Questa non è casa tua Alena osservava con malinconia la casa dove era cresciuta fin da bambina. A diciotto anni si sentiva già completamente delusa dalla vita. Perché il destino doveva essere così crudele con lei? La nonna era morta, non era riuscita a entrare all’università per colpa di una ragazza seduta vicino a lei agli esami, che aveva copiato da lei e poi detto qualcosa all’orecchio dell’esaminatore, accusandola ingiustamente. Alla fine, quella ragazza si era scoperta essere la figlia di un notabile locale. Con certi personaggi non si discute. Ora, dopo tante delusioni, era ricomparsa nella sua vita la madre, assieme ai due fratelli e a un nuovo marito. Dove erano stati tutti quegli anni? Alena era stata cresciuta dalla nonna, la madre era rimasta con lei solo fino ai quattro anni. E di quei tempi non le restava alcun ricordo piacevole. Quand’era piccola, la madre la lasciava spesso sola per uscire a divertirsi, anche mentre era ancora sposata, e non ha mai nascosto la sua ricerca di “un uomo degno”. Poi, quando il padre di Alena era morto all’improvviso, la madre non aveva pensato troppo a piangerlo: aveva preso le sue cose, lasciato la figlia di quattro anni sul portico della nonna e, venduta la casa ereditata dal marito, era sparita chissà dove. Inutilmente nonna Rina cercava di richiamarla al suo dovere di madre. La madre faceva visita raramente e Alena non la interessava. Un giorno si era presentata, Alena aveva dodici anni, e portava con sé Svetoslav di sette anni, pretendendo che la madre intestasse la casa a lei. — No, Tamara! Non otterrai niente! — aveva opposto la madre con fermezza. — Vedrai che quando morirai sarà comunque mia! — aveva ribattuto la madre, lanciando ad Alena uno sguardo stizzito prima di radunare Svetoslav e andarsene sbattendo la porta. — Perché litigate ogni volta che viene? — aveva chiesto Alena alla nonna. — Perché tua madre è egoista! L’ho educata male! — aveva risposto la nonna Rina con amarezza. La malattia della nonna arrivò all’improvviso. Non si era mai lamentata, ma un giorno, tornando da scuola, Alena la trovò pallida in poltrona, senza voglia di far nulla. — Ti senti bene? — chiese Alena. — Chiamami l’ambulanza, cara… — rispose la nonna con voce tranquilla. Poi ospedale, flebo… e la morte. Gli ultimi giorni in rianimazione neppure fu possibile visitarla. Disperata dalla paura per la nonna, Alena chiamò la madre, che inizialmente rifiutò di venire, e solo quando seppe della rianimazione acconsentì a malavoglia. Arrivò per i funerali, e dopo tre giorni ficcò sotto il naso della figlia il testamento: — Questa casa adesso è mia e dei miei figli! Presto arriverà Oleg. So che tra di voi non scorre buon sangue, quindi dovrai stare per un po’ da zia Gabriella, va bene? Nella voce della madre non c’era la minima traccia di dolore. Sembrava quasi contenta che la nonna fosse morta: ora era lei l’erede. Alena, schiacciata dal lutto, non riuscì a opporsi. Così per qualche tempo abitò davvero dalla zia Gabriella, sorella del padre, donna frivola sempre circondata da ospiti rumorosi e mezzi ubriachi, e Alena non ce la faceva a sopportare quella situazione. Alcuni di quei tizi iniziavano persino ad avere attenzioni verso di lei, cosa che la riempiva di orrore. Raccontando tutto al fidanzato Paolo, Alena ricevette una risposta che la stupì e la rese felice: — Non posso sopportare che quei vecchi si permettano certe cose con te! — disse deciso, e aggiunse, pur avendo solo diciannove anni: — Parlo subito con mio padre. Abbiamo un monolocale in periferia: mi aveva promesso che mi ci avrebbe fatto vivere da solo una volta entrato all’università. Ho mantenuto la parola, ora tocca a lui. — Ma cosa c’entro io? — chiese Alena confusa. — Come, che c’entri? Vivremo insieme lì! — Ma i tuoi genitori saranno d’accordo? — Non hanno scelta! Consideralo come una proposta