CAMILLA
— Pagani, è l’ora della colazione. — L’infermiera spinse il carrello nella stanza. Camilla aprì gli occhi con riluttanza e girò la testa verso la porta.
— Non ho fame, grazie. — Rispose lei.
— Su, su, signorina, bisogna riprendersi le forze. — Il dottor Ferri entrò nella stanza subito dopo l’infermiera.
Camilla rimase in silenzio. L’infermiera posò in fretta un piatto di cereali e un bicchiere di tè sul comodino, sussurrando:
— Mangia, dai, il dottor Ferri ha ragione. — E uscì velocemente dalla stanza.
— Come va l’umore? Primaverile? — Il dottor Ferri sorrise.
— Non proprio. — Rispose malinconica Camilla, girandosi verso la finestra.
— Bene. — Continuò il dottor Ferri, ignorando il tono della paziente. — L’operazione è fissata per domani. — Informò seriamente.
— Le probabilità miglioreranno? — Chiese Camilla, girandosi verso di lui.
— Indubbiamente. Anche se non si può ancora parlare di recupero totale. — Ammise il dottor Ferri.
— Potrò camminare? — Camilla si irrigidì.
— Non voglio illuderti… — Dopo una pausa, rispose il dottor Ferri. — Ma è necessario tentare ogni possibilità.
— Capisco… — Camilla si girò di nuovo dalla finestra. Non sentì quando il dottor Ferri uscì dalla stanza, né sentì il cinguettio primaverile degli uccellini fuori dalla finestra.
L’incidente era stato tremendo. Al volante c’era la sua amica Carla. Cercando di evitare un’altra auto, Carla sterzò bruscamente; l’auto sbandò sulla strada scivolosa e l’impatto fu inevitabile. La botta più dura fu sul lato passeggero. Camilla riprese conoscenza solo in ospedale. Come scoprì dopo, l’amica Carla se l’era cavata con un braccio rotto e una commozione cerebrale. Camilla invece aveva diverse costole fratturate, una frattura esposta alla gamba e, cosa più grave, la colonna vertebrale era danneggiata. Le previsioni non erano rassicuranti, le probabilità che Camilla potesse camminare di nuovo erano esigue. Qualcun altro forse si sarebbe accontentato di essere sopravvissuto, ma per Camilla il mondo era crollato in un attimo. La danza era tutto per lei: vita, lavoro, ispirazione. Muoversi era per lei come respirare. E ora?
Un altro duro colpo fu la reazione di Marco. Si frequentavano da due anni e di recente Marco le aveva chiesto di sposarlo. Due settimane fa, quando Marco era seduto accanto al suo letto d’ospedale, Camilla capì senza parole che il matrimonio non ci sarebbe stato. Quando Camilla gli raccontò le previsioni dei medici, Marco rimase a lungo in silenzio, fissando il pavimento, poi disse, con poca convinzione:
— Devi continuare a pensare positivo. Tutto si sistemerà.
Nei giorni successivi non venne. Poi arrivò un messaggio breve: “Scusami. Non ce la faccio.” Dentro di lei si spezzò l’ultimo filo di speranza. Camilla ormai non piangeva più, fissava il soffitto bianco con occhi vuoti, immaginando che crollasse su di lei e mettesse fine a tutto.
Sua madre, accarezzandole la mano, cercava di confortarla, cercava di sorridere, ripetendole che non tutto era perduto, che bisognava lottare, che avrebbero lottato insieme. Ma Camilla vedeva gli occhi della madre arrossati dalle lacrime che versava fuori dalla stanza. Anche il dottor Ferri continuava a ribadire che bisognava lottare.
— Perché? — Chiese un giorno Camilla.
— Per essere felice. — Rispose semplicemente il dottor Ferri.
— Non sarò mai felice. — Rispose Camilla. Il dottor Ferri la guardò con attenzione:
— Sicuramente lo sarai. Ma dipende più da te che dagli altri. Non ho grande esperienza, ma sai, ho incontrato persone che hanno superato l’impossibile, lasciando anche malattie incurabili alle spalle, perché volevano vivere, godersi la vita, essere felici.
Camilla non rispose. Non voleva vivere. Non voleva vivere così. E quale felicità poteva esserci? — Avrebbe chiesto al dottore, ma decise di non portare avanti la conversazione. Dopotutto, forse è consuetudine per i dottori incoraggiare i pazienti.
— Non dormi? — Il dottor Ferri aprì leggermente la porta, lasciando entrare un raggio di luce nella stanza buia.
— Non dormo. — Rispose Camilla, senza notare che il dottore si era rivolto a lei con un tono più confidenziale.
— Sei in ansia? — Chiese lui, sedendosi vicino alla finestra.
— No. — Camilla fece spallucce.
— Riesci a immaginare che l’incidente non sia mai accaduto? E ora sono passati dieci anni. Come sarebbe stata la tua vita? — Chiese il dottor Ferri, guardando fuori dalla finestra.
— Non so. Forse sarei ancora una ballerina. O forse non ballerei più e porterei mia figlia a lezione di danza. — Camilla sorrise appena, ma poi si ricordò che il matrimonio non c’era stato. — Sa, mi ha lasciata. Subito dopo aver saputo, mi ha lasciata.
