Non l’hai meritato – Dopo il divorzio pensavo che non sarei più riuscito a fidarmi di nessuno, – diceva Andrea, rigirando tra le dita una tazzina vuota di espresso, la voce incrinata di un’emozione così vera che Xenia si sporse in avanti senza nemmeno accorgersene. – Sai, quando vieni tradito, perdi una parte di te. Lei mi ha inflitto una ferita nell’anima che non si rimarginerà mai. Credevo di non farcela, di non uscire mai dal dolore… Andrea, sospirando, raccontava la sua storia. Della moglie che non lo aveva apprezzato. Del dolore che non voleva lasciarlo. Della paura di ricominciare tutto da capo. Ogni parola di lui si posava sul cuore di Xenia come un sassolino caldo, e lei si vedeva già nel ruolo della donna che gli avrebbe ridato fiducia nell’amore. Che avrebbe curato le sue ferite insieme a lui. E che lui avrebbe capito che la vera felicità era possibile solo insieme a lei. Di Massimo Andrea accennò al secondo appuntamento, tra il dessert e il caffè… – Ho anche un figlio, sai, Massimo, ha sette anni. Sta con la madre ma ogni weekend è con me. Lo ha deciso il giudice. – Che bello! – Xenia sorrise radiosa. – I bambini sono una felicità. Nella sua testa già scorrevano immagini: colazioni del sabato in tre, passeggiate al parco, serate di film sul divano. Un bambino ha bisogno di dolcezza, di un tocco materno. E lei sarebbe diventata una seconda mamma – non la vera, certo, ma una presenza vicina e cara… – Ma sei sicura? – le chiese Andrea, con uno strano sorriso che Xenia prese per diffidenza. – Tante donne se la danno a gambe quando scoprono che ho un figlio. – Io non sono “tante”, – ribatté con fierezza. …Il loro primo weekend con Massimo fu quasi una festa. Xenia cucinò pancake ai mirtilli – il suo dolce preferito, come aveva detto Andrea. Si armò di pazienza con il libro di matematica, spiegò le addizioni con semplicità. Lavò la maglietta coi dinosauri, stirò la divisa scolastica, e si assicurò che alle nove fosse già a letto. – Devi riposarti, – disse un giorno ad Andrea, vedendolo stendersi sul divano col telecomando. – Ci penso io. Andrea annuì – un cenno che allora le era sembrato di gratitudine. Ora sapeva che era il cenno di chi vede il proprio tornaconto accettato come naturale. … I mesi divennero anni. Xenia lavorava come responsabile in una ditta di logistica, usciva di casa alle otto e rientrava la sera. Lo stipendio era buono – per Milano. Bastava per due. Ma loro erano in tre. – In cantiere è saltato tutto di nuovo, – sospirava Andrea, come comunicasse una calamità naturale. – Il cliente mi ha bidonato. Ma presto arriva un gran contratto, te lo prometto. Quel gran contratto ormai era una leggenda che durava da più di un anno. Ogni tanto sembrava dietro l’angolo, poi di nuovo sfuggiva ma non si concretizzava mai. Invece le scadenze di bollette e spese erano puntuali. Affitto. Luce. Internet. Spesa. Mantenimento per Marina. Scarpe nuove per Massimo. Refezione scolastica. Xenia pagava tutto senza dire niente. Si portava la schiscetta con la pasta al lavoro, rinunciava al taxi anche con la pioggia. La manicure ormai era un lusso dimenticato – si limava le unghie da sola, senza pensarci più. In tre anni Andrea le aveva regalato fiori solo tre volte. Xenia ricordava ciascun mazzo – rose da offerta presi nel chiosco vicino alla metro sotto casa, già un po’ tristi, con le spine spezzate… La prima volta per scusarsi dopo averle dato della “isterica” davanti a Massimo. La seconda, dopo il litigio per una sua amica capitata senza avviso. La terza, perché si era dimenticato del compleanno di lei, distratto dai colleghi. – Andrea, non chiedo regali costosi, – cercava di spiegare Xenia in tono pacato. – Ma ogni tanto vorrei solo sapere che pensi a me. Anche solo un biglietto… Lui subito si rabbuiava. – Pensi solo ai soldi e ai regali! E l’amore non conta? E tutto quello che ho passato? – Non intendevo questo… – Non te lo sei meritata. – Andrea le gettò quelle parole in faccia come fango. – Dopo tutto quello che faccio per te hai anche il coraggio di pretendere di più! Xenia taceva. Era sempre