Dimenticare del tutto non sono riuscito Ogni giorno Paolo tornava dal lavoro a casa in metropolitana, poi prendeva l’autobus e finalmente arrivava: un’ora abbondante tra andata e ritorno. La macchina restava parcheggiata più spesso di quanto la usasse: a Roma la mattina e la sera traffico alle stelle, preferiva la metro per praticità. Circa due anni fa la sua vita matrimoniale cambiò, lui e la moglie si separarono. La figlia rimase con la madre, allora aveva diciassette anni. La separazione fu tranquilla e senza litigi perché Paolo era così, non amava gli scontri. Da tempo si era accorto che la moglie stava cambiando, e non in meglio: sbalzi d’umore, uscite misteriose, ritorni tardivi con la scusa di un’amica. Quando Paolo chiese spiegazioni: – Dove vai sempre fino a tardi? Le donne normali a quest’ora stanno a casa. – Non è affare tuo. Quelle donne normali sono galline. Io sono diversa, sono sveglia e socievole, in casa mi sento stretta. E non sono una campagnola come te. Sei nato in campagna, da lì non ti sei mai staccato. – Allora perché hai sposato un contadino? – Ho scelto il male minore tra due mali – ribatté lei, e chiuse la conversazione. Poi lei chiese il divorzio, buttando Paolo fuori casa: lui fu costretto a prendere in affitto un appartamento. Ormai si era abituato e non pensava a risposarsi, ma era comunque “in cerca”. Paolo si trovava in metro e, come tutti, non sprecava il tempo del viaggio: immerso nel cellulare, scorreva i social, leggeva notizie, barzellette, video brevi. Scorrendo oltre, all’improvviso ebbe una scossa, tornò indietro e fissò lo schermo, leggeva un annuncio. – Maria, guaritrice popolare, cure a base di erbe. Dal cellulare lo guardava il volto della sua prima cotta. Un amore mai corrisposto, forse addirittura impossibile. La prima cotta: un ricordo indelebile. Ricordava bene quella ragazzina della loro classe, un po’ strana ma bellissima. Quasi si dimenticò la sua fermata e scese velocemente, uscì dalla metro e decise di tornare a casa a piedi, senza aspettare l’autobus: aveva bisogno di camminare. Arrivato, lasciò la giacca nell’ingresso e si sedette lì, su uno sgabello basso, senza neppure accendere la luce, perso a fissare lo schermo. Poi si alzò di scatto, segnò il numero di telefono dell’annuncio quando il cellulare lo avvertì: batteria quasi scarica. Mise in carica il telefono, pensò di cenare ma non aveva appetito. Spiluccò qualcosa poi si buttò sul divano, travolto dai ricordi. Dalla prima elementare Maria si era sempre distinta: timida e riservata, con una lunga treccia, la divisa alla scuola scendeva sotto al ginocchio, non come le altre ragazze. Il loro paesino era talmente piccolo che tutti si conoscevano. Ma di lei nessuno aveva notizie. Viveva con i nonni in una casetta fuori dal paese, vicino al bosco: una casa bellissima e insolita, piena di decorazioni. Quando Paolo vide quella ragazzina, si innamorò, da bambino, ma secondo lui era un amore serio. Aveva qualcosa di speciale. Sempre con il fazzoletto in testa, uno zainetto ricamato – poi avrebbe capito, cucito a mano. Invece del solito “ciao”, salutava con un formale “buona salute”. Sembrava uscita da una favola antica. Mai urlava o si buttava nei giochi durante l’intervallo, sempre gentile e composta. Un giorno Maria non venne a scuola, i compagni andarono a trovarla dopo le lezioni, Paolo era con loro. Uscirono dal paese, svoltarono e si ritrovarono davanti alla casa speciale: sembrava di entrare in una fiaba. – Sembra ci sia un sacco di gente – disse una delle ragazze. Si avvicinarono e capirono: c’era un funerale. Era morta la nonna di Maria. Lei stava lì, col fazzoletto in testa, asciugandosi le lacrime, accanto al nonno. Lui guardava fisso davanti a sé. Tutti seguirono la processione fino al cimitero, poi furono invitati al rinfresco in casa. Paolo non dimenticò quella giornata: era la prima volta che assisteva a un funerale. Maria tornò a scuola dopo due giorni. Gli anni passarono, le ragazze si facevano belle e alla moda, Maria invece rimaneva composta, senza trucco, con le gote naturalmente rosse. I ragazzi iniziarono a corteggiare le compagne, così Paolo tentò con Maria. Per tanto tempo lei non rispose. Alla fine del terzo anno delle superiori, si fece coraggio: – Posso accompagnarti a casa da scuola? Maria lo guardò seria, sussurrò per non farsi sentire: – Sono già promessa, Paolo. Da noi si usa così. Paolo rimase deluso, ma non capì davvero che tradizione fosse quella, né chi fossero. Solo più tardi seppe che i nonni di Maria erano vecchi credenti. I suoi genitori erano morti da tempo, per questo la crescevano loro. Maria era bravissima a scuola, senza sorprese. Mai indossava gioielli come le altre. Ovviamente le compagne