di matrimonio ufficiale: vuoi diventare mia moglie e vivere con me? Alena era talmente felice da mettersi quasi a piangere: — Sì, certo! Quando la zia seppe del matrimonio fu felice, mentre la madre quasi digrignò i denti: — Ti sposi? Guarda quanto sei furba! Non sei nemmeno riuscita a entrare all’università, eh? Non ti darò neanche un euro, chiaro? Questa casa è mia! Non avrai niente! Quella risposta ferì Alena. Paolo, tra le sue lacrime, riuscì a capire cos’era successo e la portò a casa dai suoi, che la consolarono e la imbottirono di tè. Ascoltando il racconto, il padre di Paolo, Andrea, intervenne: — Povera ragazza! Che madre hai avuto! — Ma a me interessa altro… — rifletté Andrea. — Perché tua madre si attacca così tanto a questa casa, se c’è un testamento, e continua a rinfacciartelo? — Non lo so… — singhiozzò Alena. — Da quando ricordo, litigavano per questa casa. La mamma voleva che la vendessero, poi che la nonna gliela intestasse, ma la nonna non ha mai accettato, diceva che così io sarei finita per strada. — Strano… Sei andata dal notaio dopo la morte della nonna? — No, perché? — Serve a riconoscere legalmente i diritti di eredità. — Ma l’erede è mia madre. E poi c’è il testamento… lei me lo ha fatto vedere. — È una cosa più complicata, — rispose Andrea. — Andiamo insieme dal notaio lunedì. Ora ti serve riposo. Nel frattempo, la madre cercò di far firmare ad Alena dei documenti, ma Paolo intervenne: — Non firmerà niente! — E tu chi sei? — sbottò la madre. — Il suo futuro marito e credo che le farebbero solo del male. Niente firme. La madre se ne andò di malumore. Andrea decise che c’era qualcosa che non quadrava. Come promesso accompagnò Alena dal notaio: — Ascolta bene e controlla tutto prima di firmare! Il notaio confermò: era già stato aperto un fascicolo di successione su Alena stessa. Scoprirono che la nonna aveva lasciato un piccolo conto per l’università di Alena, di cui nessuno sapeva. — E per la casa? — domandò Andrea. — È già donata alla ragazza da diverso tempo. La nonna vi aveva lasciato una donazione ufficiale. Alena ha compiuto da poco diciotto anni, quindi ora può gestirla come vuole. — E il testamento? — Era precedente, poi annullato. Forse la madre non lo sa. La casa è sua, Alena può viverci. I sospetti erano fondati. — Che facciamo ora? — chiese Alena smarrita all’uscita. — Semplice: comunica a tua madre che la casa è tua e lei deve lasciarla. — Ma non lo farà mai! Vuole perfino buttare fuori le mie cose! — Allora c’è la polizia. La madre, sentita la notizia, andò su tutte le furie: — Ah, mi vuoi cacciare di casa tua madre? Sogna! Ho le carte che dicono che la casa è mia! Mia madre mi aveva indicata erede sul testamento! — Proprio così, quindi andatevene o vi caccio io! — urlò Oleg, il fratello, intervenendo minaccioso. Andrea non si mosse. — Attenzione, per le minacce rischiate una denuncia! — lo mise in guardia Andrea con calma. — Chi credi di essere? Questa casa è in vendita, tra poco arriveranno i compratori! Ma invece arrivò la polizia. Capito l’accaduto, intimarono agli abusivi di lasciare la casa, pena denuncia. Tamara, il marito e i figli, furiosi, non poterono opporsi. Alena tornò finalmente a casa sua. Paolo si trasferì con lei per proteggerla, temendo rappresaglie. E aveva ragione: per un po’, Tamara e Oleg continuarono a molestarla. Quando scoprirono l’esistenza del conto, la madre riuscì a ottenere parte del denaro, ma la casa rimase inattaccabile. Solo dopo avere consultato qualunque avvocato, Tamara smise di tormentarla e tornò con la sua famiglia altrove. Alena non la rivide mai più. Alena e Paolo si sposarono. L’estate successiva lei entrò all’università nella facoltà dei suoi sogni e, già al terzo anno, diede alla luce il primo figlio. Fu sempre grata al marito e alla sua famiglia per il sostegno, e visse una vita felice. Autrice: Odette