così. Era più facile. Più facile vivere, respirare, far finta che andasse tutto bene. Eppure, per le uscite con gli amici, Andrea i soldi li trovava sempre. Bar, partite di calcio, giovedì sera in birreria. Tornava a casa allegro, odorando di fumo e sudore, crollava a letto senza vedere che Xenia era ancora sveglia. Lei si convinceva: è così che deve essere. Amare è sacrificio. Amare è pazienza. Lui cambierà. Sicuramente cambierà. Basta aspettare ancora un po’. Dargli più attenzioni, volergli ancora più bene, visto tutto quello che ha passato… … Parlare di matrimonio era come girare tra le bombe. – Ma tanto stiamo bene così, che ci serve un pezzo di carta? – Andrea scacciava l’argomento come una mosca fastidiosa. – Dopo quello che ho passato con Marina ho bisogno di tempo. – Tre anni, Andrea. Tre anni sono tanti. – Mi stai mettendo pressione. Sempre pressione! – E si alzava infastidito andando da un’altra parte. Fine del discorso. Xenia voleva dei figli. Suoi, veri. Aveva ventotto anni e il suo orologio biologico batteva forte. Ma Andrea non voleva diventare papà per la seconda volta – aveva già un figlio, e per lui bastava. … Quel sabato, Xenia chiese solo un giorno. Uno solo. – Le ragazze mi invitano da loro. Sono mesi che non ci vediamo. Torno la sera. Andrea la fissò come se lei avesse annunciato una fuga all’estero. – E Massimo? – Sei suo padre. Passerai la giornata con lui. – Quindi ora ci abbandoni? Proprio di sabato? E io che volevo riposare? Xenia sbatté le ciglia, una, due volte. In tre anni non li aveva mai lasciati da soli. Mai chiesto una giornata libera. Lei cucinava, puliva, aiutava Massimo con i compiti, lavava e stirava – e intanto lavorava a tempo pieno. – Vorrei solo vedere le amiche. Qualche ora… E comunque è tuo figlio, Andrea. Non puoi passare una giornata da solo con lui? – Devi amare mio figlio come me! – urlò Andrea all’improvviso. – Vivi nella mia casa, mangi la mia roba, e adesso vuoi pure fare la difficile?! La sua casa. Il suo cibo. Ma Xenia pagava l’affitto. Xenia comprava la spesa col suo stipendio. Tre anni a mantenere un uomo che la sgridava per aver chiesto mezza giornata con le amiche. Lo fissava – la faccia stravolta, la vena gonfia in fronte, i pugni chiusi – e lo vedeva davvero per la prima volta. Non la vittima infelice, non un’anima persa da salvare, ma un uomo adulto che aveva imparato a sfruttare la bontà altrui. Per lui Xenia non era un amore, né una promessa di futuro. Era una banca e una collaboratrice domestica, tutto gratis. Quando Andrea uscì per accompagnare Massimo dalla madre, Xenia prese la valigia. Le mani decise, stabili – niente titubanze. Documenti. Telefono. Caricatore. Qualche maglietta. I jeans. Il resto si compra. O non serve più. Non lasciò un biglietto. Non serve spiegare niente a chi non ti considera. La porta si chiuse alle sue spalle senza rumore, senza teatro… Le telefonate cominciarono dopo un’ora. Prima una, poi l’altra, poi una raffica continua a far vibrare il telefono. – Xenia, dove sei?! Cos’è successo?! Torno e tu non ci sei! Ma ti rendi conto?! Dov’è la cena? Devo stare a digiuno? Che razza di comportamento è questo! Lei ascoltava quella voce – arrabbiata, pretenziosa, indignata – e si stupiva. Anche adesso, dopo che era andata via, Andrea pensava solo a se stesso. Al suo disagio. A chi avrebbe cucinato. Nessun “scusa”. Nessun “cosa ti è successo”. Solo “come osi”. Xenia bloccò il numero. Poi anche i messaggi. I social. Ovunque lui potesse trovarla, lei aveva messo un muro. Tre anni. Tre anni con chi non l’amava. Che usava la sua bontà fino a consumarla. Che le aveva fatto credere che annullarsi fosse amore. Ma l’amore vero non è questo. L’amore non umilia. Non riduce una persona viva a una cameriera. Xenia usciva nella sera d’estate a Milano, e per la prima volta da tempo respirava a pieni polmoni. Si giurò che non avrebbe mai più confuso l’amore con l’autosacrificio. Che non avrebbe mai più salvato chi sapeva premere solo sul senso di colpa. E che, da quel giorno, avrebbe scelto solo se stessa. Sempre e solo se stessa…

