nessuno notava.

Ruggiero riempì il buco di stracci, vecchi pezzi di vestito, creando un nido improvvisato. Le balconate sovrastanti proteggevano la neve, anche se il calore dei tubi scioglieva il ghiaccio, facendo gocciolare umidità fin dentro le ossa.

Superò linverno, ma ne uscì quasi un fantasma: scheletro di pelliccia, occhi sempre vigili. Nella cultura dei randagi, linvecchiamento avviene presto, e lui era già considerato un vecchio. Il cibo arrivava solo in miserabili avanzi.

Poi la fossa fu scoperta. Prima dei primi acquazzoni autunnali, qualcuno la notò e decise di riempirla.

Ruggiero, come sempre, si mise a dormire accanto al tubo caldo, e vide la terra appena smossa. Si sedette di fronte a un piccolo tumulo e guardò a lungo. Quella era la sua condanna, lultimo posto disponibile; gli altri rifugi erano già occupati da altri gatti di strada.

Si accoccolò in una palude di foglie bagnate, tremava dal freddo ma non cedette. Fu in quello stato di limine che si innamorò.

Sì, è vero, non scherzo. Si innamorò di Ginevra, una gatta dal manto curato che viveva in un appartamento al primo piano di un palazzo di via Garibaldi. Amava stare sul davanzale a osservare la strada. Ruggiero la guardava da sotto, e dentro di lui, tra il gelo, qualcosa si scaldava.

Un giorno trovò il coraggio: scalò un albero, saltò sul grande marciapiede metallico sotto la finestra di Ginevra. Quel marciapiede era stato usato un tempo per custodire provviste in inverno, ora era vuoto. Da lì, Ruggiero iniziò a venire più spesso, a sedersi e a fissare la gatta attraverso il vetro, sospirando.

Non chiedeva nulla, solo ammirava. A volte Ginevra scendeva verso la ciotola del cibo, e lui inghiottiva la saliva, non per invidia, ma per il vuoto animale che sentiva dentro.

Decise che, se il destino lo avesse portato via in quellinverno, sarebbe stato lì, accanto alla sua finestra. Si sarebbe avvolto in una palla, la guarderebbe e se ne sarebbe andato non con paura, ma avvolto dal calore del suo amore.

Immaginava la scena: un gatto arancione, magro, che muore silenzioso sul davanzale preferito.

Una volta Ginevra lo notò e urlò agitata. Lui scappò, poi tornò. E tornò ancora.

Un uomo, il marito di Ginevra, lo vide e non lo cacciò via. Guardò negli occhi del gatto e vide speranza, dolore, stanchezza e adorazione per la loro gatta domestica. Non poté scacciarlo.

Anzi, iniziò a lasciargli di nascosto un pezzetto di carne, una salsiccia, un trancio di prosciutto. Un giorno luomo si avvicinò al vetro e Ruggiero, tremante, sollevò la zampa, sfiorò il vetro e miagolò.

Ginevra guardò prima luomo, poi il gatto. Nei suoi occhi cera sorpresa.

Lo sai sussurrò luomo è contraria a un altro gatto. Ho chiesto di adottare un cucciolo, ma lei ha rifiutato.

Ruggiero capì e non si sentì offeso. La casa era per i gatti di razza, puliti, giovani, affettuosi.

Quella sera il freddo era pungente. Bagnato, gelato, Ruggiero comprese che non aveva più senso. Niente più foglie, né angoli da cercare, né eterni sforzi per sopravvivere.

Se la fine è inevitabile, che sia qui, accanto al vetro da cui Ginevra guarda il suo piccolo miracolo.

Decise che quella notte sarebbe stata lultima. Avrebbe guardato unultima volta la sua amata, miagolato qualcosa di dolce, come un augurio di felicità e lunga vita, poi se ne sarebbe andato. Prima avrebbe finito lultimo boccone che luomo gli aveva lasciato; quando Ginevra si ritirasse nel suo nido caldo, lui si sarebbe annodato in una palla al freddo vetro, e sarebbe volato verso un sonno senza fame né gelo.

La neve iniziò a cadere improvvisa, e Ginevra osservava divertita i fiocchi che danzavano contro il vetro, posandosi sul dorso di Ruggiero. Il suo sguardo si illuminava al ritmo delle piccole corone di neve. Non sapeva che quella bellezza lo uccideva lentamente, dietro al ghiaccio del vetro. Ignorava il freddo, langoscia di gelare dentro.

Nel frattempo, Ruggiero si induriva sempre di più. Lultima salsiccia gli dava un flebile calore, ma svaniva con le ultime forze. Il vento lo flagellava, il gelo gli infilava le ossa, e persino stare in piedi divenne un peso. Guardava ancora Ginevra, ma capì che non avrebbe potuto resistere a lungo.

Si preparò a quel congedo come se fosse levento più importante della sua vita. Voleva andar via con grazia: un ultimo sguardo, un miagolio gentile, un desiderio di anni sereni per lei. Il piano era semplice: finire lultimo spuntino, attendere che Ginevra rientrasse nella sua casa, e poi, rannicchiato al freddo vetro, scivolare nei propri sogni, da cui non si ritorna più.

