Un marito vale più delle offese amare: la mia vita tra amori difficili, figli e rinascita – la storia di Tania, tra sacrifici, seconde possibilità e il coraggio di ricominciare in Italia

MIO MARITO, PIÙ IMPORTANTE DELLE AMARE OFFESE

Giovanni, questa è stata lultima goccia! Basta, divorziamo! Puoi pure risparmiarti i soliti teatrini in ginocchio, non servirà a niente!ho messo così un punto fermo al nostro matrimonio.

Naturalmente Giovanni non ci credeva. Era convinto che si sarebbe svolto tutto come sempre: lui si sarebbe inginocchiato, avrebbe chiesto scusa, comprato un altro anellino e io avrei perdonato tutto. Era già successo tante volte. Ma questa volta avevo deciso di rompere davvero il legame matrimoniale. Le mie dita, fino al mignolo, erano cariche di anelli, ma la mia vita era vuota. Giovanni ormai affogava ogni sera nellalcol.

Eppure tutto era cominciato in modo romantico.

Il mio primo marito, Edoardo, era sparito nel nulla. Era successo negli anni Novanta. Tempi duri, allora, e vivere faceva paura. Edoardo non era una persona facile, anzi, si cacciava spesso nei guai. Come si dice a Napoli, aveva occhi daquila e ali di mosca: tanti sogni ma pochi fatti. Se qualcosa non gli andava a genio, cominciava a fare scenate. Sono convinta che sia rimasto vittima di qualche regolamento di conti. Non ho più avuto sue notizie. Mi sono ritrovata sola con due bambine. Lisa aveva cinque anni, Raffaella due. Sono passati cinque anni dal suo misterioso svanire.

Credevo di impazzire. Eppure avevo tanto amato Edoardo, con tutto il suo carattere impetuoso. Eravamo una cosa sola. Avevo deciso: la mia vita era finita, avrei solo cresciuto le bambine. Mi ero rassegnata. Però

Non fu semplice per me, in quegli anni difficili. Lavoravo in fabbrica, lo stipendio lo prendevo… in ferri da stiro. Dovevo rivenderli per comprare il pane. Lo facevo ogni fine settimana. Un inverno, congelata dal freddo mentre cercavo di vendere i ferri da stiro al mercato di Torino, si avvicinò un uomo. Sembrava dispiaciuto per me.

State gelando, signora?chiese con gentilezza lo sconosciuto.
Come avete fatto a notarlo?provai a scherzare, anche se battendo i denti dal freddo. Ma la sua presenza mi trasmetteva un po di calore.
È vero, domanda sciocca. Forse potrei offrirvi qualcosa di caldo in un bar? Vi aiuto anche con la borsa dei ferri da stiro.
Accetto volentieri, altrimenti qui mi congelo del tutto,sussurrai quasi.

A dire il vero non andammo in nessun bar. Portai lo sconosciuto vicino casa mia, gli chiesi di aspettare allingresso e di badare alla borsa, mentre io correvo a prendere le bambine allasilo. Ero così intirizzita che le gambe quasi non si muovevano, ma avevo il cuore stranamente leggero. Tornando con le bimbe, vidi Giovannicosì si era presentatoche fumava nervosamente vicino al portone. Pensai: Lo invito per un tè e poi si vedrà!

Giovanni mi aiutò a portare su la borsa fino al sesto pianolascensore ovviamente era fuori servizio. Mentre salivo piano coi bambini al terzo piano, Giovanni già riscendeva.
Aspettate, mio salvatore! Non vi lascio andare via finché non vi offro un po di tè caldo!gli presi la manica con la mano gelata.
Sicura di non disturbare?chiese, guardando le bambine.
Ma no, ci mancherebbe! Prendete le bimbe per mano, io corro avanti a mettere su il bollitore,risposi senza esitazioni.

Non volevo perderlo. Sembrava già di casa. Parlando davanti a un tè, Giovanni mi propose di lavorare come sua assistente. Uno stipendio ben più alto di un anno intero di ferri da stiro.

Ovviamente, accettai senza esitazione. Mi veniva quasi voglia di baciarlo per la riconoscenza

Giovanni era sposato in seconda nozze, ma era già in separazione. Dal primo matrimonio aveva un figlio.

Si sa come vanno queste cose

Dopo poco io e Giovanni ci siamo sposati. Ha adottato le mie bambine. Sembrava una danza felice. Abbiamo comprato un appartamento con quattro camere a Torino, arredato tutto con mobili e accessori di lusso. Poi abbiamo costruito una villetta per le vacanze. Ogni estate sempre al mare, in Liguria o in Sardegna. Non era vita, era una dolce canzone italiana.

Sono trascorsi sette anni di pura felicità. Forse, raggiunta labbondanza e la tranquillità, Giovanni ha iniziato a cercare conforto in una bottiglia. Allinizio lasciavo correre, capivo che lavorava tanto, era stanco. Ma quando aveva iniziato a bere pure in ufficio, mi sono preoccupata. Parlare non serviva a nulla.

Io sono unavventuriera nellanimo. Per distrarlo dal vizio del bere, decisi di fargli un figlio. Allepoca avevo già trentanove anni. Le mie amiche seppero del mio piano e quasi lo trovarono normale.

Vai Claudia, magari ci facciamo tutte un figlio a quarantanni!dicevano, ridendo.

Io ho sempre risposto:
Se interrompete una gravidanza, potreste poi pentirvene amaramente. Ma se tenete il bambino, anche se non programmato, non ve ne pentirete mai.

