Il marito pensava che non sapessi della sua seconda famiglia e rimase stupefatto quando mi presentai al diploma di sua figlia.

Il marito credeva che non sapessi nulla della sua seconda famiglia e rimase sbalordito quando mi presentai al diploma della figlia di lui.

Ma siete seri? esclamò una signora in giubbotto imbottito, indicandomi col dito una pagnotta sul banco del panificio.

La commessa, stanca, con gli occhi spenti, sospirò:

Signora, è pane fresco di stamattina, è appena arrivato.

Non mi vendete fumo! Vedo la crosta secca!

Io, Irene, ero in fila dietro a quella cliente irrequieta, con la testa piena di cose da fare. Dovevo comprare il cibo, passare in tintoria, ritirare l’abito quello blu scuro, rigido, che mi sarebbe servito il giorno dopo per il diploma.

Non per la figlia di mio marito, perché io non avevo figli. Era il diploma della figlia di lui, nata da unaltra donna.

Signorina, desidera qualcosaltro? chiese la commessa, attendendo.

Scusi, prendo questi panini e un litro di latte.

Pagai, uscii dal negozio. La pioggia fine e grigia mi colpì appena varcata la soglia. Aprii lombrello e mi avviai verso la fermata. Nella borsa avevo un foglietto con lindirizzo della scuola, imparato a memoria ma sempre tenuto con me come un talismano.

Avevo scoperto la seconda famiglia di Sergio per caso, anche se da tempo nutrivo sospetti sottili: le sue frequenti ore di lavoro, i viaggi di lavoro improvvisi, il cellulare dimenticato a casa, i momenti in cui si agitava quando, per caso, lo prendevo in mano. Lo attribuivo al suo mestiere di architetto di successo, con progetti imponenti, incontri e trattative. Non volevo essere la moglie che fa scenate o controlla le tasche.

Semestre fa, però, tutto cambiò. Sergio dimenticò a casa una cartella di documenti e, al telefono, mi chiese di portargliela. Lindirizzo era dallaltra parte della città, non nel centro dove di solito si trovava il suo ufficio. Accettai, curioso.

Arrivai a un palazzo di mattoni, un condominio di nove piani. Suonai il campanello, mi presentai a Sergio. Uscì un minuto dopo, con laspetto smarrito, quasi spaventato. Prese la cartella, mi ringraziò frettolosamente e si affrettò a guidarmi allauto.

Ma notai, nella finestra del secondo piano, una donna che ci osservava. Il viso pallido, teso, molto giovane.

Sergio, chi è? chiesi indicando la finestra.

Sergio non si voltò.

Chi? Non lo so. Andiamo, ho ancora un incontro.

Correva, agitato. Rientrai a casa, ma la figura nella finestra non mi lasciò.

Quella sera, quando Sergio dormì, presi il suo telefono. Il PIN era la data del nostro matrimonio, che non aveva mai cambiato. Aprii i messaggi, scorrendo i contatti finché comparve il nome Lidia. La conversazione era cancellata, ma negli ultimi scambi vidi una frase: Alessia è preoccupata perché non arriverò al colloquio dei genitori.

Alessia. Il nome mi fece gelare il sangue. Sergio aveva una figlia. E una donna di nome Lidia.

Rimisi il telefono al suo posto e rimasi sveglia a fissare il soffitto fino allalba, chiedendomi cosa fare: provocare una lite, andarmene, tacere?

Al mattino preparai la colazione. Sergio, ancora in accappatoio, capelli scompigliati, mi diede un bacio sulla corona e si sedette.

Come hai dormito? chiese.

Bene, risposi, mentendo.

Non alzai la voce, osservarono solo. Sergio continuò la sua vita: tornava la sera, raccontava del lavoro, guardava la TV. A volte partiva per fine settimana in viaggio daffari, e io annuivi senza discutere.

Nel frattempo, cercai Lidia sui social. Era giovane, capelli biondi, bello. Il suo profilo mostrava foto di una ragazzina adolescente, Alessia, con gli occhi grigi di Sergio e il mento deciso. Guardare quelle immagini suscitò in me una strana mescolanza di dolore e curiosità. Quella era la figlia della sua seconda vita, probabilmente quindici anni, forse più.

Ciò significava che Sergio tradiva fin dallinizio del nostro matrimonio di diciotto anni. Aveva una famiglia parallela, col figlio, e si faceva alloccorso di visitarla, aiutare, partecipare alla vita quotidiana. Io, al contrario, vivevo nellignoranza, credendo di essere la moglie felice, amata.