Non te la sei meritata

Pensavo che dopo il divorzio non sarei mai più riuscito a fidarmi di nessuno mormorava Andrea, facendo girare fra le dita una tazza vuota di espresso. La sua voce fragile, quasi spezzata, sembrava tremare, e Chiara, senza volerlo, si spinse in avanti ad ascoltarlo. Quando ti tradiscono, è come se ti strappassero via una parte dellanima. Lei mi ha lasciato ferite che non si rimarginano più. Per molto tempo ero certo che non ne sarei mai uscito che non avrei più sopportato tutto questo.

Andrea sospirava pesantemente, raccontando la sua storia. Sua moglie, che non lo apprezzava. Il dolore sempre presente. La paura di ricominciare, di fidarsi di nuovo. Ogni parola cadeva sul cuore di Chiara come piccole pietre calde: già simmaginava come la donna capace di restituirgli fiducia nellamore, quella che avrebbe guarito le sue ferite, quella che gli avrebbe mostrato che la vera felicità esiste, ma solo lei saprebbe meritarsela.

Di Massimo Andrea parlò al secondo appuntamento, tra la crostata di ricotta e il caffè.

A proposito, ho un figlio. Si chiama Massimo, ha sette anni. Vive con la madre, ma ogni fine settimana sta con me. È stato il tribunale a decidere così.
È bellissimo! esclamò Chiara con uno di quei suoi sorrisi luminosi. I bambini sono una benedizione.

Già vedeva nella fantasia le colazioni del sabato in tre, le passeggiate ai Giardini Margherita, le serate sul divano con i cartoni animati. Un bambino ha bisogno di una presenza femminile, di calore materno. Sarebbe diventata la sua seconda mamma non una sostituta, certo, ma una presenza importante, dolce, indispensabile.

Davvero non ti pesa? Andrea la guardava con unespressione ambigua, una specie di sorriso deformato che Chiara scambiò per insicurezza. Molte donne se la danno a gambe quando scoprono che ho un figlio.
Io non sono molte donne, rispose fiera.

Il primo fine settimana con Massimo si trasformò in una piccola festa onirica. Chiara preparò frittelle ai mirtilli le preferite di Massimo, come laveva avvisata Andrea. Si sedette accanto a lui spiegandogli con pazienza laritmetica, lavò la sua maglietta con i dinosauri, stirò la divisa della scuola, e alle nove precise lo mise a dormire.

Dovresti riposare, sussurrò ad Andrea, vedendolo affondato sul divano con il telecomando. A Massimo penso io.

Andrea annuì fu un cenno grato, pensò lei. Solo dopo avrebbe capito che era il cenno di chi accetta semplicemente ciò che gli spetta.

