Dopo anni di convivenza mi ha detto, con voce ferma, che si è innamorato. Non di me e non ha intenzione di nasconderlo.
Ho preparato del tè, perché quando il mondo inizia a perdere i contorni luomo, per istinto, lo ripara con lacqua bollente. Lui era appoggiato alla soglia, come se fosse appena tornato da una corsa, non da una decisione che capovolge una casa. Parlava calmo, come quando si spostano gli impegni del finesettimana.
«Mi sono innamorato. Non voglio mentirti. Non saprei fermarlo». Ogni parola sagomata, senza aggettivi né abbellimenti. In quella limpidezza cera una crudeltà bianca, fredda come la luce di un ospedale.
Quindici anni prima mi aveva portato a quel civico, a via dei Tigli, a Bologna. «Qui avremo una cucina con un tavolo lungo», rideva, tamburellando le nocche sul muro grezzo. La cucina cè. Il tavolo cè.
Col tempo quel luogo è diventato il tribunale delle piccole alleanze quotidiane: chi va allasilo, chi al dentista, chi ordina il sacco di pellet, chi attende il ritorno dei genitori. Quei pattosussurri sono appiccicosi come il miele sembrano dolci, ma legano le mani. Forse è da quella dolce costrizione che è nato il suo attuale sereno. «Mi sono innamorato» suonava come: «ho fatto qualcosa di vivo».
Lo sai che non è una lettera a Babbo Natale? ho chiesto. Non ti stai ordinando innamoramento a domicilio.
Lo so ha risposto. Ma non voglio fingere che nulla accada. Sarebbe peggio.
Peggio per chi? Per lui, che non riesce a portare il peso di un segreto, o per me, costretta a sollevare la sua onestà? Ho posto davanti a lui la tazza. Il vapore del tè cercava di nascondere i nostri volti.
Non ho chiesto dettagli. Non volevo un catalogo di tradimenti: date, luoghi, sorprese. Il tradimento non ha bisogno di un calendario per far male. Ho chiesto solo una cosa:
Cosa intendi fare?
Non lo so si è seduto. So solo che non voglio farti del male. Ma non voglio nemmeno trasformare la vita di qualcun altro in un piano. Pensavo a una pausa, a concederci tempo.
Il tempo, parola che da un uomo adulto può suonare come culla per la mia responsabilità. Ho preso un sorso di tè. Il gusto era metallico.
Per un attimo ho sentito nella testa tutti i nostri un giorno: un giorno in camper lungo la costiera amalfitana, un giorno imparerò a fare il ragù, un giorno ristruttureremo il balcone. Un giorno, cioè quando tutto sarà sistemato. Nel frattempo urgente era varcato la soglia e si era seduto al tavolo.
Non voglio competere con te ho detto a bassa voce. né organizzare casting per un amore migliore.
Non voglio competizione ha risposto subito. Voglio verità.
La verità ha anche conseguenze gli ho ricordato. Non è una parola carina. La verità è scatole, indirizzi, numeri di conto, chiacchiere con i bambini. La verità è una scelta che non si traduce in vedremo.
Lui ha annuito. Per la prima volta ha abbassato lo sguardo. Ho visto le sue mani posarci sul tavolo, come se contarono tendini. Non avevo mai notato le sue mani; ora mi sembravano quelle che avevano avvitato il nostro tavolo, quelle che ora volevano avvitare un futuro altrove.
Mi sono avvicinata. Sapevo che dovevo stabilire le regole prima che le emozioni ci spezzassero le sedie.
Stai nella stanza degli ospiti oggi ho detto. Domani mattina raccoglierai qualche cosa. Non per cacciarti via, ma perché questa casa non è una sala dattesa per lindecisione.
Daccordo ha replicato. Scusa.
Le scuse sono per te. Per me sono fatti lho interrotta. I bambini sapranno da me e da te, insieme. Senza racconti di cose complicate. Capiranno solo ciò che potranno, ma non faremo recitare il teatro del tutto bene.
Il silenzio si è riempito di ticchettii dellorologio più forti del solito. In cucina il profumo di limone del detergente si mescolava al rumore dei minuti. Ho realizzato che, per anni, avevamo costruito la casa con suoni: risate, chiacchiere, la radio, anche quel maledetto ticchettio. Ora un solo annuncio aveva trasformato tutto in una palestra silenziosa dopo le lezioni.
