L’amico venduto. Il racconto del nonno E lui mi capì! Non fu divertente, capii subito che era stata una pessima idea. L’ho venduto. Lui pensava che fosse solo un gioco, poi ha capito che l’avevo davvero venduto. I tempi, in fondo, sono sempre diversi per ognuno. C’è chi trova l’all inclusive poco generoso, e chi si accontenta di pane nero e salame. Anche noi abbiamo vissuto momenti diversi, non sempre facili. Ero piccolo allora. Mio zio, zio Sergio, il fratello di mamma, mi regalò un cucciolo di pastore tedesco e io ero al settimo cielo. Il cucciolo s’era affezionato a me, mi capiva al volo, mi guardava negli occhi e aspettava solo il mio comando. — A terra, — dicevo aspettando, e lui si sdraiava, guardandomi con devozione, come se fosse disposto a dare la vita per me. — Al lavoro, — ordinavo io, e il cucciolo si tirava su velocemente sulle sue zampette paffute e restava fermo, deglutendo con ansia: aspettava una ricompensa, un bocconcino gustoso. Ma non avevo nulla per premiarlo. Facevamo fatica anche noi a mettere insieme il pranzo con la cena. Erano tempi così. Un giorno, mio zio Sergio, quello che mi aveva regalato il cucciolo, mi disse: — Non essere triste, ragazzo, guarda che cane fedele e devoto! Sai che puoi venderlo e poi chiamarlo, lui tornerà comunque da te. Nessuno ci farà caso. Così almeno avrai qualche soldo. Comprerai un dolcetto per te, la mamma e anche per lui. Fidati di zio, so quello che dico. L’idea mi piacque. Non capivo allora che non si fa. Era stato proprio uno zio adulto a suggerirlo, una specie di scherzo; almeno avrei comprato un dolcino. Ho sussurrato all’orecchio caldo e peloso di Fedele che lo avrei dato via, ma poi sarei andato a chiamarlo, e lui doveva venire da me, scappare dagli estranei. E lui mi capì! Abbaio, come a dire che aveva capito. Il giorno dopo gli ho messo il guinzaglio e l’ho portato in stazione. Lì si vendeva di tutto: fiori, cetrioli, mele. Quando è sceso il treno e la gente ha iniziato a passare, qualcuno comprava, qualcuno contrattava. Mi sono fatto avanti con il cane, ma nessuno si avvicinava. Poi, quando ormai tutti stavano andando via, un uomo con la faccia severa si è fermato davanti a me: — Ragazzo, cosa fai qui? Aspetti qualcuno o forse vuoi vendere questo cane? Bel cucciolo robusto, va bene, lo prendo. E mi mise dei soldi in mano. Io gli ho passato il guinzaglio, Fedele ha girato la testa e ha starnutito allegramente. — Dai Fedele, vai, amico mio, vai! — gli ho sussurrato. — Ti chiamerò, vieni da me! E lui se n’è andato con l’uomo, mentre io, nascondendomi, li ho seguiti con lo sguardo per vedere dove portavano il mio amico. La sera sono tornato a casa con pane, salame e caramelle. Mamma mi ha chiesto severa: — Ma dove hai trovato i soldi, li hai rubati a qualcuno? — No mamma, davvero, ho aiutato a portare le cose in stazione, mi hanno pagato. — Bravo figlio, vai a dormire, sono stanca, mangia un po’ e andiamo a letto. Neanche mi chiese di Fedele, forse nemmeno le interessava. La mattina dopo passò zio Sergio. Stavo per andare a scuola, ma io volevo correre da Fedele, chiamarlo. — Allora, hai venduto l’amico? — rise, dandomi uno scappellotto. Mi divincolai e non risposi. Non avevo dormito la notte, non avevo toccato né pane né salame, mi erano andati di traverso. Non era stata una bella idea, l’avevo capito. Aveva ragione mamma a non sopportare zio Sergio. — È un tipo strano, non ascoltarlo, — diceva. Presi la cartella e uscii di corsa. La casa era a tre isolati e li corsi tutto d’un fiato. Fedele stava seduto dietro un alto cancello, legato a una grossa corda. Lo chiamai, ma lui mi guardava triste, con la testa sulle zampe, scodinzolava, provava ad abbaiare ma gli mancava la voce. L’ho venduto. Lui pensava che fosse un gioco, poi ha capito che l’avevo venduto per davvero. Uscì il nuovo padrone e urlò a Fedele, che abbassò la coda: capii che era finita. La sera in stazione aiutai a portare dei pacchi. Pagavano poco, ma racimolai il necessario. Avevo paura, ma andai al cancello e bussai. L’uomo mi aprì: — Ah, ragazzo, cosa vuoi? — Signore, ho cambiato idea, ecco, — gli ho restituito i soldi che mi aveva dato per Fedele. Lui mi guardò di sottecchi, prese i soldi in silenzio e sciolse Fedele: — Prendilo, ragazzo, è triste, non diventerà mai un cane da guardia. Ma stai attento, forse non ti perdonerà. Fedele mi guardava sconsolato. Quel gioco si trasformò in una prova per entrambi. Poi si avvicinò, mi leccò la mano e mi spinse col muso sulla pancia. Sono passati tanti anni da allora, ma ho capito che gli amici, neanche per scherzo, si vendono. E quella sera, mamma fu felice: — Ieri ero stanca, poi mi sono chiesta: ma dov’è il nostro cane? Mi sono affezionata anch’io, ormai è dei nostri, il nostro Fedele! E zio Sergio veniva da noi sempre meno, le sue battute non ci facevano più ridere.