I mesi si piegavano luno sullaltro, come carte da gioco di un mazzo troppo stanco, e divennero anni. Chiara lavorava come responsabile logistica in una ditta di trasporti di Bologna. Entrava alle otto e tornava alle sette di sera. Lo stipendio era buono per Bologna. Bastava per due. Ma loro erano in tre.

Al cantiere ci sono sempre ritardi, Andrea ne parlava come del diluvio universale. Il committente ha mollato tutto. Presto però arriverà un contratto grosso, vedrai.

Quel contratto appariva sullorizzonte sempre da un anno e mezzo. A volte sembrava vicinissimo, altre lontano, ma mai reale. I conti, invece, arrivavano puntuali: laffitto, la luce, la bolletta dellENEL, la spesa, il bonifico per Simona, la madre di Massimo. Le scarpe nuove di Massimo. Le quote dellassociazione sportiva.
Chiara pagava tutto in silenzio. Risparmiava sul pranzo portandosi pasta fredda da casa, niente taxi nemmeno con la pioggia. Da più di un anno niente estetista, le unghie se le limava lei, pensando a quando ancora poteva concedersi qualche coccola.

In tre anni Andrea le aveva regalato dei fiori solo tre volte. Li ricordava tutti: mazzi di rose economiche della bancarella alla stazione, già stanche e piene di spine spezzate, probabilmente in offerta

La prima volta fu per chiedere scusa, dopo averle urlato contro davanti a Massimo. La seconda per un litigio a causa di una sua amica arrivata allimprovviso. La terza volta, per dimenticanza: non si presentò il giorno del suo compleanno, rimasto a giocare a carte dagli amici.

Andrea, non voglio regali costosi, cercava di non alzare la voce, ogni parola una carezza. Ma ogni tanto vorrei sapere che pensi a me. Anche solo un biglietto

Il suo viso si deformava subito.

Per te contano solo i soldi, eh? Solo i regali? Mai che ti importi dellamore, mai di quello che ho passato io!
Non sto dicendo questo…
Non te la sei meritata, Andrea le lanciò quelle parole come se fossero terra sporca. Dopo tutto quello che faccio per te, pure le lamentele?

Chiara taceva. Tacere era più facile. Facile per vivere, per respirare, per fingere che tutto andasse bene.

Eppure, i soldi per laperitivo con gli amici Andrea li trovava sempre. Bar, Serie A in tv la domenica, caffè al bar il giovedì sera. Tornava su di giri, sudato e impregnato di fumo, crollava in camera senza vedere Chiara ancora sveglia a fissare il soffitto.

Lei si ripeteva che doveva andare così. Lamore è sacrificio. Lamore è pazienza. Lui sarebbe cambiato. Si sarebbe aperto, se solo lei avesse aspettato ancora un po. Aveva sofferto tanto, doveva solo amarlo ancora più forte.

Le conversazioni sul matrimonio erano diventate un sentiero minato.

Siamo felici così, cosa cambia la firma? Andrea scacciava il discorso come una zanzara destate. Dopo quello che mi ha fatto Simona, ho bisogno di tempo.
Sono tre anni, Andrea. Tre.
Pressi sempre! Mi fai solo pressione! Urlava e si chiudeva in camera. E tutto restava sospeso.

Chiara desiderava dei figli. Suoi, di sangue. Aveva ventotto anni, e quel ticchettio incantato del sogno della maternità la teneva sveglia, sempre più forte. Ma Andrea non ne voleva sapere: aveva già un figlio, bastava così.

Quel sabato, gli chiese solo una cosa. Un solo giorno.

Le ragazze mi invitano da loro. È tanto tempo che non ci vediamo. Rientro stasera.

Andrea la guardò come se lei avesse detto che stava salpando per lArgentina.

E Massimo?
È tuo figlio. Passa la giornata con lui.
Così ci abbandoni? Di sabato? Proprio quando volevo riposare?

Chiara sbatté le ciglia, poi di nuovo. In tre anni non aveva mai lasciato soli Andrea e Massimo. Mai preteso un giorno libero. Lei cucinava, puliva, aiutava Massimo coi compiti, lavava, stirava e lavorava a tempo pieno.

