A volte vorrei chiudere la porta in faccia ai pretendenti: la loro audacia rovina la mia vita

**Giorno 12 ottobre, 2024**

A volte mi viene voglia di sbattere la porta in faccia a quei suoceri invadenti. La loro sfacciataggine sta distruggendo la mia vita.

In un paesino della provincia di Verona, dove i muri di tufo ascoltano ogni pettegolezzo dei vicini, i miei 34 anni sono diventati uno spettacolo per i miei suoceri. Mi chiamo Fiammetta, sono sposata con Carlo, e i suoi genitori, Concetta e Vincenzo, hanno trasformato casa mia nella loro tavola calda. Le loro visite settimanali, l’arroganza e l’indifferenza mi spingono al limite. Ma come fermarli senza rovinare la famiglia?

### La famiglia che volevo accontentare

Quando ho sposato Carlo, sognavo serate in famiglia, bambini, armonia. Lui è buono, lavoratore, e lo amo con tutto il cuore. I suoi genitori, Concetta e Vincenzo, sembravano persone normali: schietti, di campagna, con risate fragorose e l’abitudine di parlare senza filtri. Credevo di poterci andare d’accordo. Ma dopo il matrimonio, la loro “schiettezza” è diventata maleducazione e le loro visite un incubo.

Viviamo in un piccolo appartamento, comprato con un mutuo. Nostro figlio, Matteo, di quattro anni, è il centro del nostro universo. Io lavoro come impiegata in un’agenzia, Carlo è meccanico. La vita è dura, ma ce la caviamo. Però ogni domenica, puntuali come un orologio, i suoceri bussano alla porta e casa mia diventa loro. Non chiamano, non avvisano—arrivano e io mi affanno a preparare da mangiare come una sguattera.

### L’arroganza senza limiti

Vengono a mani vuote, ma se ne vanno sazi fino alla gola. Concetta si siede e ordina: «Fiamma, versami il minestrone, e fallo bello denso!» Vincenzo pretende carne e birra, e io corro come una cameriera. Dopo la loro partenza, restano pile di piatti, briciole ovunque e il frigo vuoto. Una volta ho contato: in una sola visita hanno divorato mezzo chilo di pasta al forno, un litro di vino e tre porzioni di dolce. E non dicono mai “grazie”—per loro è scontato.

Ma il peggio è il loro atteggiamento. Concetta critica tutto: il mio modo di cucinare, come cresco Matteo, come tengo casa. «Fiamma, questo sugo è troppo salato, e il bambino sembra pallido, lo nutri male», dice, mentre si ingozza. Vincenzo annuisce e Carlo tace, come se fosse normale. Ho provato a far capire che è troppo per me, ma mia suocera scrolla le spalle: «Sei giovane, devi sbrigartela da sola». La loro arroganza è come un veleno che mi consuma.

### Il silenzio di mio marito

Ho cercato di parlarne con Carlo. Dopo l’ennesima domenica di lavastoviglie fino a mezzanotte, gli ho detto: «Carlo, i tuoi genitori vengono qui come al ristorante e io non ce la faccio più». Lui ha alzato le spalle: «Mamma è fatta così, non fare storie». Le sue parole mi hanno trafitto. Non vede che sono allo stremo? Lo amo, ma il suo silenzio mi lascia sola in casa mia. A volte mi sembra di lottare più contro di lui che contro i suoceri.

Matteo, il mio piccolino, ha iniziato a chiedere: «Mamma, perché sei triste?» Gli sorrido, ma dentro sento solo rabbia. Voglio che cresca in una casa piena d’amore, non di tensione. Ma ogni visita dei suoceri è uno stress che non posso nascondere. A volte sogno di chiudergli la porta in faccia, ma ho paura: cosa dirà Carlo? Cosa penseranno i vicini? E poi, potrò mai perdonarmi?

### L’ultima goccia

Ieri sono tornati. Ho cucinato per ore: pasta al forno, arrosto, insalata, tiramisù. Hanno mangiato, hanno gradito, ma nemmeno un grazie. Quando ho chiesto a Concetta di aiutarmi con i piatti, ha sbuffato: «Sono forse la tua domestica? La padrona di casa sei tu, arrangiati». Carlo non ha detto una parola, e qualcosa dentro di me si è spezzato. Non voglio più essere la loro cuoca, la loro sguattera. Casa mia non è la loro osteria, e io non sono la loro serva.

Ho deciso: metterò un ultimatum. Dirò a Carlo: o parla con i suoi genitori o smetterò di riceverli. Che vengano con il cibo già pronto, che aiutino, o che restino a casa loro. So che scatenerà un putiferio. Concetta mi chiamerà ingrata, Vincenzo brontolerà e Carlo forse si offenderà. Ma non posso più vivere in questa schiavitù.

### Il mio grido di libertà

Questa storia è il mio diritto di essere padrona della mia vita. I suoceri forse non capiscono quanto mi feriscano. Carlo forse mi ama, ma il suo silenzio mi isola. Voglio che la mia casa sia davvero mia, che Matteo veda una mamma felice, che io respiri di nuovo. A 34 anni, merito rispetto—anche se per ottenerlo dovrò sbattere la porta in faccia a qualcuno.

Non so come finirà la discussione con Carlo, ma so che non mi fermerò. Sarà una guerra, e io sono pronta. La mia famiglia siamo io, lui e Matteo, e non permetterò a nessuno di trasformare casa mia in una trattoria. Che le loro mani vuote restino a loro, e io mi riprendo la mia dignità.

**Lezione imparata:** A volte, chiudere una porta non è un gesto di egoismo, ma di salvezza.

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