Lamico venduto. Racconto di un nonno

E lui mi capì!

Non era allegro, capii che era stata una sciocchezza enorme.
Lho venduto. Lui pensava fosse un gioco, poi ha capito che lavevo veramente dato via.
I tempi, si sa, sono diversi per tutti. Cè chi si lamenta anche di una vacanza a Taormina con tutto compreso, ma cè chi si accontenta di un tozzo di pane raffermo con un po di salame.

Anche noi abbiamo vissuto così, arrangiandoci.

Ero un ragazzino allora. Mio zio Franco, il fratello di mia madre, un giorno mi regalò un cucciolo di pastore maremmano. Ero al settimo cielo. Quel cucciolo si era affezionato a me, mi capiva al volo, mi guardava negli occhi aspettando soltanto una parola, il mio comando.

Terra! dicevo dopo averlo fatto aspettare, e lui si sdraiava, guardandomi fisso con quegli occhi pieni di fedeltà, pronto a morire per me, pareva.

Fermo! comandavo, e lui si metteva dritto sulle zampe grosse e rimaneva immobile, ingoiando la saliva nellattesa di un premio.

Ma io non avevo niente con cui ricompensarlo. Noi stessi, in quel periodo, non avevamo quasi nulla da mangiare.

Erano tempi duri, quelli.

Mio zio Franco, che mi aveva regalato il cucciolo, un giorno mi disse:

Non ti scapicollare, ragazzo! Guarda quanto è fedele Vendilo un attimo, poi lo richiami da dietro langolo e lui ritorna da te. Tanto nessuno se ne accorge. E intanto ti prendi due spicci e ti prendi un dolcetto per te, la mamma e anche per lui. Fidati di me, ti do un buon consiglio!

A me quella trovata parve quasi un gioco, mica pensavo che fosse una cosa cattiva. Un adulto me laveva detto, per me era una burla, e in più avrei potuto comprare dei dolcetti.

Sussurrai allorecchio caldo e pieno di pelliccia di Fedele che lavrei lasciato un attimo, ma poi lavrei chiamato e lui doveva subito correre, scappare dagli sconosciuti e venire da me.

E lui mi capì!
Abbaio, come avesse compreso tutto, si mise daccordo con me.

Il giorno dopo gli misi il guinzaglio e lo portai in stazione. Alla stazione, a Bari, si vendeva di tutto: fiori, zucchine, mele

Arrivarono le persone dal regionale, alcuni comprarono, altri guardavano in giro e contrattavano.

Io mi misi un po avanti, tirai il cane vicino, ma nessuno si avvicinava.

Quasi tutti ormai erano passati. Ma a un certo punto si avvicinò un signore robusto con una faccia severa.

Ehi, ragazzo, chi aspetti qui? O forse vuoi vendere il cagnolino? Sai che è un bel cucciolo? Lo prendo io, và. e mi mise in mano delle banconote.

Passai il guinzaglio, Fedele guardava attorno e starnutì allegro.

