Non hanno fatto entrare la figlia
Ma perché non lavete fatta entrare? Enrica si decise finalmente a chiedere quello che le girava in testa senza tregua. Una volta la facevate sempre entrare
La madre fece un sorriso amaro.
Perché ho paura per te, Enri. Pensi che noi non vediamo come ti rannicchi in un angolo, appena tua sorella riesce a trascinarsi in casa nel cuore della notte? Come nascondi i tuoi libri per paura che lei li distrugga? Lei, quando ti guarda, si arrabbia. Si arrabbia perché tu sei normale. Perché a te la vita può ancora offrire qualcosa, mentre la sua ormai lha annegata nel vino molto tempo fa
Enrica abbassò la testa, paralizzata sopra i libri spalancati: dalla stanza accanto stava per scoppiare lennesimo dramma.
Il padre nemmeno si era tolto il cappotto: era in piedi in corridoio, col cellulare in mano, urlando come se dovesse affacciarsi a San Siro durante il derby.
Non venirmi a raccontare frottole! sbraitava al telefono. Dove sono finiti tutti i soldi? Sono passate due settimane dalla paga! Due settimane, Loretta!
Dalla cucina sbirciava Tiziana. Rimase in ascolto un minuto buono, poi domandò come chi avrebbe già voluto non sapere la risposta:
Di nuovo?
Valerio fece solo un gesto con la mano e mise la chiamata in vivavoce: dalle casse partirono subito i singhiozzi disperati.
La sorella maggiore di Enrica aveva il talento innato di impietosire chiunque perfino il muro del cimitero sarebbe corso in suo soccorso.
Ma i genitori, dopo anni di tentativi e litigi, ormai avevano una corazza più dura del parmigiano stagionato.
Che vuol dire ti mette alla porta? Valerio cominciò a percorrere in su e in giù il corridoio stretto. Fa bene, altroché.
Chi può tollerare il tuo eterno stato confusionale?
Mai specchiata, tu? Hai trentanni, ma in faccia sembri un cocker abbandonato.
Enrica aprì di soppiatto la porta della sua stanza, giusto per sentire meglio.
Papà, ti prego smise di piangere Loretta, voce improvvisamente più fragile del panettone a luglio. Lui ha buttato tutte le mie cose per le scale. Non ho dove andare. Fuori piove, fa un freddo cane Dai, vengo su da voi qualche giorno. Solo per dormire un po.
La madre si lanciò verso il cellulare, ma Valerio la scansò di scatto.
No! tagliò corto lui. Tu qui non ci metti piede.
Ti ricordi cosa abbiamo deciso lultima volta? Dopo che ti sei venduta il televisore mentre eravamo in campagna, questa casa per te è chiusa!
Mamma! Dillo tu qualcosa, mamma! urlò la voce nel telefono.
Tiziana si coprì il volto con le mani. Le spalle le tremavano.
Loretta come puoi? mormorò la madre, senza guardare suo marito. Ti abbiamo portata in clinica, lo ricordi?
Avevi promesso Il medico aveva detto che avresti resistito tre anni dopo lultimo trattamento. E invece neanche un mese!
Quei vostri trattamenti sono aria fritta! sbottò Loretta, cambiando subito tono, da piagnucoloso ad acido. E solo per spillare soldi ai fessi come voi!
Io sto male, capite? Dentro di me brucia tutto, respiro a fatica!
E voi lì, a preoccuparvi del televisore
Lui proprio a quello ci pensa!
Gliene compro uno nuovo!
Con cosa, Loretta? Valerio si bloccò fissando il muro. Con cosa se ti sei giocata tutto? Unaltra volta ti sei fatta prestare dai tuoi amici, oppure hai rubato qualcosa a quellaltro, come si chiamava
Non ti riguarda! strillò Loretta. Papà, non posso vivere per strada! Che volete, che vada a dormire sotto un ponte?
Vai in un dormitorio. Dove ti pare, ma qui non metti piede, la voce di suo padre era spaventosamente calma. Cambio pure le serrature se ti vedo avvicinarti.
Enrica, seduta sul letto, si abbracciò le ginocchia.
Quando la sorella maggiore scatenava questo pandemonio, la rabbia dei genitori le rimbalzava addosso come la pallina su un flipper.
E tu che ci fai lì? Sempre attaccata al telefono? Finirai come tua sorella, una nullafacente pure tu! Le ramanzine erano diventate la soundtrack degli ultimi tre anni.
Ma quella sera, nessuno le aveva rivolto parola.
Nessun rimprovero, nessuno sguardo. Il padre buttò giù la chiamata, si tolse il cappotto e i genitori si spostarono in cucina.
Enrica sbirciò cauta fuori dalla stanza.