mormoravano, ma lei non se ne curava e rimaneva dignitosa. Ogni anno diventava più bella: all’ultimo anno era ormai una vera signora, elegante e in forma. I ragazzi la ammiravano di nascosto, nessuno la prendeva in giro. Dopo la maturità, i compagni andarono per le loro strade, Paolo si trasferì a Roma per l’università. Di Maria non seppe più nulla, solo che era sposata. Tornare in paese era ormai raro. L’estate la passava con il gruppo universitario di lavoro. Maria sposò il ragazzo cui era stata promessa e si trasferì nel suo paese. Conduceva la vita di una donna di campagna, nel verde, tra mucche e fieno, faccende domestiche e lavori agricoli. Ebbe un figlio. Nessuno dei compagni la vide più. – Ecco che fa Maria – pensava Paolo – cura con le erbe. Interessante. È diventata ancora più bella. Fece fatica ad addormentarsi, la mattina dopo si svegliò e si mise in viaggio per andare al lavoro. Il passato non gli dava tregua: la bella Maria era davanti ai suoi occhi. – Eh, il primo amore rimane nel cuore, non si dimentica mai – pensava. Il primo amore non si dimentica, scuote il cuore; Passarono diversi giorni, viveva come in un sogno finché non resistette più e le scrisse. – Ciao Maria. – Buona salute – rispose, sempre fedele a se stessa. – Serve qualcosa o ti senti poco bene? – Maria, sono Paolo, un tuo compagno di scuola: ricordi, sedevamo anche nello stesso banco? Ti ho vista su internet e mi è venuto in mente di scriverti. – Certo che ti ricordo, Paolo, eri quello che studiava meglio fra i ragazzi. – Maria, qui c’è il tuo telefono: posso chiamarti? – chiese timido. – Certo, chiamami quando vuoi. La sera dopo il lavoro chiamò. Si raccontarono dove vivevano. – Io sono a Roma, lavoro qui – disse. – Raccontami tu, Maria, com’è la tua famiglia, è grande? Il marito è bravo? Dove vivi? – Vivo nella mia casa, quella fuori paese da cui andavo a scuola, la conosci. Sono tornata, dopo che mio marito è morto. Un orso nel bosco… Pure il nonno è mancato da tempo. – Mi dispiace, Maria, non lo sapevo… – Non fa niente, è passato tanto tempo, ormai ho fatto pace col passato. E tu non c’entri. Tu chiami solo per parlare o cerchi la guaritrice? Do consigli a volte… – Solo per parlare. Non mi servono erbe, ti ho vista e mi sono tornati in mente tanti ricordi. Mi manca il nostro paese, non ci torno da tanto, la mamma è morta anni fa. Parlarono un po’ di tutto, ricordarono i compagni, poi si salutarono. Di nuovo la solita routine. Casa, lavoro, e dopo una settimana Paolo, preso dalla nostalgia, chiamò di nuovo Maria. – Ciao, Maria. – Buona salute, Paolo, nostalgia o mal di stagione? – Nostalgia, Maria, non arrabbiarti: posso venire a trovarti? – domandò timidamente, speranzoso mentre il cuore batteva forte. – Vieni pure – rispose lei, inaspettata – vieni quando vuoi. – Ho le ferie tra una settimana – rispose lui con gioia. – Bene, vieni, l’indirizzo lo sai – sentiva che sorrideva. Passò la settimana preparando regali per Maria, ansioso: non sapeva cosa scegliere, come sarebbe lei ora. Dopo una settimana era già in macchina, diretto dalla capitale verso il paese d’origine. Era un viaggio lungo, sei ore di guida, ma non gli pesava, adorava guidare. Arrivato in paese, rimase sorpreso: tutto era cambiato. Nuove case, la fabbrica ancora aperta. In centro supermercati e bar. Si fermò davanti a un negozio. – Accidenti, pensavo che il paese, come tanti altri, fosse decaduto. Invece è rifiorito – disse ad alta voce, guardandosi intorno. – Ormai siamo diventati città – rispose con fierezza un anziano sentendolo. – Il titolo ce l’hanno dato anni fa, lei non torna qui da tanto? – È vero, sono tanti anni, – disse Paolo. – Abbiamo un sindaco in gamba, ci tiene davvero, e così il paese è rifiorito. Maria aspettava Paolo in giardino, lui aveva chiamato prima di arrivare. Dalla curva vide la sua macchina: il cuore batteva all’impazzata, come volesse scappare dal petto. Nessuno aveva mai saputo che Maria, dalla scuola, amava Paolo in silenzio. Se lui non fosse tornato, con sé avrebbe portato quel segreto. L’incontro fu una festa: si sedettero a lungo sotto il pergolato. La casa, secolare, era più vecchia ma sempre accogliente e gentile. – Maria, sono venuto da te per dirti una cosa – lei si fece seria, un po’ preoccupata. – Dimmi pure, – chiese, nervosa. – Ti amo da sempre, non rispondi neanche oggi al mio amore? – chiese Paolo con decisione. Maria si alzò di scatto, lo abbracciò. – Paolo, Paolo, anche io ti amo da sempre. Le vacanze Paolo le passò da Maria e, al momento di ripartire, le promise: – Sistemo le cose al lavoro, passo alla modalità smart working e torno qui. Non ci lascerò più, questa è casa mia, qui sono nato e qui mi fermerò davvero, – concluse sorridendo.