Questo non è casa tua

Giulia osservava la casa della sua infanzia con un nodo alla gola. A diciottanni si sentiva ormai delusa dalla vita. Come mai il destino era stato così crudele con lei? La nonna se nera andata, era stata bocciata allesame dammissione alluniversità per colpa di una ragazza che, seduta al banco accanto al suo, aveva copiato tutto e poi, consegnando il compito per prima, aveva sussurrato qualcosa allorecchio dellesaminatore. Quello aveva aggrottato la fronte, richiesto le risposte di Giulia e, con tono secco, le aveva comunicato lespulsione per presunto plagio. Inutile spiegare. Poi aveva scoperto che quella ragazza era la figlia del notabile del paese. Comera possibile competere con tali persone?

Ora, dopo tutte queste delusioni, sua madre era tornata, portando con sé due fratelli e un nuovo marito. Doverano stati per tutti quegli anni? Giulia era cresciuta con la nonna, mentre con la madre aveva condiviso solo i primi quattro anni di vita. Ricordi felici di quel periodo non ne aveva: mentre il padre era al lavoro, la madre la lasciava sola per andare a divertirsi. Anche da sposata, non smise mai di cercare luomo giusto e non lo nascondeva né allora né dopo, persino quando il papà di Giulia morì improvvisamente.

Rimasta vedova, la madre, Carla, non impiegò molto a riprendersi. Fece le valigie, lasciò la figlia di quattro anni sui gradini della casa della madre, vendette lappartamento lasciatole dal marito e scomparve. La nonna, Sofia, cercò inutilmente di richiamarla al senso di responsabilità.

Carla ricompariva ogni tanto, ma non si curava di Giulia. Lultima volta era stata quando Giulia aveva dodici anni: portò con sé un fratello di sette anni, Marco, cercando di convincere la nonna a intestare la casa a suo nome.

No, Carla! Non avrai niente! rispose decisa la nonna.

Tanto, quando morirai tutto sarà mio! ribatté Carla senza un briciolo di pietà, lanciando unocchiata scocciata verso Giulia, che assisteva alla scena dalla stanza accanto, raccolse Marco e se ne andò sbattendo la porta.

Nonna, perché litigate ogni volta che viene? chiese Giulia.

Perché tua madre pensa solo a sé stessa! Non sono stata abbastanza severa, avrei dovuto darle più disciplina! rispose Sofia, piena di amarezza.

La nonna si ammalò allimprovviso. Non si era mai lamentata della salute, ma un giorno Giulia, tornata da scuola, la trovò pallida, seduta sulla poltrona del balcone, immobile.

Cosè successo? domandò, allarmata.

Non mi sento bene, Giulia Chiama il 118 sussurrò calma la nonna.

Poi fu lospedale, le flebo la fine. Sofia trascorse i suoi ultimi giorni in terapia intensiva, senza possibilità di visita. Spaventata e disperata, Giulia chiamò la madre. Allinizio, Carla non voleva neanche partire, ma appena sentì rianimazione, accettò. Riuscì ad arrivare solo per il funerale. Tre giorni dopo, mise sotto il naso della figlia il testamento:

Ora questa casa appartiene a me e ai miei figli! Tra poco arriverà Enrico. So che tra voi non va bene, quindi vai a stare un po da zia Caterina, ok?

Nella voce di Carla non cera un filo di dolore, sembrava quasi gioire per la morte della nonna, ora che finalmente era diventata erede.

Schiacciata dal dolore, Giulia non trovò la forza di ribellarsi. Il testamento era scritto chiaro. Così per un periodo abitò davvero da zia Caterina, la sorella del padre, una donna leggera, sempre speranzosa di trovare un buon partito, circondata da ospiti rumorosi e mezzi ubriachi, che Giulia proprio non sopportava. Alcuni si spingevano anche a farle avances che la mettevano in agitazione.

Raccontando il tutto al fidanzato Matteo, rimase sorpresa e rincuorata dalla sua reazione:

Non ci penso neanche a lasciarti tra quei buzzurri! disse con decisione, pur avendo solo diciannove anni. Parlo oggi stesso con mio padre. Abbiamo un bilocale in periferia. Mi aveva promesso che, entrato alluniversità, avrei potuto andarci a vivere. Ho mantenuto la parola, ora tocca a lui!