Continuai a monitorare la pagina di Lidia. Pubblicava foto di Alessia a scuola, al primo di settembre, al suo compleanno, con premi per le gare di matematica. Recentemente, Lidia aveva scritto: La mia bambina si diploma! Festeggiamo il giorno dopo! Sono così orgogliosa!.

Il diploma. Alessia aveva diciassette anni. Sergio sicuramente avrebbe voluto esserci. Come avrei potuto perdere quellevento? Decisi di andare anchio, al diploma della figlia di mio marito, per guardarlo negli occhi e fargli capire che il segreto era ormai fuori.

Quella sera, a cena, Sergio disse:

Iri, domani rimarrò fuori. Ho un incontro importante con un cliente, potrei persino dover pernottare in hotel.

Io annuii.

Va bene, non preoccuparti.

Lui mi guardò con gratitudine, ingenuo, pensando che credessi ancora nella sua versione.

Rimasi in silenzio, finii linsalata, mi alzai per lavare i piatti. Sergio mi abbracciò da dietro.

Sei la moglie più comprensiva del mondo, sussurrò.

Non risposi, ma sentii le sue braccia sulla vita e pensai che tutto stava per cambiare, per sempre.

Il giorno del diploma mi alzai presto, feci visita al parrucchiere, mi feci una sistemata leggera, truccai i lineamenti, indossai quel vestito blu, tacchi, e mi guardai allo specchio. Quarantadue anni, non più giovane, ma ancora gradevole. I capelli grigi coperti da una tinta, una leggera patina di fondotinta copriva le rughe.

Presi un mazzo di rose bianche, già comprate, chiamai un taxi e indicai lindirizzo della scuola. Mentre il veicolo avanzava, ripetevo mentalmente cosa avrei detto a Sergio, a Lidia, a Alessia.

Arrivai alla scuola verso le sei e mezza, il diploma era fissato per le sette. Genitori si accalcavano allingresso, alcuni scattavano foto, altri chiacchieravano. Mi posizionai di lato, osservando.

Allimprovviso lo vidi: Sergio, al portico, accanto a Lidia, una donna dai capelli sciolti e vestita di bianco, più giovane di me di almeno dieci anni. Rideva, aggiustandogli il colletto. Sembravano una coppia, un marito e una moglie al diploma della figlia.

Feci un passo, poi un altro. Sergio si voltò, guardandomi. Allinizio il suo sguardo fu confuso, poi si impallidì.

Irene? esalò.

Lidia si girò, notò me, fece un passo indietro.

Mi avvicinai, mi fermai a pochi metri da loro e sorrisi.

Ciao, Sergio. Che incontro inaspettato.

Che ci fai qui? balbettò, la voce tremante.

Sono venuta a congratularmi con tua figlia per il diploma. È un giorno importante, non si può mancare.

Sergio aprì bocca, la chiuse. Lidia rimase immobile, pallida.

Tu sei Lidia, vero? dissi rivolgendo lo sguardo a lei. Piacere, sono Irene, la moglie di Sergio.

Lidia annuì appena.

Sì, lo so, mormorò. Ho scoperto tutto da poco.

E io ne ho appena saputo della tua bambina, replicai. Sergio ha cercato di nasconderlo, ma il segreto è ormai fuori.

Sergio tentò di afferrarmi la mano, ma mi allontanai.

Perché non sei qui, a casa? chiese.

Perché è il suo diploma, e io devo vederlo.

Allora uscì una ragazza alta, slanciata, in un vestito bianco, capelli raccolti, col girocollo di perle: era Alessia. Vedeva i genitori e, felice, corse verso loro.

Mamma, papà, siete qui! esclamò.

Abbracciò prima Lidia, poi Sergio. Questultimo la strinse, ma i suoi occhi cercarono me. Alessia la fissò curiosa.

Chi è questa? chiese.

Ciao, Alessia, sono Irene, tua… moglie. dissi, porgendole il mazzo di rose.

Alessia prese i fiori, li guardò perplessa.

Sei… amica di mamma? incagliò.

No, sono tua padre la sua moglie. risposi, cercando di non piangere.

Il silenzio cadde pesante. Alessia guardò suo padre, poi Lidia, poi me.