Dimenticare completamente non si riusciva

Ogni mattina, Procolo prendeva la metropolitana per tornare dal lavoro a casa. Poi il bus, come un rituale, attraversava Milano mentre le rotaie del tram brillavano come ossa al sole. Lauto rimaneva ferma più spesso di quanto lui la guidasse, bloccata in quei serpentoni infiniti del traffico milanese: in quegli orari, prendere la metro era più rapido e meno doloroso.

Circa due anni fa, la sua vita familiare aveva imboccato una strada diversa, quella dei vicoli stretti e silenziosi. Si era separato dalla moglie in assoluto silenzio, e la figlia, allora diciassettenne, era rimasta con sua madre. Nessuno strillo, nessuna scena teatrale, Procolo non amava le commedie drammatiche. Da tempo notava che la donna era cambiata: nervosismi improvvisi, sparizioni ingiustificate, ritorni tardi con lalibi della amica.

Un giorno chiese, col tono di chi sta vivendo un sogno in bianco e nero:

Dove vai fino a tardi? Le mogli normali a questora stanno a casa.

Non sono affari tuoi. Le mogli normali sono galline da cortile. Io sono astuta, espansiva, e il mio spirito soffre tra queste mura. Non sono una contadina come te. Sei nato in campagna e nella campagna sei rimasto.

E allora perché hai sposato uno come me?