Con Giovanni sono arrivati due gemelle. Ora crescevamo quattro figlie! Giovanni però non smise di bere. Sopportavo, ma poi sentii il bisogno di stare a contatto con la natura, gestire un orto, degli animali. Avrebbe fatto bene alle bambine e avrebbe tenuto Giovanni lontano dallalcol.

Abbiamo venduto casa e villetta. Comprato un casa in un paese tra le colline piemontesi. Abbiamo aperto un bel ristorante. Giovanni si appassionò alla caccia. Si comprò fucile, mille attrezzi. In collina non mancavano selvaggina e avventure.

Andava tutto discretamente, finché Giovanni, una sera, si ubriacò di brutto. Non so che diavoleria avesse bevuto, ma era diventato irriconoscibile! Distrusse piatti e mobili, e alla fine sparò col fucile al soffitto!

Io e le bambine siamo scappate dai vicini a nasconderci. Una notte da incubo.

La mattina dopo era tutto silenzioso. Siamo rientrate di soppiatto. Uno spettacolo desolante. Mi dispiace che le bimbe abbiano visto quellorrore. Tutto rotto, pezzi ovunque, niente più su cui sedersi o mangiare o dormire. Giovanni dormiva come un sasso sul pavimento.

Ho raccolto le poche cose rimaste e me ne sono andata con le figlie da mia madre, che viveva nello stesso paese.

Oh Claudia, che vuoi che faccia con tutte ste ragazze?mi disse mamma.Torna da tuo marito. Nelle famiglie succede di tutto. Col tempo si aggiusta.

Mia madre aveva la filosofia: stringi i denti, se il marito è bello.

Dopo qualche giorno è tornato Giovanni. Quella volta ho messo fine ad ogni cosa. Lui non ricordava nulla del suo spettacolo. Non ha creduto alla mia versione. Ma ormai non mimportava più. Avevo chiuso per sempre. Avevo tagliato tutti i ponti.

Non sapevo come andare avanti, ma decisi che era meglio la fame che morire per mano di un marito ubriaco.

Ho dovuto svendere il ristorante in poco tempo, per fuggire dal paese. Siamo finite in una casetta minuscola, in un altro villaggio.

Le grandi hanno trovato lavoro, e poigrazie a Diosi sono sposate. Le gemelle erano in quinta elementare. Tutte le figlie volevano bene a papà Giovanni e continuavano a sentirlo. Ricevevo notizie di lui tramite loro. Il mio ex mi supplicava di tornare. Anche le figlie insistevano: Mamma, basta con lorgoglio! Papà ha capito di aver sbagliato, ti ha chiesto scusa mille volte! Pensa anche a te stessa, non hai più venticinque anni Ma io restavo inflessibile. Cercavo solo un po di serenità, senza più drammi o avventure.

Sono passati due anni.

Ho iniziato a sentire la mancanza di Giovanni. La solitudine si faceva sentire. Tutti gli anelli che mi aveva regalato li ho dovuti mettere al Monte di Pietà. Non sono riuscita a ricomprarli. Mi è dispiaciuto. Ricordavo la nostra vita, riflettevo. In casa nostra cera amore. Giovanni voleva bene a tutte le figlie, a me non ha mai fatto mancare rispetto e sapeva sempre chiedere scusa. Siamo stati una bella famiglia. Ognuno trova la propria felicità. Che altro desiderare?

Le figlie grandi ormai chiamavano e basta, non venivano più. Lo capisco, la giovinezza scappa via. Tra un po voleranno via anche le gemelle e io rimarrò sola come una civetta. Le ragazze, si saquando crescono via, via come le anatre.

Alla fine ho convinto le gemelle a chiedere a papà come stesse davvero. Forse aveva trovato una donna? Le bambine hanno domandato tutto a Giovanni. Scopro che viveva e lavorava in unaltra città, non toccava più nemmeno un goccio. Era solo. Ha lasciato alle figlie il suo indirizzo, per ogni evenienza.

Ecco, siamo tornati insieme da cinque anni.

Lho sempre detto, io sono una vera avventurieraNon ci sono più anelli alle mie dita, ma cè una pace nuova, silenziosa come quando la neve copre i tetti delle nostre colline. Giovanni ora mi prepara il caffè ogni mattina, in punta di piedi, per non svegliarmi. Parliamo sottovoce quando le gemelle dormono, ridiamo delle nostre sciocchezze, ci basta guardarci per sapere già cosa pensiamo. A volte mi sorprende con una rosa del giardino o con il solito sorriso colpevole che gli ho visto addosso tante volte. La sera, mentre sparecchiamo, sento le mani di Giovanni sulle mie, nodose ma gentili, ed è come se abbracciasse tutta la fatica, tutte le rotture, tutte le gioie passate.

Le nostre figlie vengono a trovarci la domenica. Nessuno parla più di quegli anni duriper noi, sono diventati solo il colore di fondo del nostro quadro. Ogni volta che, la sera, chiudiamo la porta e ci ritroviamo ancora insieme, penso che la felicità assomiglia a questo: non è lassenza delle tempeste, ma la voglia reciproca di ricominciare, anche quando il tetto è mezzo rotto. Il perdono, in amore, non lava via le offese, semplicemente le tiene compagnia finché diventano leggere come piume.

Quando le ragazze sono tutte cresciute e la casa si svuota, seduta accanto a Giovanni davanti al camino, gli prendo la mano e gli sussurro: Sai, se tornassi indietro, ti sceglierei ancora. Lui mi guarda stupito, come la prima volta, e io capisco che non servono più anelli per sentirsi unite. In fondo, nonostante tutto, il nostro amore è sopravvissuto alle burrasche. E qui, adesso, tra un po di silenzio, due tazze di caffè e le dita intrecciate, scopro che è proprio questa la vera ricchezza della mia vita.

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