Abbandonato dalla sorella senza un soldo, ha scoperto la strada verso la felicità

Sorella lo abbandonò senza un centesimo per strada, ma ha imparato ad essere felice.

A volte un incontro casuale può sconvolgere la mente. Può costringerti a fermarti, a osservare, a riflettere. Sono una persona sensibile, e la storia di cui parlo non mi lascia tranquillo. Sono giorni che non riesco a dormire bene, perché continuo a pensare a un giovane che ho incontrato per strada nei pressi della stazione di Firenze.

Ero in cammino per raggiungere un’amica — una giornata ordinaria, il consueto trambusto urbano. La gente correva, le macchine rombavano, il vento gelido sferzava i volti. All’improvviso notai una piccola figura. Sembrava un bambino, ma avvicinandomi capii che era un ragazzo adulto, solo con una corporatura molto esile e un incedere particolare.

Portava fra le braccia un cucciolo — piccolo, peloso, con un nasino umido e occhi buoni. Sotto al braccio teneva un fascio di vecchi giornali, pronto a scivolare via. I suoi movimenti erano incerti, le dita rigide, il viso leggermente asimmetrico. Compresi che aveva delle difficoltà. Forse psicologiche, o forse neurologiche. Ma c’era qualcosa di così luminoso e puro in lui, che non potei fare a meno di fermarmi.

Mentre ammiravo il cucciolo, il ragazzo fece cadere i giornali. Mi precipitai subito a dargli una mano. Mentre li riponevo in un sacchetto preso dalla mia borsa, chiesi con delicatezza:
— Dove li porti?

Rispose sottovoce:
— Al centro di raccolta. Per guadagnare qualcosa per il cibo del cagnolino.

Quelle parole mi colpirono più di uno schiaffo.

Mentre raccoglievamo i giornali, mi raccontò che viveva con la madre. Dopo la sua morte, la sorella vendette l’appartamento, prese i soldi e se ne andò all’estero. Lasciandolo solo. Senza documenti, senza sostegno, senza soldi. Senza possibilità.

Me lo disse senza rabbia. Solo come un fatto. Come se fosse ovvio, come se avesse già accettato tutto. Ora vive in un ostello per persone con disabilità, si nutre come può, raccoglie la carta e restituisce bottiglie per comprare da mangiare al suo cucciolo. Si chiama Luca. E il cane… non aveva un nome.

Tempo dopo, in una fredda sera d’inverno, incontrai di nuovo Luca. Camminava per strada con il cucciolo — ormai cresciuto e robusto — al guinzaglio fatto in casa. Il cucciolo mi riconobbe e si avventò verso di me, scodinzolando e guaendo felice. Presi un po’ di cibo dalla borsa — il cane si gettò sul cibo con tanta voracità che mi si strinse il cuore.

— Mangia tutto, — disse Luca con orgoglio. — Ma quello che ama di più è quando gli cucino io. Anche se la carne è una rarità.

Ci mettemmo a parlare. Mi raccontò quanto si era affezionato al cane. Che quello è il suo unico amico, il senso della sua vita, il suo conforto e difesa contro la solitudine. Dorme con lui sotto la stessa coperta, condivide l’ultimo boccone.

Con una particolare ingenuità, con una speranza infantile nella voce, Luca disse:
— Di recente abbiamo incontrato un cane per strada. Sembrava come lui. Mi chiedevo se fosse sua madre. Chissà, si sarebbero riconosciuti?

Mi si strinse la gola. Faticavo a trattenere le lacrime, lì, in mezzo alla rumorosa città.

Poi, improvvisamente, mi chiese:
— Non vuoi dargli un nome? Io non ne ho trovato uno. Lo chiamo solo “cagnolino”.

Feci cenno di sì.
— Chiamiamolo Raggio. Perché tu sei un raggio di luce per lui.

Lui abbracciò il cane, mi guardò con gli occhi spalancati e sussurrò:
— Grazie… È un bel nome. Ora è il mio Raggio.

Tornai a casa con un nodo alla gola. Avevo in mente un pensiero fisso: «Dio, quanto è ingiusto questo mondo». Alcuni hanno decine di appartamenti, diamanti, macchine. E qualcun altro vive in una stanza fatiscente e condivide le ultime briciole con un cucciolo. Eppure brilla di felicità.

Voglio aiutare Luca, ma non ho ricchezze. Non posso cambiargli la vita completamente. Ma ogni volta che lo vedo, porto qualcosa: cibo, un giubbotto caldo, o anche solo parole di incoraggiamento. E sapete qual è la cosa più sorprendente? Lui sorride sempre. Ringrazia per ogni piccola cosa, come se fosse un dono dal cielo.

Persone come lui ci ricordano che la felicità non sta nei soldi, nel rango o nella casa perfetta. È in una mano calda. In uno sguardo fedele. In una parola gentile. Nell’essere semplicemente in compagnia.

A volte ho voglia di urlare: «Gente! Svegliatevi! Guardate quanta sofferenza c’è intorno!» Ma so che il grido rimarrebbe inascoltato.

Quindi, faccio solo ciò che posso. Perché se almeno un Raggio e un Luca non avranno fame e saranno meno soli, allora vivo con uno scopo.

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