Vai, Fedele, vai amico, vai gli sussurrai ti richiamo io, tu scappa ritorna!
E lui se ne andò con luomo, io mi nascosi e seguii con lo sguardo dove portava il mio amico.

La sera tornai a casa con pane, salame e qualche caramella. Mamma mi guardò male:

Dove li hai presi quei soldi? Non avrai rubato, vero?

No, mamma, ci mancherebbe. Ho aiutato a portare le valigie alla stazione, una signora mi ha dato qualche euro.

Bravo, allora. Mangia qualcosa e andiamo a dormire, che sono sfinita.

Non chiese neanche di Fedele, a dire il vero non le importava poi troppo.

Zio Franco venne la mattina dopo. Io mi preparavo per andare a scuola, anche se avrei solo voluto correre da Fedele, chiamarlo.

Allora, rise zio hai venduto lamico? Mi diede una pacca sulla testa. Io mi scansai, senza rispondere.

Non avevo dormito, il pane col salame non mi andava giù.

Non era mica divertente, ormai mi era chiaro quanto era stata una sciocchezza.
Non per nulla la mamma non aveva mai sopportato zio Franco.

È un matto, non dargli retta, mi diceva lei sempre.

Presi la cartella e uscii di corsa.

La casa era a tre isolati, li feci tutti dun fiato.

Fedele era legato con una corda grossa dietro un cancello alto.

Lo chiamai, ma lui mi guardava triste, la testa sulle zampe, muoveva la coda, cercava di abbaiare ma la voce non gli usciva.

Lavevo venduto davvero. Lui credeva fosse una finta, poi capì che era vero.
Il padrone uscì in cortile, sgridò Fedele che si rannicchiò subito. Capì che la cosa era persa.

La sera tornai in stazione a dare una mano con i bagagli. Pagavano poco, ma misi insieme abbastanza soldi. Mi feci coraggio, andai al cancello e bussai. Il signorotto mi aprì:

Ehi piccolo, che sei tornato a fare?

Signore, io ci ho ripensato, tenga, e gli restituii i soldi che mi aveva dato per Fedele.
Lui mi squadrò, prese i soldi in silenzio, poi sciolse il cane.

Prendilo, va, ci sta male. Non farà mai il cane da guardia qui, ma occhio: magari non ti perdona facilmente.

Fedele mi fissava con uno sguardo cupo.

Quel gioco era diventato una prova dura per noi.

Poi si avvicinò piano e mi leccò la mano, poi mi spinse col muso sulla pancia.

Da allora sono passati tanti anni, ma ho imparato che gli amici, nemmeno per scherzo, non si tradiscono e non si vendono.

La mamma, quando mi vide tornare con Fedele, si illuminò:

Ieri ero stanca, poi ho pensato: dovè il cane? Ormai mi manca, è anche il mio, Fedele!

Da quel giorno, zio Franco si è visto poco a casa nostra. Le sue battute non facevano più ridere nessuno.