Ho dovuto scegliere il male minore, rispose lei allegramente, senza aggiungere altro.

Poi presentò la richiesta di divorzio, lo cacciò dallappartamento, costringendolo a trasferirsi in un monolocale che odorava di caffè e panni stesi. Alla seconda moglie non pensava ancora, ma il pensiero gli girava in testa come corvi alla ricerca di una mietitura.

Procolo tornava a casa col viso immerso nel cellulare, divorando notizie, battute, video brevissimi: tentava di distrarsi durante il viaggio, come tutti in città. Un giorno, sfogliando distrattamente, fu colpito da unimmagine che aveva la forza di un fulmine dentro la nebbia: la foto e l’annuncio di una Guaritrice popolare, Mariella, rimedi con le erbe.

Dallo schermo lo fissava la sua prima fiamma. Un amore impossibile, irraggiungibile, come una vetrata colorata che non si può toccare. Non cè modo di dimenticare davvero il primo amore: la memoria di quegli occhi perduti gli rimaneva incisa nelle ossa. Si ricordava ancora di Mariella, ragazza stramba, quasi fiabesca, sempre affascinante.

Quasi saltò alla fermata, attraversò la piazza lasciando il bus e si incamminò a piedi: aveva bisogno di camminare tra i palazzi come se fossero quinte di teatro. Giunto al monolocale, lasciò la giacca per terra, sedendosi su uno sgabello basso nella penombra, lo sguardo fisso sullo schermo. Poi balzò in piedi, appuntò il numero, mentre il telefono mostrava la batteria rossa: serviva ricarica.

Senza appetito, provò a mangiare, poi si accasciò sul divano e i ricordi lo avvolsero come mosaici antichi.

Mariella, già dalla prima elementare, era diversa: timida, con la schiena dritta e una lunga treccia nera come notte fonda. Lorlo della sua gonna arrivava sempre sotto il ginocchioai tempi nessuna ragazza usava così. Il paesino vicino a Como era talmente piccolo che tutti si conoscevano, ma di lei si diceva poco: viveva con la nonna e il nonno ai margini del bosco, in una villetta decorata, quasi una casa delle fate con il portico intagliato.

Appena la vide, Procolino da bambino perse la testa, ingenuamente ma con la serietà di chi sogna i miraggi. Era sempre speciale: in strada indossava un fazzoletto colorato, portava uno zainetto di stoffa, ricamato a mano dalla nonna. Col tempo capì che quell’accessorio era unico, come lei.

Non salutava ciao, ma con un solenne buona salute che sembrava venuto da unantica fiaba lombarda. Non correva, né gridava. Sempre educata, silenziosa.

Un giorno Mariella mancò a scuola. Un gruppo di compagni decise di andare a trovarla. Procolino era tra loro. Giunsero nella villetta, nascosta tra le querce, dove il sogno si mescolava alla nebbia e al muschio. In cortile, una folla: la nonna di Mariella era morta. Lei, col fazzolettino, asciugava le lacrime, accanto al nonno, dagli occhi fissi. La processione si mosse verso il cimitero, e i bambini dietro. Dopo il funerale li invitarono in casa per il commiato: unesperienza così, il primo funerale, non la dimenticò più.

Mariella tornò a scuola dopo un giorno. Passavano gli anni, lei manteneva la schiena perfetta, non si truccava, la pelle arrossata dal sole e dallemozione. Le compagne commentavano, ridacchiavano, ma lei non ascoltava nessuno.

I ragazzi iniziavano a corteggiare le ragazze, e anche Procolino osò avvicinarsi a Mariella. Lei non rispondeva mai, finché alla fine della terza media, lui le disse:

Ti accompagno a casa?

Mariella lo guardò, seria, e sussurrò piano, affinché nessuno sentisse:

Sono promessa, Procolo. È la tradizione della nostra famiglia.

Procolino non capì, e si intristì: chissà che usanza strana avevano? Poi scoprì che erano cattolici di rito antico, e che vivevano come chi crede nelle antiche pietre e nei vecchi libri. La famiglia di Mariella laveva cresciuta così, visto che i suoi genitori erano morti e il compito spettava ai nonni.