Valerio, non si può, singhiozzava la madre. Così la perdiamo. Tutta la perdiamo. E tu lo sai come diventa, quando è in quello stato
Non si controlla più.
E io dovrei controllarla invece di me stesso? sbottò il padre, buttando il bollitore sul fornello con forza. Ho cinquantacinque anni, Tiziana. Vorrei solo tornare a casa, sedermi tranquillo, magari guardare la partita e finire il caffè.
Non ne posso più di nascondere il portafoglio sotto il cuscino! Non voglio più sentire i vicini lamentarsi perché lhanno vista con gente losca e che è maleducata!
È nostra figlia, sussurrò la madre.
Era nostra figlia, fino a ventanni. Adesso è una sanguisuga che ci sta svuotando.
E non si guarisce dallalcol, Tiziana, se uno non vuole cambiare.
E a lei piace vivere così. Si sveglia, trova da bere, si ubriaca e si spegne.
Il telefono squillò di nuovo.
I genitori rimasero in silenzio, poi la voce paterna:
Pronto.
Papà ancora Loretta. Sono qui alla stazione. La polizia gira dappertutto, se resto qui mi portano via.
Ti prego
Ascoltami bene, la interruppe lui. Tu a casa non torni. Punto.
Allora vuoi che mi ammazzi? Il tono ora era provocatorio. Vuoi che chiamino voi dallobitorio?!
Enrica rimase gelata. Era la carta vincente di Loretta, il jolly che giocava appena finivano le scuse.
Un tempo funzionava. La madre crollava in lacrime, il padre si metteva una mano sul cuore, la sorella riceveva soldi, vitto, alloggio, pulizia della coscienza.
Ma sta volta il vecchio non ci cascò.
Non fare la tragediona. rispose. Ti vuoi troppo bene per farlo. Ascolta. Adesso facciamo così.
Cosa? nella voce di Loretta brillò una flebile speranza.
Ti trovo una stanza, la più economica della città, in periferia. Pago il primo mese e ti do giusto qualche euro per la spesa. Dopo te la vedi tu.
Trovi lavoro, smetti di fare stupidate, vivi.
Se no, tra trenta giorni sei in mezzo alla strada, e io dormo lo stesso.
Una stanza? Ma non un appartamento?! Papà, non ce la faccio da sola. Ho paura.
E se i vicini sono strani?
E poi, come campo senza niente? Manco le lenzuola ho più, quel cretino me le ha fregate tutte!
Le lenzuola le mette mamma in una borsa, le lasciamo alla portinaia. Passi e le ritiri. Ma non tentare di salire su che hai già capito.
Siete degli animali! urlò Loretta perdendo di nuovo le staffe. Mandate la vostra figlia a marcire in una topaia!
Voi nella casa da tre camere e io a grattarmi in una buca da topi come una disperata?!
La madre non resse più, afferrò il cellulare.
Loretta, basta! gridò, tremando tanto che Enrica sobbalzò. Tuo padre ha ragione!
Questa è lultima occasione. O stanza o strada.
Scegli ora, perché domani nemmeno quella stanza avrai!
Allaltro capo, silenzio.
Va bene mugugnò infine Loretta. Mandatemi lindirizzo. E fatemi la ricarica subito. Ho fame.
Niente soldi, Valerio fu inflessibile. Compro io la spesa e la porto alla portineria. So bene che razza di cibo compreresti tu.
Chiuse la chiamata di colpo.
Enrica capì che era il momento. Andò in cucina, fingendo di avere solo sete.
Si aspettava una slavina di nervosismo accumulato.
Magari il padre avrebbe storto il naso per la maglietta spiegazzata.
La madre avrebbe mugugnato che a lei nulla importa, che in casa cè il diluvio universale e lei vaga come niente fosse.
Invece, nemmeno una parola.
Enrica, la chiamò piano la madre.
Sì, mamma?
Nello scaffale in alto, in camera, ci sono le vecchie lenzuola e le federe. Prendile e mettile nella borsa blu dello sgabuzzino.
Va bene.
Enrica si mise allopera.
Recuperò la borsa, svuotò tutto il cianfrusaglio. Intanto pensava: ma come farà Loretta a sopravvivere da sola?
Non sa nemmeno cuocere due spaghetti, figurarsi poi la tentazione del vino
Lo sapeva che la sorella non sarebbe arrivata manco a sera senza la bottiglia.
Tornò dai genitori, si arrampicò sulla sedia e cominciò a impacchettare tutto.
Non dimenticare gli asciugamani! gridò il padre dalla cucina.
Già messi, replicò lei.
Visto il padre infilarsi le scarpe ed uscire in silenzio, borsa e spesa alla mano.
Sarà andato a trovare la topaia.
Enrica tornò in cucina. La madre era ancora sulla sedia, stessa posizione.