Voglio solo vedere le amiche. Poche ore tantè che Massimo è tuo figlio, Andrea. Non puoi restare con lui un giorno senza di me?
Devi amare mio figlio come me! urlò Andrea allimprovviso. Vivi a casa mia, mangi il mio cibo, e ora vuoi pure fare la preziosa?!

Casa sua. Cibo suo. Laffitto lo pagava Chiara. La spesa la comprava Chiara. Da tre anni manteneva un uomo che le urlava perché voleva vedere le amiche.

Guardò Andrea il volto contorto, la vena gonfia sulla tempia, i pugni stretti e lo vide davvero per la prima volta. Non più una vittima pietosa da salvare. Non unanima perduta bisognosa di cure. Ma un uomo adulto che ha imparato a sfruttare la bontà degli altri senza limiti.
Per lui, Chiara non era una compagna, né una promessa sposa. Era una banca senza sportelli e una colf gratuita. E nientaltro.

Quando Andrea uscì per riportare Massimo da Simona, Chiara prese una borsa da viaggio. Mani ferme, decise, niente tremori, niente più paure. Documenti, telefono, carica-batteria, due magliette, un paio di jeans. Il resto si compra. Il resto non conta.

Non lasciò nessun biglietto. A cosa serve spiegare qualcosa a chi non ti vede?

La porta si chiuse alle sue spalle, lieve, quasi senza suono.

Le chiamate arrivarono dopo unora. Prima una, poi unaltra, poi ancora: squilli senza pausa, il cellulare che vibrava come un insetto.

Chiara dove sei?! Che succede?! Torno e non ci sei! Cosè questa storia?! E la cena? Mi vuoi far morire di fame? Che vergogna!

Lei ascoltava la voce di Andrea arrabbiata, esigente, satura di indignazione e restava stupefatta. Anche ora che era andata via, Andrea pensava a sé. Al suo disagio. Chi ora gli avrebbe fatto la cena.
Nessun scusa. Nessun che succede?. Solo chi credi dessere?
Chiara bloccò il suo numero. Poi il suo profilo su WhatsApp. Nei social, ovunque potesse trovarla, eresse muri.

Tre anni. Tre anni con chi non ti ha mai amato. Tre anni con chi aveva preso la tua bontà e la aveva consumata, usata come letame per il proprio orto. Tre anni per convincerla che il dolore fosse amore.

Ma non è così. Lamore non è umiliazione. Lamore non è essere lombra silenziosa di una casa.

Chiara attraversava Piazza Maggiore mentre Bologna si accendeva di lampioni. Ora il suo respiro era leggero, finalmente. E si promise: mai più confondere lamore col sacrificio cieco. Mai più salvare chi si nutre solo della tua compassione.
Scelse se stessa. Per la prima volta, solo se stessa.