Mariella era la migliore della classe, non metteva anelli né collane, cosa che incuriosiva le altre ragazze. Si mormorava su di lei, ma la ragazza portava avanti la propria fiaba senza concedere nulla agli altri.

Ogni anno diventava più bella, al liceo sembrava una principessa, mentre i ragazzi la guardavano di nascosto, nella penombra delle scale. Mai una parola contro di lei.

Finito il liceo, gli amici si dispersero: Procolo partì per Milano, iscrivendosi alluniversità. Di Mariella sapeva solo che si era sposata. Le vacanze tornava poco, destate lavorava in giro con i gruppi di volontariato.

Mariella sposò il ragazzo cui era stata promessa, si trasferì in un paese lontano sui laghi, dove mungeva la mucca, rastrellava il fieno destate, si occupava di casa e orto. Nacque un figlio. Nessuno dei compagni di scuola la vide più.

Quindi Mariella cura con le erbe, pensava Procolo sul divano Chissà, è ancora più bella.

Quella notte Procolo dormì male. Al mattino, davanti al suo espresso, la mente era immersa nel passato, il volto di Mariella ovunque.

Eh sìil primo amore è una cicatrice che non si rimargina mai.

Visse a Milano per giorni come dentro la foschia, finché cedette e le scrisse.

Ciao, Mariella!

Buona salute, rispose lei, invariata. Cè qualcosa che ti turba?

Mariella, sono Procolo, tuo compagno di scuola, ti ricordi? Sedevamo vicini, sai Ti ho vista online e mi è tornato tutto in mente.

Ti ricordo. Tu eri il più bravo della classe.

Qui cè il tuo numero, posso chiamarti? chiese lui con voce afona.

Certo, chiamami pure.

Quella sera la chiamò appena tornato dal lavoro. Parlarono come chi si riconosce nei sogni: scoprendo chi viveva dove e come.

Sono a Milano, lavoro qui, rispose Procolo. Ma raccontami di te, Mariella. Hai una famiglia grande? Marito buono? Dove abiti?

Sono tornata nella vecchia villetta. Sai quella vicino al bosco. Mi sono trasferita dopo che il marito è morto Un orso nel parco, pensa. Il nonno se nè andato molti anni fa.

Mi dispiace tanto, Mariella

Fa nulla, ci ho fatto pace. E poi nessuno può sapere tutto di tutti. Procolo, chiama pure per i rimedi o anche solo per parlareio do consigli a volte

Solo per chiedere come stai. Non mi servono le erbe, mi hai solo colpito, invaso dai ricordi. Da anni non torno al paese, mia madre ormai non cè più.

Il discorso proseguì tra vecchi amici, i nomi dei compagni si rincorrevano nel buio. Poi di nuovo il silenzio. Casa, lavoro, e una settimana dopo il cuore di Procolo si ripresentò e chiamò Mariella.

Ciao, Mariella.

Buona salute, Procolo! Scommetto che non stai male, ma ti manca qualcosa

Mi manchi tu, Mariella, perdonami, posso venire a trovarti? domandò piano, col cuore rimbombante.

Vieni, rispose lei, in modo inatteso, quando vuoi.

Ho una settimana di ferie, si illuminò lui.

È perfetto, vieni, sai la strada, lui percepì il sorriso nella voce.

Per sette giorni pensò solo a Mariella, girando per i negozi di Milano, indeciso tra regali e ricordi. Era ansioso: chi avrebbe trovato? Comera diventata? Alla fine si mise in viaggio, il cuore accanto a lui in auto, la strada tra Milano e il lago sembrava una tela dipinta.

Arrivò al suo paesinoche ora era una cittadina ricca, con case nuove, il supermercato e la pasticceria. Si fermò davanti a uno dei bar antichi.

Che meraviglia, credevo che il nostro paese fosse morto, invece è rinato!