Non capisco che centro io balbettò Giulia.

Come sarebbe? Ci vivremo insieme noi due!

Ma i tuoi genitori saranno daccordo?

Non hanno scelta! Considera questa la mia proposta: vuoi sposarmi e vivere con me?

A Giulia quasi vennero le lacrime di gioia.

Certo che sì!

Zia Caterina ne fu felice, la mamma era furente:

Ti sposi? Ma guarda che furbetta! Non sei riuscita a entrare alluniversità e ora vuoi sistemarti diversamente! Sappi che non ti darò un centesimo! E la casa è MIA! Non avrai nulla!

Le parole della madre la ferirono. Matteo dovette consolarla a fatica, accogliendola in casa dove i suoi genitori le offrirono sostegno e un tè caldo.

Andrea, il padre di Matteo, ascoltava con attenzione le disavventure della futura nuora, colpito dallincredibile quantità di sfortuna incontrata.

Povera stella! Ma che donna è tua madre! esclamò la madre di Matteo.

Mi chiedo solo una cosa rifletté Andrea. Perché tiene così tanto a questa casa e ti mette alle strette, se cè già un testamento?

Non so singhiozzò Giulia. Per questa casa litigava sempre con la nonna. Prima voleva venderla e intascare i soldi, poi pretendeva che la nonna lintestasse a lei. Ma la nonna non ha mai voluto. Diceva che altrimenti saremmo finite in mezzo a una strada.

Strana faccenda. Hai già parlato con un notaio?

No. Perché dovrei? domandò Giulia, sorpresa.

Per la successione.

Ma lerede è mia madre. Io sono la nipote. E poi ho visto il testamento che mi ha mostrato lei.

È un po più complicato, spiegò Andrea. Dopo il fine settimana andiamo insieme dal notaio. Intanto riposati.

In questi giorni, Giulia incontrò la madre, che cercò di farle firmare dei documenti. Matteo intervenne:

Non firmerà nulla!

Ma tu chi sei? È maggiorenne, decide lei! ribatté Carla, stizzita.

Sono il suo futuro marito e non mi sembra il caso. Quindi niente firme per ora.

Carla se ne andò imprecando, ma il sospetto di Andrea ne uscì rafforzato.

Qualche giorno dopo, Andrea accompagnò Giulia dal notaio:

Ascolta bene tutto e controlla bene ciò che firmi! le raccomandò.

Il notaio fu scrupoloso. Dopo il deposito dellistanza, il giorno seguente informarono che era stata avviata una pratica di successione a suo nome. Inoltre, emerse che Sofia aveva lasciato un piccolo conto in banca, risparmiando per gli studi universitari di Giulia, che non ne sapeva nulla.

E per la casa? domandò Andrea.

La signorina è già proprietaria, tutto risulta tramite regolare donazione fatta dalla nonna qualche anno fa. Il vecchio testamento è stato annullato.

Una donazione? chiese Giulia, incredula.

Sua nonna è venuta qui a firmare la donazione qualche anno fa. Da quando è maggiorenne, lei ne è pienamente proprietaria. Può viverci da subito.

E il testamento?

Era precedente, poi annullato. Forse sua madre non lo sa. La casa è sua, Giulia, ne ha pieno diritto.

I dubbi di Andrea erano fondati.

Che faccio ora? chiese Giulia, preoccupata, fuori dalla sede.

Semplice: dì a tua madre che la casa è tua e che deve lasciarla.

Non lo farà mai! Ha già messo tutte le mie cose fuori dalla porta!

Allora si chiama la polizia!

La notizia fece infuriare Carla:

Ingrata! Vuoi cacciare tua madre? Vai via tu! Pensi che mi fidi di queste storie? Chi ti ha convinta, il tuo fidanzato e suo padre? Ho io il documento che mi assegna la casa! Mia madre aveva scritto un testamento a mio favore!

Appunto! Quindi, fuori di qui! Oppure ti rompo le gambe, così impari! interruppe Enrico, il marito, con sguardo cattivo. Andrea restò impassibile.