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Non l’hai meritato – Dopo il divorzio pensavo che non sarei più riuscito a fidarmi di nessuno, – diceva Andrea, rigirando tra le dita una tazzina vuota di espresso, la voce incrinata di un’emozione così vera che Xenia si sporse in avanti senza nemmeno accorgersene. – Sai, quando vieni tradito, perdi una parte di te. Lei mi ha inflitto una ferita nell’anima che non si rimarginerà mai. Credevo di non farcela, di non uscire mai dal dolore… Andrea, sospirando, raccontava la sua storia. Della moglie che non lo aveva apprezzato. Del dolore che non voleva lasciarlo. Della paura di ricominciare tutto da capo. Ogni parola di lui si posava sul cuore di Xenia come un sassolino caldo, e lei si vedeva già nel ruolo della donna che gli avrebbe ridato fiducia nell’amore. Che avrebbe curato le sue ferite insieme a lui. E che lui avrebbe capito che la vera felicità era possibile solo insieme a lei. Di Massimo Andrea accennò al secondo appuntamento, tra il dessert e il caffè… – Ho anche un figlio, sai, Massimo, ha sette anni. Sta con la madre ma ogni weekend è con me. Lo ha deciso il giudice. – Che bello! – Xenia sorrise radiosa. – I bambini sono una felicità. Nella sua testa già scorrevano immagini: colazioni del sabato in tre, passeggiate al parco, serate di film sul divano. Un bambino ha bisogno di dolcezza, di un tocco materno. E lei sarebbe diventata una seconda mamma – non la vera, certo, ma una presenza vicina e cara… – Ma sei sicura? – le chiese Andrea, con uno strano sorriso che Xenia prese per diffidenza. – Tante donne se la danno a gambe quando scoprono che ho un figlio. – Io non sono “tante”, – ribatté con fierezza. …Il loro primo weekend con Massimo fu quasi una festa. Xenia cucinò pancake ai mirtilli – il suo dolce preferito, come aveva detto Andrea. Si armò di pazienza con il libro di matematica, spiegò le addizioni con semplicità. Lavò la maglietta coi dinosauri, stirò la divisa scolastica, e si assicurò che alle nove fosse già a letto. – Devi riposarti, – disse un giorno ad Andrea, vedendolo stendersi sul divano col telecomando. – Ci penso io. Andrea annuì – un cenno che allora le era sembrato di gratitudine. Ora sapeva che era il cenno di chi vede il proprio tornaconto accettato come naturale. … I mesi divennero anni. Xenia lavorava come responsabile in una ditta di logistica, usciva di casa alle otto e rientrava la sera. Lo stipendio era buono – per Milano. Bastava per due. Ma loro erano in tre. – In cantiere è saltato tutto di nuovo, – sospirava Andrea, come comunicasse una calamità naturale. – Il cliente mi ha bidonato. Ma presto arriva un gran contratto, te lo prometto. Quel gran contratto ormai era una leggenda che durava da più di un anno. Ogni tanto sembrava dietro l’angolo, poi di nuovo sfuggiva ma non si concretizzava mai. Invece le scadenze di bollette e spese erano puntuali. Affitto. Luce. Internet. Spesa. Mantenimento per Marina. Scarpe nuove per Massimo. Refezione scolastica. Xenia pagava tutto senza dire niente. Si portava la schiscetta con la pasta al lavoro, rinunciava al taxi anche con la pioggia. La manicure ormai era un lusso dimenticato – si limava le unghie da sola, senza pensarci più. In tre anni Andrea le aveva regalato fiori solo tre volte. Xenia ricordava ciascun mazzo – rose da offerta presi nel chiosco vicino alla metro sotto casa, già un po’ tristi, con le spine spezzate… La prima volta per scusarsi dopo averle dato della “isterica” davanti a Massimo. La seconda, dopo il litigio per una sua amica capitata senza avviso. La terza, perché si era dimenticato del compleanno di lei, distratto dai colleghi. – Andrea, non chiedo regali costosi, – cercava di spiegare Xenia in tono pacato. – Ma ogni tanto vorrei solo sapere che pensi a me. Anche solo un biglietto… Lui subito si rabbuiava. – Pensi solo ai soldi e ai regali! E l’amore non conta? E tutto quello che ho passato? – Non intendevo questo… – Non te lo sei meritata. – Andrea le gettò quelle parole in faccia come fango. – Dopo tutto quello che faccio per te hai anche il coraggio di pretendere di