Eh, qui è diventato città, rispose fiero un anziano con il giornale sotto braccio. È già da qualche anno che siamo comune. Lei manca da molto?

Da troppo, ammise Procolo.

Abbiamo un ottimo sindaco, ama davvero questa terra, per questo la città fiorisce.

Mariella era fuori dalla casa a portico, aspettava. Vide lauto avvicinarsi come unapparizione in sogno, il cuore le batteva selvaggio. Nessuno aveva mai saputo che Mariella, dalla scuola, aveva amato Procolo silenziosamente. Una verità che avrebbe portato nella tomba, se lui non fosse ricomparso.

Si sedettero in giardino, il vecchio portico era vissuto ma ancora amichevoleun abbraccio di legno e profumi.

Mariella, sono venuto per una cosa importante, lei lo guardò seria, con una punta di timore.

Racconta, disse lei, tesa.

Da sempre ti amo. Non vuoi rispondere alla mia voce, nemmeno adesso?

Mariella saltò in piedi, lo abbracciò stretta.

Procolino, anchio ti amo da sempre.

La vacanza la passò da lei, immerso in giorni che sembravano sogni. Andandosene, promise:

Sistemo tutto a Milano, lavoro da casa e torno qui. Non lascerò mai più questo paese. Dove sono nato, qui resto, rideva, e il sogno si confondeva nellaria profumata di erba e pane.