Mamma, vuoi una pastiglia? chiese Enrica a bassa voce, avvicinandosi piano.
La madre sollevò gli occhi.
Sai, Enri disse con voce strana, metallica. Quando era piccola, pensavo: crescerà, sarà la mia complice. Farà tutto con me, chiacchiereremo come amiche. E ora ora spero solo che non si perda per strada. Che non dimentichi lindirizzo della stanza.
Ce la fa, Enrica si sedette allorlo della sedia. Se la cava sempre.
Stavolta non se la cava, la madre scosse la testa. Gli occhi sono diversi. Vuoti. Come se dentro fosse rimasta solo una sagoma, ciuccia e ride solo per la bottiglia.
Io lo vedo che hai paura di lei
Enrica tacque. Aveva sempre pensato che i genitori non notassero la sua paura, troppo presi a salvare la povera Loretta.
Pensavo non ve ne importasse niente di me, bisbigliò.
La madre le accarezzò i capelli.
Ci importa. È che non ce la facciamo più. Sai come in aereo? Prima la maschera a te, poi al bambino. Sono dieci anni che proviamo a metterle la maschera. Abbiamo provato di tutto: cliniche, santoni, preti, tutto! E alla fine stiamo annegando pure noi.
In corridoio suonò il campanello. Enrica trasalì.
È lei? chiese spaventata.
No, le chiavi le ha tuo padre. Sarà la consegna della spesa.
Enrica andò ad aprire. Il corriere le porse due buste pesanti.
Sistemò tutto in cucina: pasta, pelati, olio, tè, zucchero. Il minimo sindacale.
Tanto non mangerà nulla di questo, commentò Enrica, lasciando da parte il sacchetto di farro. A lei piace solo il cibo pronto.
Se vorrà vivere, imparerà a cucinare. rispose la madre, e per un attimo le tornò lo sguardo di una volta. Basta viziarla. Così la buttiamo nella tomba più in fretta della sua bottiglia.
Unora dopo tornò il padre, camicia ormai sfinita.
Lho trovata, sbuffò. Ho le chiavi. La padrona è unex insegnante, una tosta. Ha già detto che al primo casino la sbatte fuori senza pensarci.
Io glielho detto chiaro: Se serve, sbattici fuori subito.
Oh Valerio sospirò la madre.
Eh, che cè, Tiziana? Basta raccontare bugie alla gente. Almeno sa cosa le aspetta.
Prese la borsa di lenzuola e i sacchetti, si avviò verso luscita.
Porto tutto dalla portinaia. Le do un colpo di telefono e le spiego dove venire. Enrica, chiudi bene e non rispondere se chiama il fisso.
Il padre uscì di casa, la madre si chiuse in cucina e si lasciò andare alle lacrime.
A Enrica prese un nodo al cuore. Ma come si fa? Non vive, sopravvive di sbronze, e manda in rovina tutta la famiglia
***
Le speranze dei genitori andarono in fumo: una settimana dopo, la padrona chiamò Valerio per dire che, insieme ai carabinieri, aveva cacciato Loretta a calci dalla stanza. Tre compari in casa tutta la notte, festini da barzelletta.
E, come sempre, i genitori non ebbero il coraggio di lasciarla lì Loretta venne spedita in una clinica di riabilitazione.
Centro chiuso, con le guardie allingresso promettono miracoli in dodici mesi.
Chissà, magari succede davveroQuando Enrica ricevette la notizia, non seppe se sentire sollievo o solo stanchezza. Per settimane la casa rimase sospesa in un silenzio strano, come una radio appena sintonizzata su una frequenza nuova, dove però ancora non arriva musica.
Alla fine dellestate, Loretta mandò una cartolina alla famiglia. Solo una frase, incisa con una calligrafia incerta: Qui piove ogni giorno, ma a volte il cielo si apre per cinque minuti. Aspetto quei cinque minuti. Un abbraccio, Lore.
Tiziana mise la cartolina in cornice sul frigorifero. Valerio la guardava ogni sera, dopo cena, in silenzio. Enrica una notte la fotografò col cellulare e la tenne come segnalibro digitale: un promemoria assurdo che anche una vita sgangherata può ritrovare, magari solo per un attimo, il blu tra le nuvole.
E così la famiglia imparò a vivere in quei cinque minuti: a respirare più forte quando il cielo si schiariva un po, a ridere attorno a una tavola sgombra, a provare quando tutti dormivano a non temere più il campanello, i telefoni, le ombre in corridoio.
A volte, fuori dalla finestra, Enrica pensava che bisogna essere capaci di aspettarli, quei cinque minuti. Anche se piove da un mese; anche se, un giorno, magari, sarà proprio lei a portarli.