Papà, è vero? urlò, con la voce rotta. Hai una seconda famiglia?

Sergio rimase immobile, Lidia crollò in lacrime. Intorno la gente iniziò a mormorare, a guardare.

È vero, disse Sergio, con voce rotta. Ho sbagliato.

Allora perché ci hai mentito per tutti questi anni? chiese Alessia.

Il suo dolore era un colpo al cuore.

Io alzai la voce, ma senza rabbia, solo con decisione:

Sergio, ho capito tutto. Domani farò domanda di divorzio, prenderò le mie cose e me ne andrò. Non tornerò più in questa casa, né con te né con Lidia.

Sergio balbettò:

Irene, aspetta!

Io non mi fermai, uscii dalla scuola, mi fermai al taxi, asciugai le lacrime con un fazzoletto, non per il dolore ma per la liberazione.

Il tassista mi chiese se stavo bene.

Sto benissimo, risposi, sorridendo. Per la prima volta da molto tempo.

Ritornai a casa, cambiandomi, sedetti in cucina, preparai un tè, guardai fuori dalla finestra. Il telefono squillò, era Sergio che chiedeva scusa, voleva incontrarmi. Non risposi.

Nei giorni seguenti presi solo pochi vestiti, documenti, foto, gli oggetti indispensabili. Lappartamento era stato comprato con i soldi di Sergio; lo lasciavo lì, con Lidia, se voleva.

Andai a trovare lamica Sofia, che mi accolse a braccia aperte.

Irene, sei una forza! esclamò. Che coraggio, andare al diploma!

Volevo solo vedere il suo volto, risposi. Volevo fargli capire che non sono una sciocca.

E ora?

Ora è divorzio. Nuova vita. Ho quarantadue anni, non sono una vecchia. Vivrò per me.

Sofia mi abbracciò.

Passarono mesi. Il divorzio fu rapido; Sergio non opponeva resistenza, forse per colpa. Trovai un lavoro nuovo, affittai un piccolo appartamento, cominciai lezioni di yoga e un corso di lingua spagnola. Vivevo finalmente per me stessa.

Un giorno incontrai Lidia al supermercato. Portava la spesa, si fermò vedendo me.

Lidia, aspetta, dissi.

Lei mi guardò, il volto teso.

Non ho nulla da dirti, rispose.

Come sta Alessia?

È alluniversità, vuole diventare medico, ma non vuole più avere a che fare con suo padre.

Capisco, è dura per tutti noi. dissi. Anchio ho sofferto, ma non porto rancore.

Lidia abbassò lo sguardo, le lacrime le rigavano le guance.

Ho atteso diciassette anni, promesse vuote sussurrò.

Anche noi siamo state inganne. dissi, con un sorriso triste. Ma possiamo andare avanti.

Ci salutammo, entrambe libere, ma segnate da un uomo che aveva vissuto due vite.

Continuai a camminare per le strade di Roma, pensando a Sergio. Dove fosse, cosa pensasse? Probabilmente non si pentiva, o forse cercava una nuova vittima. Ma non mi avrebbe più ingannato.

Un anno dopo incontrai Andrea, un uomo gentile, onesto, senza segreti. Ci frequentammo piano, imparando a fidarci di nuovo. Una sera, passeggiando al Parco degli Acquedotti, mi chiese:

Irene, rimpiangi di essere andata al diploma?

Riflettetti.

No, ho fatto quello che dovevo. Ho svelato la menzogna. È stato doloroso per tutti, ma è stato giusto.

Molti avrebbero taciuto, sarebbero scappati, osservò Andrea.

Io non sono una di loro. Volevo solo che lui sapesse che non sono più una sciocca. Non lo perdonerò, ma mi perdono.

Andrea mi strinse.

Sei forte, lo ammiro.

Per la prima volta da anni, mi sentii serena. Avevo perdonato Sergio non per lui, ma per me. Avevo chiuso quel capitolo, pagato il conto, anche se tardivo.

Ora vivo una vita onesta, aperta, con qualcuno di cui mi fido. Il diploma di Alessia è stato il punto di rottura, la fine di una vita e linizio di unaltra. A volte è necessario passare attraverso il dolore per liberarsi, per vedere la verità, per perdere e ritrovare.

Io ho ritrovato me stessa, la mia felicità, e non tornerei mai indietro a quella vita di cieca fiducia. Ora guardo avanti, chiara, senza rimpianti.

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