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Dimenticare del tutto non sono riuscito Ogni giorno Paolo tornava dal lavoro a casa in metropolitana, poi prendeva l’autobus e finalmente arrivava: un’ora abbondante tra andata e ritorno. La macchina restava parcheggiata più spesso di quanto la usasse: a Roma la mattina e la sera traffico alle stelle, preferiva la metro per praticità. Circa due anni fa la sua vita matrimoniale cambiò, lui e la moglie si separarono. La figlia rimase con la madre, allora aveva diciassette anni. La separazione fu tranquilla e senza litigi perché Paolo era così, non amava gli scontri. Da tempo si era accorto che la moglie stava cambiando, e non in meglio: sbalzi d’umore, uscite misteriose, ritorni tardivi con la scusa di un’amica. Quando Paolo chiese spiegazioni: – Dove vai sempre fino a tardi? Le donne normali a quest’ora stanno a casa. – Non è affare tuo. Quelle donne normali sono galline. Io sono diversa, sono sveglia e socievole, in casa mi sento stretta. E non sono una campagnola come te. Sei nato in campagna, da lì non ti sei mai staccato. – Allora perché hai sposato un contadino? – Ho scelto il male minore tra due mali – ribatté lei, e chiuse la conversazione. Poi lei chiese il divorzio, buttando Paolo fuori casa: lui fu costretto a prendere in affitto un appartamento. Ormai si era abituato e non pensava a risposarsi, ma era comunque “in cerca”. Paolo si trovava in metro e, come tutti, non sprecava il tempo del viaggio: immerso nel cellulare, scorreva i social, leggeva notizie, barzellette, video brevi. Scorrendo oltre, all’improvviso ebbe una scossa, tornò indietro e fissò lo schermo, leggeva un annuncio. – Maria, guaritrice popolare, cure a base di erbe. Dal cellulare lo guardava il volto della sua prima cotta. Un amore mai corrisposto, forse addirittura impossibile. La prima cotta: un ricordo indelebile. Ricordava bene quella ragazzina della loro classe, un po’ strana ma bellissima. Quasi si dimenticò la sua fermata e scese velocemente, uscì dalla metro e decise di tornare a casa a piedi, senza aspettare l’autobus: aveva bisogno di camminare. Arrivato, lasciò la giacca nell’ingresso e si sedette lì, su uno sgabello basso, senza neppure accendere la luce, perso a fissare lo schermo. Poi si alzò di scatto, segnò il numero di telefono dell’annuncio quando il cellulare lo avvertì: batteria quasi scarica. Mise in carica il telefono, pensò di cenare ma non aveva appetito. Spiluccò qualcosa poi si buttò sul divano, travolto dai ricordi. Dalla prima elementare Maria si era sempre distinta: timida e riservata, con una lunga treccia, la divisa alla scuola scendeva sotto al ginocchio, non come le altre ragazze. Il loro paesino era talmente piccolo che tutti si conoscevano. Ma di lei nessuno aveva notizie. Viveva con i nonni in una casetta fuori dal paese, vicino al bosco: una casa bellissima e insolita, piena di decorazioni. Quando Paolo vide quella ragazzina, si innamorò, da bambino, ma secondo lui era un amore serio. Aveva qualcosa di speciale. Sempre con il fazzoletto in testa, uno zainetto ricamato – poi avrebbe capito, cucito a mano. Invece del solito “ciao”, salutava con un formale “buona salute”. Sembrava uscita da una favola antica. Mai urlava o si buttava nei giochi durante l’intervallo, sempre gentile e composta. Un giorno Maria non venne a scuola, i compagni andarono a trovarla dopo le lezioni, Paolo era con loro. Uscirono dal paese, svoltarono e si ritrovarono davanti alla casa speciale: sembrava di entrare in una fiaba. – Sembra ci sia un sacco di gente – disse una delle ragazze. Si avvicinarono e capirono: c’era un funerale. Era morta la nonna di Maria. Lei stava lì, col fazzoletto in testa, asciugandosi le lacrime, accanto al nonno. Lui guardava fisso davanti a sé. Tutti seguirono la processione fino al cimitero, poi furono invitati al rinfresco in casa. Paolo non dimenticò quella giornata: era la prima volta che assisteva a un funerale. Maria tornò a scuola dopo due giorni. Gli anni passarono, le ragazze si facevano belle e alla moda, Maria invece rimaneva composta, senza trucco, con le gote naturalmente rosse. I ragazzi iniziarono a corteggiare le compagne, così Paolo tentò con Maria. Per tanto tempo lei non rispose. Alla fine del terzo anno delle superiori, si fece coraggio: – Posso accompagnarti a casa da scuola? Maria lo guardò seria, sussurrò per non farsi sentire: – Sono già promessa, Paolo. Da noi si usa così. Paolo rimase deluso, ma non capì davvero che tradizione fosse quella, né chi fossero. Solo più tardi seppe che i nonni di Maria erano vecchi credenti. I suoi genitori erano morti da tempo, per questo la crescevano loro. Maria era bravissima a scuola, senza sorprese. Mai indossava gioielli come le