*”Beh, abbiamo un bambino, dai, scambiamoci le stanze…” — così la moglie di mio fratello ha tentato di cacciare Alessandro dal suo spazio*
Questa storia è successa a un mio caro amico, con cui ho studiato all’università. Si chiama Alessandro, ha solo ventidue anni e vive ancora nell’appartamento dei genitori, un trilocale in un quartiere dormitorio di Napoli. Una situazione comune: tre generazioni sotto lo stesso tetto — i genitori, lui e la famiglia del fratello maggiore, che ha appena avuto un bambino.
Il fratello di Ale, Fabrizio, non guadagna abbastanza per permettersi un affitto, quindi con sua moglie Giulia e il neonato sono costretti a dividere la casa con i genitori e il fratello minore. Ognuno ha la sua camera, ma cucina e bagno sono in comune. Certo, a volte è stretto, ma finora tutti convivevano in pace. Alessandro non si lamentava — manteneva le distanze, studiava, faceva lavoretti e, come si suol dire, non dava fastidio a nessuno.
Ma un giorno non proprio felice, Giulia, la moglie di suo fratello, si avvicinò ad Ale con una “proposta importantissima”:
— Ale, dai, abbiamo un neonato… che ne dici di scambiarci le stanze? La tua è luminosa, c’è tanto sole! Mentre nella nostra è sempre buio, e sembra persino umido. Non fa bene al piccolo…
Alessandro rimase di sasso. Sapeva benissimo che la storia dell’umidità era una fandonia — nessuno se n’era mai lamentato prima. Inoltre, la sua stanza, anche se più piccola di un paio di metri, era molto più comoda: quadrata, calda, accogliente. Mentre quella del fratello aveva un balcone, pareti allungate e un continuo spiffero. E poi, non bisognava dimenticare che proprio su quel balcone la mamma stendeva i panni, il padre ammucchiava attrezzi e Fabrizio andava a fumare.
Giulia continuava a insistere:
— La nostra stanza è comunque più grande! E se hai freddo, dai, sei un ragazzo — prendi la schiuma e sigilla le finestre. Mica è difficile!
Alessandro ribolliva dentro. Volevano portargli via il suo spazio personale, nascondendosi dietro al bambino. Fabrizio — muto come un pesce. Non aveva mai accennato al fatto di voler cambiare stanza. Era solo Giulia che girava intorno, persuadendolo, convincendolo che era giusto, che *lui doveva*…
Alessandro rifiutò. Educatamente, ma con fermezza. Non voleva vivere in una stanza di passaggio con il balcone, dove ogni due ore sarebbero entrati a cercare calzini, pannolini e sigarette. Non voleva rinunciare al diritto di portare a casa una ragazza senza temere che qualcuno iniziasse a frugare rumorosamente per il detersivo.
— La stanza dei genitori è il loro territorio sacro. Quella di mio fratello è per la loro famiglia. La mia è l’unica cosa che ho — disse a Giulia. — Mi dispiace, ma non ho intenzione di cambiare nulla.
Dopo quel discorso, l’atmosfera in casa si surriscaldò all’istante. Giulia smise di salutarlo, passava oltre in silenzio, lo guardava storto come se avesse commesso un delitto. Fabrizio, invece, faceva finta che il problema non esistesse. I genitori non si intromettevano, cercando di restare neutrali.
Alessandro vedeva tutto, ma ignorava. Sapeva che Giulia aveva una tattica comoda — fare pressione con la “gentilezza”, la “premura” e il “bisogno del bambino”. Ma in quelle manipolazioni non c’era spazio per i suoi interessi.
— Non mi dispiace aiutare — mi disse. — Ma perché deve essere sempre a spese della *mia* serenità? Perché devo essere io a cedere, e non loro a risolvere i problemi da soli?
Ha ragione. Ognuno ha diritto ai propri confini. Anche se vivi ancora a casa dei tuoi. Anche se hai ventidue anni. Anche se qualcuno ha avuto un figlio.
Giulia si offese. Certo. Non era riuscita a piegare la situazione a suo favore. Ma Alessandro è sicuro — non è colpa sua. E non ha intenzione di sentirsi in colpa per aver rifiutato di sacrificare il suo unico spazio privato.
A volte, per proteggere se stessi, basta dire un secco “no”.