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L’amico venduto. Il racconto del nonno E lui mi capì! Non fu divertente, capii subito che era stata una pessima idea. L’ho venduto. Lui pensava che fosse solo un gioco, poi ha capito che l’avevo davvero venduto. I tempi, in fondo, sono sempre diversi per ognuno. C’è chi trova l’all inclusive poco generoso, e chi si accontenta di pane nero e salame. Anche noi abbiamo vissuto momenti diversi, non sempre facili. Ero piccolo allora. Mio zio, zio Sergio, il fratello di mamma, mi regalò un cucciolo di pastore tedesco e io ero al settimo cielo. Il cucciolo s’era affezionato a me, mi capiva al volo, mi guardava negli occhi e aspettava solo il mio comando. — A terra, — dicevo aspettando, e lui si sdraiava, guardandomi con devozione, come se fosse disposto a dare la vita per me. — Al lavoro, — ordinavo io, e il cucciolo si tirava su velocemente sulle sue zampette paffute e restava fermo, deglutendo con ansia: aspettava una ricompensa, un bocconcino gustoso. Ma non avevo nulla per premiarlo. Facevamo fatica anche noi a mettere insieme il pranzo con la cena. Erano tempi così. Un giorno, mio zio Sergio, quello che mi aveva regalato il cucciolo, mi disse: — Non essere triste, ragazzo, guarda che cane fedele e devoto! Sai che puoi venderlo e poi chiamarlo, lui tornerà comunque da te. Nessuno ci farà caso. Così almeno avrai qualche soldo. Comprerai un dolcetto per te, la mamma e anche per lui. Fidati di zio, so quello che dico. L’idea mi piacque. Non capivo allora che non si fa. Era stato proprio uno zio adulto a suggerirlo, una specie di scherzo; almeno avrei comprato un dolcino. Ho sussurrato all’orecchio caldo e peloso di Fedele che lo avrei dato via, ma poi sarei andato a chiamarlo, e lui doveva venire da me, scappare dagli estranei. E lui mi capì! Abbaio, come a dire che aveva capito. Il giorno dopo gli ho messo il guinzaglio e l’ho portato in stazione. Lì si vendeva di tutto: fiori, cetrioli, mele. Quando è sceso il treno e la gente ha iniziato a passare, qualcuno comprava, qualcuno contrattava. Mi sono fatto avanti con il cane, ma nessuno si avvicinava. Poi, quando ormai tutti stavano andando via, un uomo con la faccia severa si è fermato davanti a me: — Ragazzo, cosa fai qui? Aspetti qualcuno o forse vuoi vendere questo cane? Bel cucciolo robusto, va bene, lo prendo. E mi mise dei soldi in mano. Io gli ho passato il guinzaglio, Fedele ha girato la testa e ha starnutito allegramente. — Dai Fedele, vai, amico mio, vai! — gli ho sussurrato. — Ti chiamerò, vieni da me! E lui se n’è andato con l’uomo, mentre io, nascondendomi, li ho seguiti con lo sguardo per vedere dove portavano il mio amico. La sera sono tornato a casa con pane, salame e caramelle. Mamma mi ha chiesto severa: — Ma dove hai trovato i soldi, li hai rubati a qualcuno? — No mamma, davvero, ho aiutato a portare le cose in stazione, mi hanno pagato. — Bravo figlio, vai a dormire, sono stanca, mangia un po’ e andiamo a letto. Neanche mi chiese di Fedele, forse nemmeno le interessava. La mattina dopo passò zio Sergio. Stavo per andare a scuola, ma io volevo correre da Fedele, chiamarlo. — Allora, hai venduto l’amico? — rise, dandomi uno scappellotto. Mi divincolai e non risposi. Non avevo dormito la notte, non avevo toccato né pane né salame, mi erano andati di traverso. Non era stata una bella idea, l’avevo capito. Aveva ragione mamma a non sopportare zio Sergio. — È un tipo strano, non ascoltarlo, — diceva. Presi la cartella e uscii di corsa. La casa era a tre isolati e li corsi tutto d’un fiato. Fedele stava seduto dietro un alto cancello, legato a una grossa corda. Lo chiamai, ma lui mi guardava triste, con la testa sulle zampe, scodinzolava, provava ad abbaiare ma gli mancava la voce. L’ho venduto. Lui pensava che fosse un gioco, poi ha capito che l’avevo venduto per davvero. Uscì il nuovo padrone e urlò a Fedele, che abbassò la coda: capii che era finita. La sera in stazione aiutai a portare dei pacchi. Pagavano poco, ma racimolai il necessario. Avevo paura, ma andai al cancello e bussai. L’uomo mi aprì: — Ah, ragazzo, cosa vuoi? — Signore, ho cambiato idea, ecco, — gli ho restituito i soldi che mi aveva dato per Fedele. Lui mi guardò di sottecchi, prese i soldi in silenzio e sciolse Fedele: — Prendilo, ragazzo, è triste, non diventerà mai un cane da guardia. Ma stai attento, forse non ti perdonerà. Fedele mi guardava sconsolato. Quel gioco si trasformò in una prova per entrambi. Poi si avvicinò, mi leccò la mano e mi spinse col muso sulla pancia. Sono passati tanti anni da allora, ma ho capito che gli amici, neanche per scherzo, si vendono. E quella sera, mamma fu felice: — Ieri ero stanca, poi mi sono chiesta: ma dov’è il nostro cane? Mi sono affezionata anch’io, ormai è dei nostri, il nostro Fedele! E zio Sergio veniva da noi sempre meno, le sue battute non ci facevano più ridere.