Signore, minacciare è un reato. Le consiglio di moderare i toni, o sarà costretto a risponderne davanti alla legge, dichiarò Andrea con freddezza.

Chi sei tu per dirmi cosa fare? Via! Questa casa si vende! Tra poco arrivano i compratori!

Ma invece dei compratori arrivò la polizia. Chiarita la situazione, ordinarono agli abusi vacui di lasciare la casa, pena sanzioni penali. Carla, Enrico e i figli, imbestialiti, non poterono che ubbidire. Così, Giulia poté finalmente tornare a casa. Matteo si trasferì con lei, temendo ritorsioni dal patrigno.

E aveva ragione. Carla ed Enrico continuarono ancora a importunarla. Quando Carla scoprì del conto in banca lasciato da Sofia, tentò di reclamarne una parte tramite il notaio. Non si poté evitare che parte del denaro, per legge, le spettasse. Ma la casa restò a Giulia, nonostante ogni tentativo. Carla smise di molestarla solo dopo essersi consultata con tutti gli avvocati del circondario e, infine, tornò con la famiglia nellaltra città. Giulia non volle più alcun rapporto con lei.

Lei e Matteo si sposarono. Lanno dopo Giulia si iscrisse finalmente al corso universitario dei suoi sogni e al terzo anno nacque il loro primo figlio. Era infinitamente grata al marito e alla suocera per esserle stati accanto nel momento più difficile. E trascorse, da allora, una vita davvero felice.

Autore: Odette

Mistero

La casa era vecchia, ma ben curata. Era rimasta poco tempo vuota, non aveva fatto in tempo a impolverarsi né a deteriorarsi. Per fortuna! pensò Federica. Di certo non sono una di quelle signore di ferro che sanno montare mobili, frenare cavalli e spengere incendi! E poi, un uomo in casa… proprio non ce lho, e dubito che ne avrò uno dora in avanti.

Salì sul portico, prese la chiave dalla borsa e aprì il robusto lucchetto.

***

Quella casa le era stata lasciata non si sa bene perché da nonna Lidia, una parente piuttosto lontana. Chissà come funzionano certe menti in età avanzata, pensava Federica: Lidia doveva avere almeno centanni. Federica era sua pronipote, o forse cugina di secondo grado. Insomma, una parente quasi sconosciuta.

Federica da ragazzina era stata spesso da nonna Lidia, già anziana allepoca. Ma aveva sempre voluto vivere sola, senza mai chiedere nulla alla famiglia, né aiuto. Poi, un giorno, semplicemente, morì.

Quando chiamarono Federica per informarla che la nonna era morta a Borgo Enigma, lei nemmeno si ricordava bene di chi si trattasse. Men che meno avrebbe immaginato di riceverne in eredità una casa e un terreno di cinquemila metri quadri!

Un regalo per la pensione! aveva scherzato suo marito, Giuseppe.

Pensione? Ma se ho cinquantacinque anni! Chissà quando mai ci arriverò. Altro che regalo per la vecchiaia Però, per quale ragione ha scelto proprio me? Non sapevo neanche che nonna Lidia fosse ancora in vita! aveva ribattuto Federica, stupita. Ma va là, di questi tempi non si butta niente. Se me lha lasciata, la useremo.

O la vendiamo! gongolava Giuseppe.

***

Menomale che non lhanno venduta. Due mesi dopo la scoperta dell’eredità, la vita le riservò una sorpresa assai meno gradita: Giuseppe la tradiva. Così, proprio come si dice capelli bianchi, cuore selvaggio, una pietra sul cuore…

La casa divenne il suo rifugio. E proprio lì, nel silenzio di quei muri antichi, Federica imparò che, a volte, la famiglia è dove ci si sente davvero accolti, anche se i legami sono strani o lontani. La gratitudine non è nei beni ricevuti, ma nelle persone che, con amore e dedizione, ci donano la possibilità di ricominciare.

Oggi ho capito: non serve a nulla rimpiangere ciò che si è perso la vera ricchezza è saper abbracciare ciò che il destino, per vie misteriose, ci mette davanti.