Mi sono alzata, ho aperto la finestra. Laria fresca mi ha infilato piccoli aculei sulla pelle. Lui è avvicinato di un passo, come per toccare, ma si è fermato. Un segno buono. Forse, per la prima volta da molto tempo, ha capito che innamorarsi non gli concede un mandato su territori altrui.
La sera, dopo cena con i bambini (parlavamo con cautela, senza dettagli; la figlia ha serrato le labbra, il figlio ha chiesto se fosse per sempre), ha chiuso la valigia. Non con drammaticità, ma con passi silenziosi. Ha lasciato la giacca sul gancio quella in cui perdeva sempre gli scontrini. Ho pensato che in quella giacca ci fosse più della nostra vita che nelle sue parole odierne.
Dove vai? ho chiesto.
Da un amico. Ho la chiave ha risposto. Non voglio lasciarti il disordine.
Il disordine è già qui ho replicato, senza amarezza. Solo che è invisibile.
Ha sorriso, triste. Non so se è giusto dirti così.
È stato sbagliato tacere ho risposto. È stato sbagliato ferire. Ma il peggio è ferire e chiedere di non alzare la voce. Io non alzerò la voce. Metterò ordine.
Quando è uscito nella seconda stanza, ho preso il taccuino e le chiavi. Non per riorganizzare la vita su una tabella, ma per annotare tre frasi che potrei portare: Non gareggerò. Non fingirò. Non sarò il suo appiglio per i dubbi. Ho chiuso il taccuino. Basta.
La notte era tagliente come vetro. Voltandomi da un lato allaltro, pensavo a tutte le donne che hanno ricevuto onestà come regalo senza scontrino. A quelle che sono rimaste per i figli. A quelle che sono uscite per se stesse. Al mattino mi sono alzata con un leggero movimento, come se il corpo volesse correre avanti.
Ho fatto il caffè e mi sono seduta al davanzale. Lui è uscito dalla stanza degli ospiti con la maglia da corsa, una borsa in mano. Non mi ha guardato chiedendo un verdetto. Ed era giusto.
Devo portare altro? ha chiesto.
Sì ho risposto dopo un attimo. Prendi il tuo vedremo. Lasciami il silenzio. Lo domerò.
Ha annuito, ha baciato laria dove un tempo era il mio guancia. Ha chiuso la porta con un click quasi impercettibile. Ho sentito i suoi passi scendere le scale. Uno, due, tre sei piani. Quando il rumore è cessato, lappartamento è rimasto inspiegabilmente più nitido.
Ho aperto il frigo, preso il latte, avviato la lavastoviglie. La quotidianità può essere più coraggiosa di grandi gesti. Ho mandato al lavoro un messaggio: Prendo un giorno di riposo. Ho chiamato la amica: Ho bisogno di una passeggiata. Ho posato lanello di famiglia sul piattino dei bicchieri. Non per ribellione, ma per cura di me stessa.
La sera è arrivato un SMS da lui: Sono al sicuro. Penso a noi. Non voglio che finisca. Dopo una lunga pausa ho risposto: Non voglio essere una vita a metà per nessuno. Se vuoi stare con lei, vai. Se vuoi stare con me, torna, ma senza piani paralleli. Non oggi. E non con lamore tra virgolette.
Non ha più scritto. E va bene. A volte il silenzio è la prima parola onesta.
Possiamo incontrarci ancora dallaltro lato dello stesso tavolo? Non lo so. So solo che non starò più sulla soglia a diventare un punto interrogativo. Domani cambierò le lenzuola, sposterò le tazze, porterò i cartoni in cantina. Non come rituale di rottura, ma come preparazione di un luogo per ciò che verrà: o io intera, o noi interi.
E se un giorno mi chiederà se rimpiango di avergli detto di uscire quel giorno, risponderò: non rimpiango di aver aperto la finestra, anche se entra un soffio di vento. Solo nellaria fresca si può capire se ciò che resta ha ancora respiro.
Talvolta, nelle ore tarde, quando lappartamento si addormenta più in fretta di me, una piccola voce sussurra nella mente: E se avessi dovuto trattenerlo un attimo di più?