La neve scendeva fitta, e Ginevra, rannicchiata sul davanzale caldo, guardava incantata quel lento valzer di fiocchi. Le piaceva vedere la neve posarsi sul dorso del suo ammiratore arancione, quasi fosse un gioco. Non capiva che quel quadro di bellezza celava una morte. Non sapeva che la strada poteva essere così crudele.

Ruggiero, fuori, si induriva sempre di più. Lultima salsiccia, mangiata ore prima, lasciava un flebile tepore che svaniva. Ogni respiro era più pesante, le zampe si intorpidivano, la coda si induriva dal gelo. Guardava ancora Ginevra, ma il corpo lo tradiva.

Ginevra continuava a osservare quel misterioso ammiratore, mentre lui non riusciva più a stare in piedi. Il suo sguardo si chiuse per lultima volta, lo fissò, e con il naso gelato sfiorò il vetro. Si acciuffò in una piccola palla.

Il suo corpo tremava. Il freddo gli rosicchiava ogni osso. Tentò di respirare con più forza, come a creare un ultimo granello di calore, ma il gelo era più forte. Un senso strano lo avvolse: non sentiva più il freddo. Una sonnolenza dolce lo avvolse come una coperta. Decise di non lottare più. Il finale era vicino.

Aprì gli occhi unultima volta e vide Ginevra. Quella per cui aveva scalato il marciapiede, per cui aveva combattuto ogni giorno. Che bello, pensò. Quale morte più leggera?

La testa si abbassò, gli occhi si chiusero. Immaginò una finestra che si apriva, mani gentili che lo sollevavano, accarezzavano, sussurravano parole tenere. Accanto a lui cera Ginevra, e insieme andavano verso una ciotola di cibo caldo.

Che sogno meraviglioso, pensò.

Ginevra continuava a fissare il manto bianco che si posava sul suo ammiratore. Miagolò, un suono incerto, quasi una domanda, poi colpì il vetro con la zampa. Nessuna risposta. Miagolò di nuovo, più forte. Poi colpì con forza, come a chiedere: Perché non rispondi?.

Il gelo era ormai dentro di lui. Non sentiva più nulla. Il silenzio lo inghiottì.

La neve trasformò il suo corpo in un cumulo bianco, una coperta di freddo.

Una voce femminile, irritata, gridò: Che sta facendo? Guarda la neve!. Il marito si alzò dal divano, guardò il vetro. Ginevra stava ancora battendo le zampe contro il vetro. Allora, come se avesse avuto un lampo di intuizione, ricordò gli occhi di Ginevra e gli occhi di Ruggiero.

Scattò, aprì la finestra, lasciò entrare neve e vento.

Chiudi!, urlò la moglie, ma luomo non sentiva. Ginevra saltava, miagolava.

Luomo afferrò un piccolo cumulo di neve, lo prese in mano e lo portò al bagno. Ginevra lo seguì, la moglie dietro di loro.

Nel bagno, luomo spruzzò acqua tiepida sul gatto arancione, cercando di scaldarlo. Ginevra si accoccolò sul bordo della vasca, guardava il suo volto, piangeva come solo i gatti sanno fare.

Faccio quello che posso mormorò luomo, massaggiando il petto del gatto, cercando di restituirgli il respiro. La moglie rimase sulla soglia, in silenzio.

Continuò a riscaldarlo, a massaggiarlo, a pregare: Per favore, torna.

Ginevra miagolava con lui.

Allimprovviso, una voce lontana lo chiamava, come se provenisse da un altro mondo. Perché tornare lì, dove cè dolore? si chiese. Ma poi sentì la voce di Ginevra, quella che lo aveva spinto a vivere ogni giorno. Devo vedere ancora una volta.

Le palpebre si aprirono lentamente, pesanti come pietre. Vedeva luomo rosso di emozione, Ginevra accanto a lui, viva, gli occhi pieni di gioia.

È qui! gridò luomo, stringendo il gatto bagnato al petto.

Ginevra saltò, corse intorno a lui, miagolava felice. Luomo corse verso la moglie, gridò: Asciuga! Asciuga! Asciuga subito!. Lo asciugarono con asciugamani morbidi, lo asciugarono con il phon, gli sussurrarono parole dolci. Ruggiero era confuso, non sapeva se fosse un sogno. Ginevra gli sfiorava il muso, gli leccava la faccia.

Luomo, incredulo, disse: Non può essere vero, è troppo bello. Poi la moglie gli versò del latte caldo. Ruggiero lo bevve, una ondata di calore gli attraversò la gola, tossì, poi lo afferrò con le zampe e iniziò a leccare con avidità.

Vivrà affermò luomo con sicurezza.

Ginevra si accoccolò sul suo fianco.

Come si chiama? chiese la moglie.

Come si chiama? sorrise luomo. Si chiama Amore. Proprio così, Amore.

Ginevra miagolò, confermando.

Ora Amore vive in quellappartamento. Il suo pelo brilla, la coda è soffice e regale, gli occhi sono calmi e grati.

Entrambi siedono sul davanzale e guardano la strada. Amore ricorda il freddo dellaltro lato del vetro; a volte sospira. Ginevra tocca la sua spalla, come a dire: Ora sei a casa. Ora sei nostro.

Sotto, continuano a correre i gatti che non sono stati accolti dentro; sperano ancora di sopravvivere a questinverno.

Sperano

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