— Chi? — Il dottor Ferri sapeva già la risposta. — Pensi che ti amasse?
— Non so. — Camilla fece spallucce di nuovo. — Forse è solo nei film romantici che amano così tanto da seguirti nel fuoco e nell’acqua, mentre nella vita promettono di prenderti una stella, ma poi… — Camilla si fermò. Il dottor Ferri era anche lui un uomo. E anche abbastanza giovane e bello, come notò improvvisamente Camilla. Probabilmente ha una moglie o una fidanzata e la tratta in modo molto diverso. Lui sicuramente non si sarebbe tirato indietro in una situazione del genere. Viene anche a sostenerla, lei che è un’estranea.
— Va bene, Pagani, dormi. Le tue stelle scenderanno dal cielo anche per te. — Il dottor Ferri uscì. Camilla guardò fuori dalla finestra. Un pezzettino di cielo, punteggiato di stelle, era visibile. “Magari cadesse una stella ora”, pensò Camilla, ma le stelle non cadevano, almeno non finché non si addormentò.
— Come stai? — Il dottor Ferri era accanto al letto di Camilla. — Il dottor Moretti ha detto che l’operazione è andata bene.
— Forse. Ma non sento comunque le gambe. — Camilla sospirò.
— Guarda cosa ti ho portato. — Il dottor Ferri le porse una piccola scatola. Camilla aprì e sorrise. La scatola era piena di stelle luccicanti di confetti. — Se ti applichi con impegno, arriverai a piedi a quelle vere. — Promesse il dottore.
La riabilitazione fu lunga, estenuante e, come sembrava a Camilla, infruttuosa. D’ora in poi lo chiamava semplicemente Vito, entrava spesso da lei. Parlano come vecchi amici, discorrevano sui più svariati argomenti. Vito sapeva distrarla dai suoi cupi pensieri, e lei iniziava a credere alle sue parole, che l’impegno non sarebbe stato vano.
— Come va oggi? — Vito entrò nella stanza dopo che Camilla aveva finito gli esercizi quotidiani.
— Niente di nuovo. — Camilla alzò le mani.
— I lillà sono sbocciati. — Vito le porse un ramo di lillà appena raccolto. Camilla inspirò il profumo fresco che le solleticava il naso. Poi si mise a cercare con entusiasmo infantile un fiore a cinque petali.
— Niente neanche qui. — Camilla fece il broncio e sollevò lo sguardo.
— E qui? — Vito le tese un’altra piccola scatola. Lei sorrise, aspettandosi altre stelle. Ma, aprendo la scatola, rimase per un momento immobile. Un piccolo anello brillava al sole, con una stella molto diversa — un piccolo diamante.
— Vuoi sposarmi? — Chiese Vito mentre Camilla spostava lo sguardo dall’anello a lui. Camilla rimase in silenzio. Vito esalò nervoso e si sedette sul letto.
— Ti sei seduto sul mio piede… — Disse piano Camilla. — Ti sei seduto sul mio piede! — Gridò improvvisamente e cominciò a ridere. — Ti sei seduto sul mio piede! Lo sento! Sento il mio piede!
Vito balzò su e rise anche lui. E poi Camilla iniziò a piangere. Sorrideva, ma le lacrime le rigavano il viso.
— Che succede? Fa male? — Chiese preoccupato Vito. Camilla scosse la testa:
— Ti ricordi quando dissi che non sarei mai più stata felice? Lo pensavo davvero. E invece oggi, tanta felicità tutta insieme. Se tu non hai avuto paura di chiedere una storpia in moglie, spero che una piagnucolona non ti spaventi? — Camilla rise di nuovo.
— Non ho paura di niente. — Rispose Vito, guardandola teneramente.
***
— Mamma, hai visto? Mi è riuscita! — Ginevra corse verso la panchina dove sedeva Camilla.
— Certo che ho visto. E ho filmato tutto per tuo padre. Sei stata bravissima. — Camilla abbracciò sua figlia.
— Olga mi ha detto che danzerò al centro della scena. — Si vantò Ginevra. — Questo significa che ballo meglio di tutti?
— Sì. — Sussurrò Camilla e, sempre in un sussurro, confidò alla figlia un segreto. — Ma taci, altrimenti ti monterai la testa, e non riuscirai più in nulla. — Ginevra annuì sapientemente. — E ora prepara le cose, andiamo a prendere tuo padre al lavoro.
Sono passati dieci anni. Camilla non ha più potuto ballare su grandi palchi, ma al suo matrimonio ha danzato discretamente, almeno secondo Vito, di certo meglio di lui. Il percorso verso le stelle è stato lungo per Camilla, ma con Vito ce l’hanno fatta. E per non dimenticare mai di sognare, che accada quel che accada, Camilla propose di dipingere il soffitto della loro camera da letto come un cielo stellato. Vito fu d’accordo. Aprendo gli occhi al mattino, Camilla sapeva con certezza che le stelle si possono toccare con un dito, basta volerlo. Sempre e comunque.