Abbiamo vissuto insieme dieci anni, ma a causa di mio padre lei ha preso i bambini ed è andata via…

Abbiamo vissuto insieme dieci anni, ma a causa di mio padre lei ha preso i bambini ed è partita…

Ho trentaquattro anni. E sono solo. Completamente. Mia moglie se n’è andata. Ha portato via i nostri tre figli ed è partita per la casa di sua madre a Pescara. Io resto qui, in questa casa che ho contribuito a costruire, mentre l’orologio scandisce il vuoto con il suo ticchettio. Dieci anni insieme. Cosa potrebbe mai distruggere una vita così? Eppure è successo. Per colpa di mio padre.

Conoscemmo Silvia, come molti oggi, sui social. Prima le chat, poi gli incontri, e dopo qualche mese le nozze. Tutto accadde in un vortice, come in un bel film. Ero felice davvero. Un anno dopo nacque Luca, il nostro primo figlio. Volavo dalla gioia, senza sentire la stanchezza, senza vedere i problemi. Vivevo per la famiglia.

Allora abitavamo dai miei genitori a Verona. E fu il mio primo errore. Mio padre, benché lavoratore instancabile, abusava dell’alcol. Le sue esplosioni diventavano sempre più frequenti. Litigi, urla, umiliazioni… Silvia sopportava in silenzio. Io chiudevo gli occhi. Pensavo: passerà, ci abitueremo. Mia madre aveva già rinunciato a cambiarlo, ma per Silvia era tutto nuovo e doloroso.

Una sera, ubriaco, l’afferrò per i polsi, gridando parole senza senso. Lei si liberò e mi chiamò in lacrime. Corsi a casa. Scoppiò una lite furiosa. E alla fine, mio padre ci cacciò. Noi, con un neonato tra le braccia, sulla strada. Silvia non protestò. Partimmo per casa di sua madre.

Ma neanche lì, a Bari, trovammo pace. Mia suocera… una donna complicata. Uomini che entravano e uscivano, schiamazzi, litigi. Silvia non riusciva ad abituarsi, e io stavo ancora peggio. Ma non avevamo scelta. Silvia aspettava già il secondo. Nacque Matteo, il nostro secondo bambino. Vivace, luminoso, con un sorriso che gli illuminava il viso. Mentre Silvia badava ai piccoli, io lavoravo due turni per mantenere la famiglia.

Rimanemmo in quell’appartamento quasi tre anni. Poi mia suocera ci cacciò senza mezzi termini: “Non mi piaci. Andatevene.” Silvia venne con me. Affittammo un posto nostro, e per la prima volta respirammo. Senza genitori, senza regole imposte, finalmente eravamo una famiglia. Vivevamo alla giornata. I soldi erano pochi, io mi spezzavo la schiena, lei faceva lavoretti da casa. Ma stavamo insieme. E bastava.

Poi mia madre decise di costruire una casa alle porte di Firenze. Sognava una grande dimora per tutta la famiglia. Ci chiamò, promettendo che sarebbe stato diverso. Ci credemmo. Demmo tutto: tempo, fatica, euro. Due anni dopo, ci trasferimmo. Era una casa a due piani, con spazio per tutti: genitori, noi, i bambini. La vita sembrava tranquilla, e nacque il nostro terzo figlio, Alessandro.

Ma la pace durò poco. La madre di Silvia vendette il suo appartamento e partì per Roma, dal fratello di lei. Passò “per poco tempo” da noi. E restò. Portò con sé un nuovo compagno. Ripresero le critiche, i pettegolezzi, le tensioni. Silvia era nervosa, esplodeva. Mio padre ricominciò a bere. Intanto cambiai lavoro: viaggiavo spesso, tornavo a casa una volta ogni due settimane. E intanto, lì dentro, il caos cresceva.

Tornato da un viaggio, trovai Silvia che preparava le valigie. Piangeva. Mi disse: “Non ce la faccio più. Tuo padre ha urlato che so solo fare figli. Mi ha insultata… E tu dov’eri?”

Rimasi come pietrificato. Poi la vidi uscire di casa con i nostri tre bambini. Partire. Come se sparisse nel nulla. Ma sapevo dove andava: da sua madre. Quella stessa che non faceva altro che metterla contro di me.

La chiamo ogni giorno. La supplico di tornare. Piango al telefono. Lei risponde gelida: “Non tornerò in quella casa. Mai.” So di aver sbagliato. Di non aver tracciato confini. Di non averla protetta. Di aver scelto il comfort e il tetto dei genitori invece della sua serenità.

Ora penso: forse dovremmo riaffittare un posto nostro. Ricominciare da zero. Riportarla qui, con i bambini. Costruire tutto di nuovo, ma solo noi due. Senza interferenze. Senza alcol. Senza suocere, senza padri, senza scandali.

Non so se mi perdonerà. Se tornerà. Ma una cosa la so: non voglio perderla. Abbiamo vissuto dieci anni insieme. Era la mia vita. Ora non c’è più. E in questa casa, senza di lei, è sparito anche il mio respiro.

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