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Questa non è casa tua Alena osservava con malinconia la casa dove era cresciuta fin da bambina. A diciotto anni si sentiva già completamente delusa dalla vita. Perché il destino doveva essere così crudele con lei? La nonna era morta, non era riuscita a entrare all’università per colpa di una ragazza seduta vicino a lei agli esami, che aveva copiato da lei e poi detto qualcosa all’orecchio dell’esaminatore, accusandola ingiustamente. Alla fine, quella ragazza si era scoperta essere la figlia di un notabile locale. Con certi personaggi non si discute. Ora, dopo tante delusioni, era ricomparsa nella sua vita la madre, assieme ai due fratelli e a un nuovo marito. Dove erano stati tutti quegli anni? Alena era stata cresciuta dalla nonna, la madre era rimasta con lei solo fino ai quattro anni. E di quei tempi non le restava alcun ricordo piacevole. Quand’era piccola, la madre la lasciava spesso sola per uscire a divertirsi, anche mentre era ancora sposata, e non ha mai nascosto la sua ricerca di “un uomo degno”. Poi, quando il padre di Alena era morto all’improvviso, la madre non aveva pensato troppo a piangerlo: aveva preso le sue cose, lasciato la figlia di quattro anni sul portico della nonna e, venduta la casa ereditata dal marito, era sparita chissà dove. Inutilmente nonna Rina cercava di richiamarla al suo dovere di madre. La madre faceva visita raramente e Alena non la interessava. Un giorno si era presentata, Alena aveva dodici anni, e portava con sé Svetoslav di sette anni, pretendendo che la madre intestasse la casa a lei. — No, Tamara! Non otterrai niente! — aveva opposto la madre con fermezza. — Vedrai che quando morirai sarà comunque mia! — aveva ribattuto la madre, lanciando ad Alena uno sguardo stizzito prima di radunare Svetoslav e andarsene sbattendo la porta. — Perché litigate ogni volta che viene? — aveva chiesto Alena alla nonna. — Perché tua madre è egoista! L’ho educata male! — aveva risposto la nonna Rina con amarezza. La malattia della nonna arrivò all’improvviso. Non si era mai lamentata, ma un giorno, tornando da scuola, Alena la trovò pallida in poltrona, senza voglia di far nulla. — Ti senti bene? — chiese Alena. — Chiamami l’ambulanza, cara… — rispose la nonna con voce tranquilla. Poi ospedale, flebo… e la morte. Gli ultimi giorni in rianimazione neppure fu possibile visitarla. Disperata dalla paura per la nonna, Alena chiamò la madre, che inizialmente rifiutò di venire, e solo quando seppe della rianimazione acconsentì a malavoglia. Arrivò per i funerali, e dopo tre giorni ficcò sotto il naso della figlia il testamento: — Questa casa adesso è mia e dei miei figli! Presto arriverà Oleg. So che tra di voi non scorre buon sangue, quindi dovrai stare per un po’ da zia Gabriella, va bene? Nella voce della madre non c’era la minima traccia di dolore. Sembrava quasi contenta che la nonna fosse morta: ora era lei l’erede. Alena, schiacciata dal lutto, non riuscì a opporsi. Così per qualche tempo abitò davvero dalla zia Gabriella, sorella del padre, donna frivola sempre circondata da ospiti rumorosi e mezzi ubriachi, e Alena non ce la faceva a sopportare quella situazione. Alcuni di quei tizi iniziavano persino ad avere attenzioni verso di lei, cosa che la riempiva di orrore. Raccontando tutto al fidanzato Paolo, Alena ricevette una risposta che la stupì e la rese felice: — Non posso sopportare che quei vecchi si permettano certe cose con te! — disse deciso, e aggiunse, pur avendo solo diciannove anni: — Parlo subito con mio padre. Abbiamo un monolocale in periferia: mi aveva promesso che mi ci avrebbe fatto vivere da solo una volta entrato all’università. Ho mantenuto la parola, ora tocca a lui. — Ma cosa c’entro io? — chiese Alena confusa. — Come, che c’entri? Vivremo insieme lì! — Ma i tuoi genitori saranno d’accordo? — Non hanno scelta! Consideralo