più! Xenia taceva. Era sempre così. Era più facile. Più facile vivere, respirare, far finta che andasse tutto bene. Eppure, per le uscite con gli amici, Andrea i soldi li trovava sempre. Bar, partite di calcio, giovedì sera in birreria. Tornava a casa allegro, odorando di fumo e sudore, crollava a letto senza vedere che Xenia era ancora sveglia. Lei si convinceva: è così che deve essere. Amare è sacrificio. Amare è pazienza. Lui cambierà. Sicuramente cambierà. Basta aspettare ancora un po’. Dargli più attenzioni, volergli ancora più bene, visto tutto quello che ha passato… … Parlare di matrimonio era come girare tra le bombe. – Ma tanto stiamo bene così, che ci serve un pezzo di carta? – Andrea scacciava l’argomento come una mosca fastidiosa. – Dopo quello che ho passato con Marina ho bisogno di tempo. – Tre anni, Andrea. Tre anni sono tanti. – Mi stai mettendo pressione. Sempre pressione! – E si alzava infastidito andando da un’altra parte. Fine del discorso. Xenia voleva dei figli. Suoi, veri. Aveva ventotto anni e il suo orologio biologico batteva forte. Ma Andrea non voleva diventare papà per la seconda volta – aveva già un figlio, e per lui bastava. … Quel sabato, Xenia chiese solo un giorno. Uno solo. – Le ragazze mi invitano da loro. Sono mesi che non ci vediamo. Torno la sera. Andrea la fissò come se lei avesse annunciato una fuga all’estero. – E Massimo? – Sei suo padre. Passerai la giornata con lui. – Quindi ora ci abbandoni? Proprio di sabato? E io che volevo riposare? Xenia sbatté le ciglia, una, due volte. In tre anni non li aveva mai lasciati da soli. Mai chiesto una giornata libera. Lei cucinava, puliva, aiutava Massimo con i compiti, lavava e stirava – e intanto lavorava a tempo pieno. – Vorrei solo vedere le amiche. Qualche ora… E comunque è tuo figlio, Andrea. Non puoi passare una giornata da solo con lui? – Devi amare mio figlio come me! – urlò Andrea all’improvviso. – Vivi nella mia casa, mangi la mia roba, e adesso vuoi pure fare la difficile?! La sua casa. Il suo cibo. Ma Xenia pagava l’affitto. Xenia comprava la spesa col suo stipendio. Tre anni a mantenere un uomo che la sgridava per aver chiesto mezza giornata con le amiche. Lo fissava – la faccia stravolta, la vena gonfia in fronte, i pugni chiusi – e lo vedeva davvero per la prima volta. Non la vittima infelice, non un’anima persa da salvare, ma un uomo adulto che aveva imparato a sfruttare la bontà altrui. Per lui Xenia non era un amore, né una promessa di futuro. Era una banca e una collaboratrice domestica, tutto gratis. Quando Andrea uscì per accompagnare Massimo dalla madre, Xenia prese la valigia. Le mani decise, stabili – niente titubanze. Documenti. Telefono. Caricatore. Qualche maglietta. I jeans. Il resto si compra. O non serve più. Non lasciò un biglietto. Non serve spiegare niente a chi non ti considera. La porta si chiuse alle sue spalle senza rumore, senza teatro… Le telefonate cominciarono dopo un’ora. Prima una, poi l’altra, poi una raffica continua a far vibrare il telefono. – Xenia, dove sei?! Cos’è successo?! Torno e tu non ci sei! Ma ti rendi conto?! Dov’è la cena? Devo stare a digiuno? Che razza di comportamento è questo! Lei ascoltava quella voce – arrabbiata, pretenziosa, indignata – e si stupiva. Anche adesso, dopo che era andata via, Andrea pensava solo a se stesso. Al suo disagio. A chi avrebbe cucinato. Nessun “scusa”. Nessun “cosa ti è successo”. Solo “come osi”. Xenia bloccò il numero. Poi anche i messaggi. I social. Ovunque lui potesse trovarla, lei aveva messo un muro. Tre anni. Tre anni con chi non l’amava. Che usava la sua bontà fino a consumarla. Che le aveva fatto credere che annullarsi fosse amore. Ma l’amore vero non è questo. L’amore non umilia. Non riduce una persona viva a una cameriera. Xenia usciva nella sera d’estate a Milano, e per la prima volta da tempo respirava a pieni polmoni. Si giurò che non avrebbe mai più confuso l’amore con l’autosacrificio. Che non avrebbe mai più salvato chi sapeva premere solo sul senso di colpa. E che, da quel giorno, avrebbe scelto solo se stessa. Sempre e solo se stessa…