altre. Ovviamente le compagne mormoravano, ma lei non se ne curava e rimaneva dignitosa. Ogni anno diventava più bella: all’ultimo anno era ormai una vera signora, elegante e in forma. I ragazzi la ammiravano di nascosto, nessuno la prendeva in giro. Dopo la maturità, i compagni andarono per le loro strade, Paolo si trasferì a Roma per l’università. Di Maria non seppe più nulla, solo che era sposata. Tornare in paese era ormai raro. L’estate la passava con il gruppo universitario di lavoro. Maria sposò il ragazzo cui era stata promessa e si trasferì nel suo paese. Conduceva la vita di una donna di campagna, nel verde, tra mucche e fieno, faccende domestiche e lavori agricoli. Ebbe un figlio. Nessuno dei compagni la vide più. – Ecco che fa Maria – pensava Paolo – cura con le erbe. Interessante. È diventata ancora più bella. Fece fatica ad addormentarsi, la mattina dopo si svegliò e si mise in viaggio per andare al lavoro. Il passato non gli dava tregua: la bella Maria era davanti ai suoi occhi. – Eh, il primo amore rimane nel cuore, non si dimentica mai – pensava. Il primo amore non si dimentica, scuote il cuore; Passarono diversi giorni, viveva come in un sogno finché non resistette più e le scrisse. – Ciao Maria. – Buona salute – rispose, sempre fedele a se stessa. – Serve qualcosa o ti senti poco bene? – Maria, sono Paolo, un tuo compagno di scuola: ricordi, sedevamo anche nello stesso banco? Ti ho vista su internet e mi è venuto in mente di scriverti. – Certo che ti ricordo, Paolo, eri quello che studiava meglio fra i ragazzi. – Maria, qui c’è il tuo telefono: posso chiamarti? – chiese timido. – Certo, chiamami quando vuoi. La sera dopo il lavoro chiamò. Si raccontarono dove vivevano. – Io sono a Roma, lavoro qui – disse. – Raccontami tu, Maria, com’è la tua famiglia, è grande? Il marito è bravo? Dove vivi? – Vivo nella mia casa, quella fuori paese da cui andavo a scuola, la conosci. Sono tornata, dopo che mio marito è morto. Un orso nel bosco… Pure il nonno è mancato da tempo. – Mi dispiace, Maria, non lo sapevo… – Non fa niente, è passato tanto tempo, ormai ho fatto pace col passato. E tu non c’entri. Tu chiami solo per parlare o cerchi la guaritrice? Do consigli a volte… – Solo per parlare. Non mi servono erbe, ti ho vista e mi sono tornati in mente tanti ricordi. Mi manca il nostro paese, non ci torno da tanto, la mamma è morta anni fa. Parlarono un po’ di tutto, ricordarono i compagni, poi si salutarono. Di nuovo la solita routine. Casa, lavoro, e dopo una settimana Paolo, preso dalla nostalgia, chiamò di nuovo Maria. – Ciao, Maria. – Buona salute, Paolo, nostalgia o mal di stagione? – Nostalgia, Maria, non arrabbiarti: posso venire a trovarti? – domandò timidamente, speranzoso mentre il cuore batteva forte. – Vieni pure – rispose lei, inaspettata – vieni quando vuoi. – Ho le ferie tra una settimana – rispose lui con gioia. – Bene, vieni, l’indirizzo lo sai – sentiva che sorrideva. Passò la settimana preparando regali per Maria, ansioso: non sapeva cosa scegliere, come sarebbe lei ora. Dopo una settimana era già in macchina, diretto dalla capitale verso il paese d’origine. Era un viaggio lungo, sei ore di guida, ma non gli pesava, adorava guidare. Arrivato in paese, rimase sorpreso: tutto era cambiato. Nuove case, la fabbrica ancora aperta. In centro supermercati e bar. Si fermò davanti a un negozio. – Accidenti, pensavo che il paese, come tanti altri, fosse decaduto. Invece è rifiorito – disse ad alta voce, guardandosi intorno. – Ormai siamo diventati città – rispose con fierezza un anziano sentendolo. – Il titolo ce l’hanno dato anni fa, lei non torna qui da tanto? – È vero, sono tanti anni, – disse Paolo. – Abbiamo un sindaco in gamba, ci tiene davvero, e così il paese è rifiorito. Maria aspettava Paolo in giardino, lui aveva chiamato prima di arrivare. Dalla curva vide la sua macchina: il cuore batteva all’impazzata, come volesse scappare dal petto. Nessuno aveva mai saputo che Maria, dalla scuola, amava Paolo in silenzio. Se lui non fosse tornato, con sé avrebbe portato quel segreto. L’incontro fu una festa: si sedettero a lungo sotto il pergolato. La casa, secolare, era più vecchia ma sempre accogliente e gentile. – Maria, sono venuto da te per dirti una cosa – lei si fece seria, un po’ preoccupata. – Dimmi pure, – chiese, nervosa. – Ti amo da sempre, non rispondi neanche oggi al mio amore? – chiese Paolo con decisione. Maria si alzò di scatto, lo abbracciò. – Paolo, Paolo, anche io ti amo da sempre. Le vacanze Paolo le passò da Maria e, al momento di ripartire, le promise: – Sistemo le cose al lavoro, passo alla modalità smart working e torno qui. Non ci lascerò più, questa è casa mia, qui sono nato e qui mi fermerò davvero, – concluse sorridendo.