come una proposta di matrimonio ufficiale: vuoi diventare mia moglie e vivere con me? Alena era talmente felice da mettersi quasi a piangere: — Sì, certo! Quando la zia seppe del matrimonio fu felice, mentre la madre quasi digrignò i denti: — Ti sposi? Guarda quanto sei furba! Non sei nemmeno riuscita a entrare all’università, eh? Non ti darò neanche un euro, chiaro? Questa casa è mia! Non avrai niente! Quella risposta ferì Alena. Paolo, tra le sue lacrime, riuscì a capire cos’era successo e la portò a casa dai suoi, che la consolarono e la imbottirono di tè. Ascoltando il racconto, il padre di Paolo, Andrea, intervenne: — Povera ragazza! Che madre hai avuto! — Ma a me interessa altro… — rifletté Andrea. — Perché tua madre si attacca così tanto a questa casa, se c’è un testamento, e continua a rinfacciartelo? — Non lo so… — singhiozzò Alena. — Da quando ricordo, litigavano per questa casa. La mamma voleva che la vendessero, poi che la nonna gliela intestasse, ma la nonna non ha mai accettato, diceva che così io sarei finita per strada. — Strano… Sei andata dal notaio dopo la morte della nonna? — No, perché? — Serve a riconoscere legalmente i diritti di eredità. — Ma l’erede è mia madre. E poi c’è il testamento… lei me lo ha fatto vedere. — È una cosa più complicata, — rispose Andrea. — Andiamo insieme dal notaio lunedì. Ora ti serve riposo. Nel frattempo, la madre cercò di far firmare ad Alena dei documenti, ma Paolo intervenne: — Non firmerà niente! — E tu chi sei? — sbottò la madre. — Il suo futuro marito e credo che le farebbero solo del male. Niente firme. La madre se ne andò di malumore. Andrea decise che c’era qualcosa che non quadrava. Come promesso accompagnò Alena dal notaio: — Ascolta bene e controlla tutto prima di firmare! Il notaio confermò: era già stato aperto un fascicolo di successione su Alena stessa. Scoprirono che la nonna aveva lasciato un piccolo conto per l’università di Alena, di cui nessuno sapeva. — E per la casa? — domandò Andrea. — È già donata alla ragazza da diverso tempo. La nonna vi aveva lasciato una donazione ufficiale. Alena ha compiuto da poco diciotto anni, quindi ora può gestirla come vuole. — E il testamento? — Era precedente, poi annullato. Forse la madre non lo sa. La casa è sua, Alena può viverci. I sospetti erano fondati. — Che facciamo ora? — chiese Alena smarrita all’uscita. — Semplice: comunica a tua madre che la casa è tua e lei deve lasciarla. — Ma non lo farà mai! Vuole perfino buttare fuori le mie cose! — Allora c’è la polizia. La madre, sentita la notizia, andò su tutte le furie: — Ah, mi vuoi cacciare di casa tua madre? Sogna! Ho le carte che dicono che la casa è mia! Mia madre mi aveva indicata erede sul testamento! — Proprio così, quindi andatevene o vi caccio io! — urlò Oleg, il fratello, intervenendo minaccioso. Andrea non si mosse. — Attenzione, per le minacce rischiate una denuncia! — lo mise in guardia Andrea con calma. — Chi credi di essere? Questa casa è in vendita, tra poco arriveranno i compratori! Ma invece arrivò la polizia. Capito l’accaduto, intimarono agli abusivi di lasciare la casa, pena denuncia. Tamara, il marito e i figli, furiosi, non poterono opporsi. Alena tornò finalmente a casa sua. Paolo si trasferì con lei per proteggerla, temendo rappresaglie. E aveva ragione: per un po’, Tamara e Oleg continuarono a molestarla. Quando scoprirono l’esistenza del conto, la madre riuscì a ottenere parte del denaro, ma la casa rimase inattaccabile. Solo dopo avere consultato qualunque avvocato, Tamara smise di tormentarla e tornò con la sua famiglia altrove. Alena non la rivide mai più. Alena e Paolo si sposarono. L’estate successiva lei entrò all’università nella facoltà dei suoi sogni e, già al terzo anno, diede alla luce il primo figlio. Fu sempre grata al marito e alla sua famiglia per il sostegno, e visse una vita felice. Autrice: Odette